L’ultimo, grandioso, saluto di Harry Dean Stanton

Poche doverose righe in ricordo di un grande attore di quel cinema che tutti conosciamo

Martina Zerpelloni
La Caduta 2016–18

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Si è spento all’età di 91 anni Harry Dean Stanton, attore che si è ritagliato un posto in molti cuori grazie alle sue interpretazioni, una su tutte: Paris, Texas di Wim Wenders (1984).

Grande amico di Scorsese e di Lynch, proprio assieme a quest’ultimo — e sotto la direzione di un altro Lynch (John Carroll, al suo debutto alla regia) — Stanton ha portato il suo ultimo saluto al grande schermo con una trionfale interpretazione, quella che lo vede protagonista in Lucky, presentato quest’anno in anteprima al Festival del cinema di Locarno.

una scena dal film Lucky, con Harry Dean Stanton e David Lynch

Se da un lato Lucky è un inno alla vita, celebrata attraverso le riflessioni di un 90enne ateo che si trova a fronteggiare — con estremo realismo — il void, quel vortice nero che si spalanca davanti ad ognuno di noi ad un certo punto della vita, in un misto di paura ed attrazione; dall’altro è un vero e proprio tributo al 90enne in piedi dietro al personaggio,un attore che, proprio per la sua devozione alla spontaneità (caratteristica che contraddistingue il Lucky del film) si è costruito una casa fatta di affetti e sincera ammirazione.

Ogni mattina Lucky si alza dal letto e inizia la sua normalità fatta di piccoli gesti: fa i 5 tibetani (esercizi che mia madre mi invita a fare fin dalla tenera età), beve un bicchiere di latte, si veste con la solita combo western — blue jeans, camicia a quadri, cappello e stivalozzi — quindi esce a bere un caffè alla tavola calda, va all’emporio per comprare il latte (ovviamente) e nel pomeriggio si concede alla sua passione: cruciverba e insulti ai partecipanti di quiz televisivi, prima di raggiungere il bar del piccolo paesino del vecchio west e i suoi frequentatori ( tra tutti un adorabile David Lynch, disperato per la fuga di President Roosevelt, la sua testuggine). Tutto a posto per Lucky fino a quando il realismo che tanto decanta lo colpisce con un bel dritto, la mattina che cade a terra. Sebbene dalla visita medica non emerga altro se non conferme della sua perfetta salute (nonostante il vizio del fumo), Lucky comincia a percepire la presenza della morte, e specialmente della sua solitudine di fronte ad essa.

Ma questo non diventa il pretesto per un racconto pietoso e strappalacrime sul tramonto di una vita. Si ride, e parecchio, con Lucky; si filosofeggia e ci si commuove ma, soprattutto, si accompagna un grandioso personaggio nella più sincera esplorazione di sé. Forse non siamo veramente in grado di fronteggiarci con noi stessi se non nel momento in cui vediamo il cartello con scritto “exit” in lontananza, preparandoci ad un’ultima grande festa con tanto di pignatta e concertino mariachi. E all’ ultimo approderemo alla più grande rivelazione: cosa resta alla fine? UN CAZZ!

Mi auguro che Lucky veda presto una distribuzione italiana; oltre ad uno splendido film il pubblico assisterebbe ad un ultimo, grandioso, saluto da parte di Harry Dean Stanton, che qui più che altrove regala molto di sè al personaggio che interpreta. Il realismo esiste.

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