Illustrazione di Alessandro Lanfrancotti.

Tra una società che vuole vendere lo spazio e un Comune subdolo e contraddittorio, in mezzo c’è un luogo, una comunità che sgomita per continuare a vivere

Macao, la lotta per la cultura e il sogno di una città (per un paese intero)

Un’intervista per capire meglio cosa sta davvero succedendo tra Macao, il comune di Milano e Sogemi

Edoardo Piron
La Caduta 2016–18
14 min readMay 8, 2017

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Sono le 17 di un weekend uggioso. Guardo più volte fuori dalla finestra, pervaso da quel senso di indecisione che affligge (o ha afflitto) ogni milanese almeno una volta nella vita: prendo la bici o vado con i mezzi? Il cielo sembra carico di pioggia ma c’è un’elettricità buona nell’aria, sono gasato. Opto per la bici. Da nord-est inizio a scendere ed è tutta un’epifania. Solamente l’atto di dirigersi a Macao mi emoziona, non ci posso fare niente. Con le macchine che mi sfiorano a 70 all’ora, finalmente entro in viale Molise, finalmente intravedo quella palazzina, un luogo così privo di senso da essere probabilmente la cosa più sensata in una città così paradossale. I ricordi arrivano a valanga: legare la bici al solito palo, salire le scale dell’ingresso — luogo di discussioni infinite a orari improbabili — entrare nella sala principale e sentirne l’odore e il sapore.

Macao è a livello architettonico un luogo pazzesco, una palazzina Liberty, ex Borsa del Macello, così decadente e affascinante, che è in grado da circa cinque anni di arricchire culturalmente Milano, con eventi di qualsiasi genere, da proiezioni di film a serate infinite di musica elettronica. Un luogo occupato con lo scopo di far divertire, pensare, condividere e, alle volte, persino far innamorare. Macao è una sorta di girone infernale di cultura perpetua all’interno di una città che molto spesso la cultura la schifa. Proprio per questo senso di disgusto nei confronti della cultura — il popolo non deve pensare mai — sta accadendo qualcosa di molto spiacevole: la proprietà (Sogemi Spa), per questioni puramente economiche (ahhh i soldi), vuole vendere la palazzina e lo spazio intorno, che, va puntualizzato, è del tutto dismesso e abbandonato da molti anni. Proprio per questo ho deciso di mettermi in contatto con un amico che ci lavora dentro per farmi raccontare un po’ cosa sta succedendo tra Macao, il comune di Milano e Sogemi. Entro nella sala centrale, sorrido ai ricordi passati e a quelli futuri, perché vive in me una certezza molto semplice: questo posto, questa energia, non morirà mai. Incontro Federico, un abbraccio. Mi presenta Manuela, un altro abbraccio. Dopo due chiacchiere sul solito andazzo del “come va cosa combini come sta tizio che mi dici cosa fai nella vita” andiamo ad accomodarci in una stanzettina che odora di legno nuovo e comincia la nostra intervista. (F sarà Federico, M invece Manuela; so che non era così difficile da capire, ma puntualizzo ugualmente. Ah, E sono io).

La scalinata di cui sopra, un pochino pienotta

Ciao ragazzi. Mi fate una panoramica su quello che sta succedendo e su quello che è successo da un paio d’anni a questa parte?

M: Partiamo dalla delibera. Circa due anni fa, durante la giunta Pisapia, era stata presentata una delibera, ovvero un documento che nasceva con l’intento di creare un regolamento valido per tutti, non solo per il caso Macao, sulla gestione degli edifici abbandonati. La questione era quella di rendere fruibili gli edifici abbandonati da più di cinque anni, pubblici e privati, a tutti i cittadini che ne facessero richiesta e che ne avessero bisogno. Nel momento stesso in cui era stata esposta, non è mai stata portata avanti dal consiglio.

F: Diciamo che era stata depositata ma poi non è mai stata discussa in consiglio.

M: Quindi si è persa nel nulla e l’assessore di riferimento nel frattempo si è dimesso. Poi, con il cambio di sindaco da Pisapia a Sala l’anno scorso, la delibera ha perso di validità ed è decaduta, riportando i rapporti con il comune del tutto informali.

Macao in che rapporto era con il comune? Io ricordo che dopo l’occupazione della Torre Galfa, un posto in cui era evidente non si potesse rimanere (per quanto incredibile), in cui l’occupazione stessa era stata più un gesto ideologico che non destinato a durare, Pisapia vi aveva concesso lo spazio Ansaldo.

F: Esatto, inizialmente è andata così. Poi l’Ansaldo era stato rifiutato. A distanza di cinque anni, dopo il bando per quello spazio, si è visto cos’è diventato: un luogo che racchiude un progetto molto grande di milioni di euro. (L’ex Ansaldo, situato in zona via Tortona, dietro Porta Genova, tra le altre cose, ospita ora Mudec, il Museo delle Culture e Base, spazio di co-working e per eventi, ndr).

A questo punto siete arrivati in viale Molise. Entriamo ora in quello che sta succedendo negli ultimi mesi.

F: Abbiamo deciso di presentare rapidamente la proposta d’acquisto dello spazio, sia attraverso i canali social, sia inviando due lettere raccomandate, una a Sogemi, che è la proprietaria del posto, ed una al Comune di Milano, nelle quale ci dichiaravamo intenzionati ad acquistare la palazzina (che sono 2800 mq). Il Comune ha tergiversato per un po’, ma avrebbe dovuto rispondere velocemente definendo una data in cui incontrarsi e definire un tavolo di trattativa. Questo è successo dopo un mese come abbiamo potuto leggere dall’articolo di Repubblica di lunedì 24 aprile.

M: La questione era stata inizialmente affidata all’assessore Maran con cui non c’era stata praticamente possibilità di discutere. Ora l’assessore al commercio del comune di Milano, Cristina Tajani, ha dato una risposta quindi vedremo cosa accadrà.

C’è stata una dichiarazione pubblica quindi.

M: Esatto. Maran ha anche affermato che si sarebbe aperto un bando, visto il semplice fatto che non si può davvero andare oltre alla questione, per motivi di logistica e regolamentazione; ma tutto questo ancora non è successo. Una decina di giorni fa inoltre, nella palazzina numero 7, dove ci sono i ragazzi di Tempo Riuso, doveva esserci anche Maran, per via della fine del loro contratto, che però non si è presentato.

F: Un conto è dirci “fate così, è la via migliore, noi siamo ben disposti” e un conto è dare a Radio Popolare delle dichiarazioni che poi non vengono rispettate. L’unico modo per stanarli è mettere su un tavolo una proposta vera e propria, a cui si debbano per forza dichiarare o a favore o contrari. C’è la necessità che loro si esprimano, perché questo limbo non fa bene a nessuno. Anche adesso che il tavolo verrà convocato, non possiamo mollare il colpo ma dobbiamo spingere su una precisa presa di posizione da parte del Comune.

In concreto, allora, quali sono i vostri progetti per affrontare questa situazione?

M: Abbiamo organizzato il 24 aprile all’Arco della Pace un’assemblea cittadina (qui lo streaming registrato) per spiegare ed esporre quali sono le attività che si svolgono dentro Macao. Il tutto sempre accompagnato da musica ed esibizioni, in linea con Macao.

F: Questo è stato il primo momento di uscita pubblica nella storia di Macao.

M: Poi, contemporaneamente, c’è la richiesta di preiscrizione all’associazione che è già attiva e che dovrebbe diventare soggetto giuridico per promuovere l’acquisto di Macao.

F: È partita una campagna che si chiama Love & Bordello, che ha lo scopo di raccogliere tutte le preiscrizioni, permettendoci di poterci presentare al Comune, avendo un grosso numero di persone che appoggiano Macao, per trovare dei finanziamenti per raggiungere il nostro obiettivo.

Queste preiscrizioni diventeranno iscrizioni vere e proprie all’associazione Macao. E a quel punto ci sarà una raccolta fondi? Immagino che, anche se il numero di iscritti sarà molto alto, non basterà una piccola quota da parte di ogni associato. Come pensate di muovervi per trovare i soldi?

F: La nostra proposta principale è quella di acquistare Macao per renderlo pubblico. O meglio, per renderlo un posto per tutti, associati e non, e perché succeda questo serve che tutti ci sostengano, sia per quanto riguarda la “massa critica” sia per quanto riguardo il finanziamento. In particolare, tutto questo fa parte di un progetto che stiamo portando avanti da settembre con una cooperativa tedesca, chiamata Mietshäuser Syndikat, che dal 1990 in Germania, partendo da Friburgo, fa da garante a delle occupazioni abitative a rischio sfratto che sono intenzionate a rimanere in quel luogo. Nel corso degli anni ha avviato 123 progetti/casa con 2.839 abitanti, per un valore pari a 129 milioni di euro investiti. Altri 21 progetti di acquisto sono stati avviati. Oltre ai numerosi progetti consolidati in Germania, la rete si sta radicando in Austria, Paesi Bassi, Spagna, Grecia, Francia e, presto, anche in Italia.

M: Questa cooperativa non è altro che un gruppo di persone che si sono riunite per comprarsi gli spazi dove vivevano; ciò permette loro di avere abitazioni a prezzi più bassi rispetto a quelli di mercato, eliminando gli intermediari, i quali anche essi hanno un prezzo. Come nelle cooperative indivise in Italia, tutte le persone che fanno parte della cooperativa sono proprietarie dell’abitazione acquistata e pagano un canone di affitto che serve per ripagare le spese dell’acquisto dell’immobile, per permettere nuovi acquisti di altri stabili, creando una sorta di ciclo continuo. Vorremmo collaborare con questa cooperativa per la loro esperienza e per il semplice fatto che possiedono le possibilità economiche per l’acquisto di questo stabile. Inoltre ciò ci permetterebbe di funzionare da cavalli di Troia per inserire questa modalità di acquisto anche in Italia. La loro idea è quella di espandere il progetto per creare una struttura europea che si occupi di questo genere di trattative. Rendere fruibile questo meccanismo anche ad altre persone, questo è un po’ il nodo centrale della delibera.

F: Questa cooperativa ha un messaggio politico molto forte, in quanto si tratta di un movimento che parte molto dal basso, ed è, banalmente, formata da chi vi partecipa; se Macao deciderà di fare questa operazione, e se loro decideranno a loro volta di accettare questo progetto, entrerà a far parte dell’assemblea del Mietshäuser Syndikat. Si parte dal discorso della riappropriazione degli spazi e loro in Germania ci sono riusciti. Va anche puntualizzato che la situazione tedesca è molto diversa da quella italiana, ma non per questo non potrebbe avere un suo senso in uno spazio come quello milanese.

M: Gli spazi inutilizzati sono davvero molti e questo metodo di acquisto ti permette di togliere dal mercato immobiliare l’edificio, per farne un luogo pubblico. Entrando nell’aspetto tecnico, questo è formalmente possibile formando un’associazione che possiede il 51% della società, con Mietshäuser Syndikat che ne possiede il 49%. Si crea dunque una SRL che deve recarsi alla loro banca di riferimento per richiedere un finanziamento. Per far questo bisogna ovviamente chiedere l’appoggio a tutti i vari progetti inclusi in Mietshäuser Syndikat, in grado di devolvere una parte dei loro finanziamenti verso il nostro progetto. Questo contratto con loro comporta due clausole: 1) l’edificio non può essere venduto per i prossimi 99 anni, per evitare la speculazione sullo spazio comprato; 2) loro non intervengono sul bilancio e sulle decisioni amministrative, rendendo totalmente indipendenti, a meno che non ci sia un caso di rosso o di forti utili.

F: Abbiamo pensato a questa procedura perché abbiamo buone ragioni di credere che Sogemi stia incaricando qualcuno per stendere un bando destinato alla vendita o all’affitto di parte o della totalità della palazzina (questa notizia è stata confermata dopo un’intervista di Cesare Ferrero a Radio Onda d’Urto, ndr). Questo bando sarà ragionevolmente creato ad hoc per tagliar fuori la maggior parte delle associazioni culturali presenti in Italia. Quello che sembra davvero strano è che il Comune non possa realmente metter parola nella questione, lasciandoci esclusi da questa operazione immobiliare gigante, dovuta probabilmente a investimenti che Sogemi deve fare sull’ortomercato attuale. Bisogna anche dire che questa è l’area dismessa pubblica più grande d’Europa all’interno di una città.

Allora, io che ho sempre una visione un po’ catastrofica della vita, adesso la buttiamo sul pessimistico: se tutto questo dovesse andare male?

F: La campagna, non a caso, si chiama Love & Bordello: abbiamo scelto questo nome proprio perché, nel caso in cui il comune dovesse rifiutarsi di venirci incontro, noi non ci fermeremo. Organizzeremo manifestazioni, street parade e se ci sarà da trovare un contrasto, lo troveremo.

M: Io perderei una ragione di vita probabilmente.

F: Si sta cercando di creare una sorta di supporto, come ad esempio con i ragazzi di POQ (Partigiani in Ogni Quartiere), con il Collettivo Zam e molti altri. Ora che c’è un contrasto così forte con il Comune e con le istituzioni è davvero necessario tutto l’appoggio possibile, anche perché ormai non sappiamo più a chi credere… Il Comune è diviso in tanti pezzi: c’è Sala da una parte e l’opposizione dall’altra — quest’ultima molto pesante verso centri sociali e situazioni di occupazione. È il momento di accendere le coscienze. Noi ci crediamo, non ci sembra vero che tutto questo potrebbe non esistere più da un giorno all’altro: siamo riconosciuti da tutti tranne da chi deve vendere e da chi è pieno di pregiudizi su questo luogo.

M: Purtroppo è un processo che non è dall’oggi al domani, ma richiede del tempo.

Lavori in corso

Finanziamenti privati sono possibili invece?

M: Ci sono associazioni che investono, il problema è che poi vogliono avere il controllo sulle tue attività, in modo diretto: proprio per questo vogliamo appoggiarci alla cooperativa tedesca. Poi vorremmo anche iniziare azioni di crowdfounding tradizionali per poter ripagare il debito dilazionato, perché noi chiederemmo sì un finanziamento ad una banca tedesca, ma questo va poi effettivamente risanato.

F: Molto interessante sarebbe che questi crowdfounding portassero contributi importanti anche da artisti e da chiunque abbia voglia e tenga a questo luogo.

M: Macao è uno spazio aperto e le assemblee che facciamo tutti i martedì sono aperte a chiunque voglia portare il proprio impegno e le proprie competenze: chiunque è sempre ben accetto. Questo lo dico perché alle volte lo si dà per scontato e le persone non ci pensano, perché il “sistema va avanti”.

F: Nel futuro che ci immaginiamo, le pratiche di gestione crediamo non saranno tanto diverse. Quello che potrà essere difficile sarà rendere agibile e a norma per tutti, proprio per questo chiunque sarà ben accetto.

M: E poi ovviamente anche i prezzi di ristrutturazione faranno parte di questo fondo.

F: E sono davvero altissimi. All’interno di Macao soltanto si parla di 500/600 mila euro di lavori, per tutta l’area si parla di milioni e milioni di euro. Quindi, qualsiasi gruppo decida di acquistare lo spazio, dovrà farsi carico anche di queste spese.

Ok, ora parliamo più in generale, restando sempre sul tema occupazione/sgombero, penso per esempio a Bologna l’Xm24 o l’Atlantide (che è già stato sgomberato). Voi cosa ne pensate di questa palese politica di odio verso i centri sociali, che sembra che dentro questi luoghi vi sia il male più assoluto, quando invece sono luoghi in cui si fa cultura per tutti senza lucro?

F: Appare evidente come, ora come ora, a Milano ci sia Forza Italia a spingere molto contro i centri sociali.

M: Questo perché non sanno di cosa lamentarsi, funziona tutto benissimo.

F: Mi sembra che stiano cercando capri espiatori qua e là. In Italia siamo davvero indietro sulla tutela di questi spazi: in Olanda, Germania, persino in Francia, ci sono luoghi maggiormente protetti ed aiutati dallo stato, con molti investimenti. L’anno scorso è venuta The Wandering School che, per svolgere dei progetti ed esposizioni dentro Macao, ha ricevuto finanziamenti direttamente dallo stato.

M: Il 25 marzo scorso siamo stati a Saint’Etienne, alla Biennale, durante la Settimana Nazionale del Design, dove siamo stati invitati per parlare dei nostri progetti: tutto completamente finanziato da una città che in realtà è poverissima e che punta sulla costruzione di un’università per creare un indotto tutto intorno a questa spinta culturale. Dal punto di vista puramente economico, se tu vai a tagliare queste espressioni di energia di una città, perché poi la gente dovrebbe venire a visitarla? Tutto questo fiorire di turismo, durante questi ultimi anni, a Milano, è perché ci sono attività a cui partecipare.

F: A Milano, ad esempio, la scelta musicale è molto limitata.

Qui devo dire la mia. La questione è che a Milano ci possono anche essere 200 concerti a sera, ma se 199 fanno schifo e la proposta musicale è banale, c’è poco da fare. Se i concerti li organizza ancora Radio Deejay (o chi per loro), facendo cose molto mediocri, la situazione resterà quel che è. Invece devo dire che Macao ha sempre proposto punti di vista molto alternativi e ricercati. La parola banalità non è mai passata qui dentro.

F: Sì è vero. Questo atteggiamento è tipicamente milanese e italiano, proprio per questo motivo c’è bisogno di una svolta forte.

M: Viviamo in un mondo in cui le persone non hanno la possibilità di fare le cose, ma vengono indotti a farle. Trovare un luogo in cui le possibilità ci sono è un bene preziosissimo e di tutti. Questo è uno spazio aperto: ad esempio, al piano di sopra c’è un laboratorio di maglieria con macchinari ad hoc. La nostra idea è sempre stata quella di dare uno spazio aperto a tutti per tutti. Macao è utilizzato solo per la metà del suo spazio, ma per motivi economici non si può utilizzare nella sua interezza: c’è un sotterraneo bellissimo che svuotarlo ci costerebbe troppo. Si vuole fare una riqualificazione vera e propria ma la si vuole fare avendo la certezza di poterla portare avanti.

L’occupazione di luoghi abbandonati, è una cosa sempre giusta o no? Il punto è che le persone che non hanno mai avuto un’esperienza diretta con questi luoghi, spesso possiedono un’immagine negativa dell’occupazione.

F: Questa domanda ha una risposta solo a posteriori, solo dopo aver visto cosa l’occupazione produce. Quello che conta è quello che fai. Occupare crea la possibilità di realizzazione di momenti altrimenti impossibili da poter vivere. Ci sono anche occupazioni finite male, come quella in via Ripamonti che è degenerata in un racket di droga e spaccio molto pesante. Se un’occupazione produce delle possibilità dentro a canali diversi, porta solo benessere. Se non ci fosse stata l’occupazione di Macao non ci sarebbero stati neanche i duemila e passa artisti che sono venuti ad esibirsi qua, le università che hanno collaborato, la biennale di Saint’Etienne e tanto altro.

M: Viviamo in un’era legata solamente al consumismo, in cui le cose si prendono, si costruiscono, poi vengono buttate là, abbandonate. Il fatto di avere dei posti completamente abbandonati, si ricollega a questa situazione mondiale ed è importante utilizzare questi spazi per toglierli dal loro essere fatiscenti, per ricostruire altri luoghi di aggregazione e cultura: nella gestione degli spazi urbani, è molto importante.

Un’immagine di repertorio di F e M su un trullo

Ringrazio Fede e Manu. C’è tanta speranza nei loro occhi e in quelli di chi crede nel progetto di Macao. Non ci resta che dare appoggio a tutto questo, perché io penso, molto semplicisticamente, che nella vita si possa credere a tante cose, essere schierati politicamente o remare perennemente contro il sistema; ma quando entro in questo luogo, una cosa mi sembra imprescindibile e del tutto innegabile: distruggere la cultura è un male, e non capirlo è davvero da idioti.

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