Magia nera nell’Oltrepò pavese — Intervista agli autori di Shanda’s River

Abbiamo intervistato il regista e il produttore di Shanda’s River, un horror dal basso budget girato nei dintorni di Voghera

Michele Bellantuono
La Caduta 2016–18

--

L’horror, si sa, è un genere tutt’altro che ignorato all’interno della tradizione cinematografica nostrana. Fulci, Bava e Argento sono solo gli esponenti più noti di un cinema che non passa mai di moda e che può ancora provocare inquietudini nello spettatore. Specialmente nel caso di film ambientati in un contesto realistico o perfino riconoscibile: ecco allora che si piega l’efficacia di film a bassissimo budget come The Blair Witch Project, l’opera che ha spianato la strada alla formula del found footage. Ma particolarmente suggestive sono anche pellicole come La casa dalle finestre che ridono, uno dei migliori esempi di horror italiano diretto da Pupi Avati: in questo caso, a creare suggestione è in primo luogo l’ambientazione, che inserisce la macabra trama nel film nel contesto di una periferica comunità sperduta nel cuore della Pianura Padana. Il successo del film, diventato oggi un cult apprezzato sia in Italia che all’estero, ha portato dunque alla nascita di un vero e proprio filone, quello dell’horror padano. Più la fonte del terrore è vicina a noi, anche geograficamente, più il terrore guadagna potere sullo spettatore. I registi sembrano aver ben compreso l’efficacia di questa formula basata su un approccio meno fantastico e più realistico all’horror. Ecco allora che lo sguardo degli autori si volge alle suggestioni derivanti dal folklore locale, fonte sempre fertile dalla quale poter attingere trame cinematograficamente accattivanti.

Oggi sono per lo più le produzioni indipendenti ad occuparsi di questo tipo di cinema di genere. In questo contesto si inserisce ad esempio Shanda’s River, film del 2016 diretto da Marco Rosson e prodotto da Giorgio Galbiati in collaborazione con l’Associazione culturale Iria di Voghera. Rosson, classe ’84, è vogherese e tale è anche l’ambientazione del suo b-movie, film che ha riscosso veramente un buon successo all’estero: ben 14 i premi assegnati a Shanda’s River, inclusi riconoscimenti per il montaggio e la colonna sonora (ai Tabloid Witch Awards di Santa Monica) e un premio in qualità di migliore attrice a Margherita Remotti, interprete della protagonista. Ma certamente il riconoscimento più grande è stato assegnato nel contesto dei Los Angeles Film Awards, festival in cui l’horror made in Voghera è stato premiato nella categoria del miglior horror.

Il film è il racconto di un’investigazione di natura antropologica che ha luogo nei pressi di Voghera, nell’area dell’Oltrepò pavese. Emma, studiosa di antropologia americana, arriva nell’area per raccogliere informazioni su Shanda, misteriosa figura del folklore locale legata a fenomeni di stregoneria. L’indagine della professoressa interpretata dalla Remotti inizia con un tour della zona in cui fu giustiziata la strega Shanda, presso un torrente del vogherese; la sua ricerca tuttavia dura poco: Emma, abbandonata dalla sua guida, finisce assassinata da alcuni cultisti. La sua morte è però solo l’inizio di un’agonia destinata a portare la donna sull’orlo della follia: la professoressa, vittima di una maledizione occulta, resta incastrata in un interminabile circolo temporale che la porta a rivivere nello stesso istante la propria cruenta morte.

Margherita Remotti interpreta la protagonista Emma

Shanda’s River, dopo il successo nei festival americani, è stato recentemente proposto anche nel contesto del TOHorror Film Fest, rassegna torinese dedicata nello specifico al cinema horror. Delle proposte di questo interessante festival cinematografico, tra le migliori occasioni italiane per conoscere lavori di genere di registi provenienti da tutto il mondo, abbiamo parlato in un nostro precedente articolo:

L’iniziativa di Rosson ci ricorda lo spirito di quegli autori indipendenti che decidono di lavorare in casa con pochi mezzi, sfruttando al meglio una propria visione creativa. Questo ha stimolato la nostra curiosità, specialmente alla luce dell’attuale stato del cinema italiano di genere: forse la strada da seguire è quella di produzioni indipendenti a basso budget, ambientate in un contesto italiano? O meglio tentare una sana imitazione, allontanandosi dalla scia del folklore nostrano, di quell’horror di natura sociale e metaforico che sta prendendo piede nell’industria americana? Abbiamo rivolto le nostre domande al regista Marco Rosson e al produttore di Shanda’s River Giorgio Galbiati.

Vi ringrazio innanzitutto di averci concesso questa intervista. Partiamo ora con qualche elemento biografico. Marco Rosson (classe ’84) e Giorgio Galbiati (classe ‘78), due italiani “sbarcati” con evidente successo negli Stati Uniti, grazie al vostro film. Sorge spontaneo chiedervi quale sia la vostra formazione e in particolare se la passione per il cinema sia un amore di lunga data o piuttosto un felice incidente di percorso, nella vostra carriera.

Rosson: Allora io e Giorgio ci siamo conosciuti proprio alla Scuola civica di cinema e televisione di Milano. Tutti e due abbiamo una grande passione per il cinema, specialmente per i film horror. Dopo la scuola abbiamo preso percorsi lavorativi diversi. Tutti e due ci siamo fatti un bel po’ di gavetta in giro per i vari set di Milano. Ci siamo incontrati dopo qualche anno e sempre pieni di passione per il cinema abbiamo deciso di mettere un su un progetto low budget horror da girare insieme. Oltre a noi due c’è anche il buon Nicola Pizzi, sceneggiatore del film Shanda’s River che ha fatto con noi le scuole di cinema di Milano. Nicola a differenza nostra però è emigrato in America a Los Angeles per lavorare nel cinema.

Cinefilia e cinema di genere non vanno sempre d’accordo; ma è anche vero che al giorno d’oggi, in anni segnati dalla mania del revival, del remake e del retrò, non è così difficile trovare spettatori che riscoprono e apprezzano i cult del passato, fenomeno che riguarda specialmente l’horror. È chiaro che chi oggi fa cinema di questo genere non possa totalmente prescindere dai modelli che lo hanno preceduto: quanto ha influito sui vostri gusti personali questo tipo di cinema?

Galbiati: Di sicuro ciò che amiamo/abbiamo amato in passato ci ha influenzato nella realizzazione del film. Il confronto coi maestri del passato è sempre doveroso anche se va fatto con tutta l’umiltà possibile: noi siamo molto grati per le lezioni di cinema di grandi come Argento, Fulci e Bava ma ci rendiamo conto che abbiamo ancora tanto da lavorare per cercare di arrivare ai loro livelli. Non possiamo che raccogliere questa “sfida” e cercare di fare sempre meglio.

Abbiamo parlato di genere e film cult. Spesso questi film sono realizzati con budget molto ridotti: una buona parte dei film di culto di cui parlavamo sono a tutti gli effetti considerabili dei b-movie, prodotti con scarsità di mezzi o finanziamenti. Pensate che questo tipo di produzioni abbia ancora possibilità di successo nel mondo di oggi?

Rosson: Io credo proprio di si. È vero che chi fa cinema horror ormai deve farlo con produzioni low budget. Ma è vero anche che all’estero questi prodotti hanno davvero un buon mercato. Qui in Italia la cosa più difficile non è tanto trovare una produzione ma trovare una distribuzione che ti faccia uscire il film. Il genere horror piace e me ne sono accorto proprio seguendo Shanda’s River per i festival. Anche in Italia c’è sempre pubblico e tanta gente interessata durante le proiezioni.

Parliamo ora del vostro Shanda’s River, che è appunto un b-movie: ho letto che il film è stato girato con un finanziamento inferiore ai 10.000 euro. Lavorare con un budget simile immagino comporti alcune difficoltà: avete affrontato particolari sfide nella realizzazione del film?

Rosson: Beh l’intero film è stata un vera e propria sfida. La sfida più grossa credo sia stata la follia di girare 88 scene in soli 9 giorni. Avendo un budget così ridotto abbiamo dovuto comprimere tutto in pochi giorni di ripresa per abbassare molto i costi della produzione. Per fortuna siam stati bravi e abbiamo fatto un ottimo lavoro di squadra che ci ha permesso di portare a casa il film.

Galbiati: Il problema più grosso è stato quello di essere solamente quattro professionisti a livello tecnico a gestire tutto il lavoro (io, Marco, Luciano Baresi alla fotografia e Eleonorita Acquaviva). Gli altri erano amici appassionati che ci hanno dato una grandissima mano ma non avevano alcuna esperienza. Quindi le difficoltà erano all’ordine del giorno. Però visti i tempi strettissimi e la crew piccolissima siamo molto soddisfatti del risultato.

Arriviamo al dunque, con una domanda che sicuramente vi avranno fatto in molti: come è stata concepita l’idea di questo horror ambientato nell’Oltrepò pavese?

Rosson: L’idea era di fare un horror low budget. Molto low budget perché volevamo produrlo noi. Avevo già venduto il mio primo film New Order in america quindi avevo già dei contatti con una distribuzione americana. Così io e Giorgio siamo partiti alla carica. Abbiamo incontrato Nicola Pizzi e gli abbiamo spiegato la nostra idea. Nicola è ripartito per l’America e dopo qualche settimana ci ha mandato una prima stesura. L’idea di base era quella del giorno che si ripete, come il Giorno della marmotta. L’idea era molto utile per un film low budget perché ci permetteva di risparmiare tempo e soldi utilizzando le stesse scene più volte. Quando abbiamo avuto lo script definitivo siamo partiti con la preparazione. L’oltrepò offre scorci e paesaggi molto belli che sin prestano molto bene ai film horror.

Hai nominato New order, film diretto nel 2012, un altro horror ambientato nella stessa area di Shanda’s River, nei dintorni di Voghera. C’è forse nell’aria l’intenzione di proseguire ulteriormente su questa strada, magari completando una sorta di trilogia horror vogherese?

Rosson: Sì l’idea sarebbe più o meno quella. New Order non era proprio un horror, era più che altro uno sci-fi thriller. La mia idea era quella di fare comunque un altro film horror da girare tra Pavia e Voghera. Pavia è una città molto bella che si potrebbe prestare benissimo per un film. Specialmente se horror. Sarebbe molto bello poter chiudere come dici tu questa “trilogia horror vogherese”.

Il vostro film, a causa di questa ambientazione nella provincia settentrionale e per l’atmosfera di inquietante mistero, mi ha ricordato La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati, film noto per essere il primo vero “horror padano”. Padania o meno, la suggestione offerta dal territorio e dai miti locali è forte anche nel vostro lavoro: pensate che questa etichetta possa tornare ad avere una sua fortuna in Italia?

Galbiati: Secondo me questo sottogenere è molto utile per quando lo si propone all’estero. Abbiamo notato un forte interesse nei confronti di un certo stile italiano nel modo di girare horror. Soprattutto in America. Qui in Italia siamo viceversa più attratti dai prodotti americani. È una questione di esterofilia in entrambi i casi. Speriamo che ci sia prima o poi un’apertura mentale anche qui in Italia e che si apprezzi nuovamente la tradizione italiana nel girare un certo tipo di cinema.

Rosson: Pienamente d’accordo.

Un altro elemento fondamentale di Shanda’s River è sicuramente la presenza della strega, figura che ha da sempre affascinato la letteratura e il cinema. Non è raro trovare storie di magia nera e fattucchiere all’interno del nostro folklore, così come in quello di molti altri Paesi europei. Avete forse preso spunti dalla tradizionale locale per inventare la storia di Shanda?

Rosson: No la storia di Shanda è completamente inventata. Non c’è niente di vero. Lo “Shanda’s river” in realtà è il torrente Staffora che attraversa Voghera. Abbiamo preferito creare un falso mito e ambientare la storia attorno a questa leggenda inventata.

Galbiati: Una delle cose che sicuramente ci ha influenzato è stato Suspiria di Dario Argento. Personalmente lo trovo uno dei migliori film horror della storia del cinema.

Visto che siamo tornati a parlare dei maestri del genere, sorge spontaneo chiedere quale sia il vostro film e regista preferito. Limitiamoci all’ambito dell’horror.

Rosson: Personalmente io adoro La casa di Sam Raimi. Zombie di Lucio Fulci e I tre volti della paura di Bava.

Galbiati: Come già detto Suspiria è tra i miei preferiti di Argento, insieme a Profondo Rosso e Quattro Mosche di Velluto Grigio. Per quanto riguarda l’estero direi anche io La Casa 2 di Raimi e The Strangers di Bryan Bertino. Anche il remake de L’Alba dei Morti Viventi di Zack Snyder è sicuramente uno dei miei horror preferiti.

Visto che hai tirato in ballo Snyder, ampliamo ora la domanda passando all’attualità: quali registi horror odierni ritenete più stimolanti e creativi? E quali sono i film di genere usciti negli ultimi dieci anni che vi hanno più colpito?

Rosson: Io sono un super fan di James Wan (The Conjuring) per me è uno dei registi horror più bravi che c’è in giro.

Galbiati: Anche io ho trovato molto interssante James Wan, regista di The Conjuring e Jennifer Kent, regista di Babadook.

Rosson: Comunque oltre ai registi c’è anche un super autore di horror che è Robert Kirdman, l’autore di The walking dead che è un maestro del genere. E parlo di The walking dead il fumetto non la serie.

E per quanto riguarda le produzioni italiane? Ho l’impressione che si produca veramente molto poco da noi, per quanto riguarda l’horror.

Rosson: Sì però ci sono autori molto bravi. Oltre il guado di Lorenzo Bianchini. E anche Ivan Zuccon con Wrath of the crows. Sono film italiani horror molto belli per me.

Galbiati: A me viene in mente Cosimo Alemà con il tentativo di fare una sorta di survival horror con At The End of The Day e i Manetti Bros con l’ultimo film prodotto sul manager in ascensore durante l’apocalisse zombie. Anche se sinceramente non l’ho ancora visto.

Il vostro contributo al genere sembra sia stato molto apprezzato all’estero: tra i tanti riconoscimenti, oltre una decina, Shanda’s River ha ricevuto il premio per il Miglior horror ai Los Angeles Film Awards di quest’anno. Vi aspettavate un successo di simile portata per il vostro film?

Rosson: Sinceramente no. Io mi aspettavo qualche official selection e niente di più. Visto anche il pochissimo budget a disposizione. E invece è stato molto apprezzato in america. La cosa più bella comunque oltre i premi vinti sono stati i commenti della gente dopo le proiezioni. Tutti molto positivi. Nelle ultime proiezioni pubbliche del film mi sono alzato e mi mettevo a vedere la faccia della gente durante il film ed era molto bello notare come tutti fossero molto attenti nel seguire il film per 90 minuti (merito di un ottimo montaggio forse).

Su quali elementi avete quindi investito di più? Montaggio, sceneggiatura, cast, colonna sonora?

Rosson: Per il cast abbiamo investito e creduto molto nella nostra attrice protagonista Margherita Remotti che ha vinto due premi come migliore attrice. Per il make up abbiamo speso buona parte del budget e ci siamo affidati alle mani della bravissima Eleonorita Acquaviva. Conta che per i trucchi abbiamo voluto fare tutto dal vero senza usare fx digitali. Per il montaggio è stato un investimento di tempo e di tanta pazienza. La post produzione del film è durata più di anno. Abbiamo girato tutto di fretta avendo a disposizione solo nove giorni e quando siamo arrivati in fase di montaggio ci siamo accorti di avere tanti piccoli problemi da risolvere che hanno portato via un po’ di tempo.

Galbiati: Le riprese sono state molto faticose fisicamente: lavoravamo 18 ore al giorno e poi dovevamo organizzare il giorno successivo affinché tutto fosse in regola per le riprese. Ovviamente abbiamo comunque maturato dei ritardi perché girare 88 scene in 9 giorni è quasi da Guinness, solo Ed Wood ha fatto di più (tipo 5 giorni). Per quanto mi riguarda invece il montaggio è stata una fatica mentale incredibile: il problema era pensare una scena in un modo e poi doverla rimontare completamente in un altro per problemi tecnici (inquadrature non buone, attori che sbagliavano, audio che clippava o addirittura assente). E’ stato un vero delirio e infatti ci ho messo una vita a montarlo, con somma gioia di Marco *eheheh*. Comunque girare in multicamera è stata un’ottima intuizione di Marco che ci ha fatto risparmiare un sacco di tempo.

Oltre un anno per lavorare alla post-produzione? Veramente sorprendente!

Galbiati: Si, allucinante. Non era per un vezzo ma veramente c’erano delle difficoltà mostruose come detto. Anche per la color è stato un delirio, non a questi livelli ma quasi. Grazie a Pierino Gotti che ci ha dato una bella mano. Abbiamo usato quattro camere diverse quindi immagina la difficoltà nel bilanciarle.

Rosson: Però alla fine ne è valsa la pena abbiamo vinto due premi per l’editing e uno di questi è il Tabloid Witch Award.

Veramente ne è valsa la pena visti i riconoscimenti. Comunque scorrendo i vari premi e nomination ho notato una netta prevalenza di riconoscimenti esteri, fatto che qualcuno potrebbe trovare curioso trattandosi di un b-movie prodotto nella provincia italiana. È stata una scelta ponderata (diciamo pure strategica) il fatto di portare il film negli States?

Rosson: Ma noi abbiamo mandato il film a tanti festival in giro per il mondo. Abbiamo partecipato anche a qualche festival italiano e vinto uno (il MedFF 2017 come Best horror), quando abbiamo iniziato a vincere tanti premi all’estero e la gente iniziava a parlare di Shanda abbiamo iniziato a trovare difficoltà con i festival italiani. Credo un po’ per invidia, o non so perché, ma tanti festival italiani hanno iniziato a snobbarci. Visto che in tutti questi festival italiani (che sono anche molto costosi) non trovavamo spazio abbiamo deciso di puntare solo all’estero.

Galbiati: Probabilmente è la solita mentalità italiana, curare il proprio orticello e non far partecipare nessun altro. A parte pochi esempi.

E poi naturalmente c’è stata la presenza al recente festival di Torino; che ne pensate delle proposte della rassegna torinese (TOHorror Film Fest)?

Rosson: Sì a Torino è stato bello… essere in selezione al TOHorror per noi era già una vittoria. Bella manifestazione.

Galbiati: Sì, partecipare ad un festival storico come il TOHFF è stata una bella soddisfazione. Ce ne vorrebbero di più di festival di genere qui in Italia. E non intendo solo genere horror.

Rosson: Sui festival in Italia potrei parlare per ore. Sono cambiate tante cose… vabbè.

Data questa risposta, sono tentato di chiederti un piccolo extra sui festival italiani, Marco.

Rosson: Diciamo che i festival per me sono cambiati un po’ in questi anni. Il festival dovrebbe essere una vetrina un occasione per mostrare un prodotto in sala che probabilmente non ci arriverà mai. Invece adesso i festival sono diventati un po’ una macchina da soldi. Le quote per iscriversi sono cifre alte. Ti dico solo che spesso quelli più costosi sono sempre quelli che hanno nel nome “indipendente”.

Quindi diresti che c’è ben poca coerenza nello spirito di questi festival, che dovrebbero appunto promuovere l’ambito “indie”?

Rosson: Sì promuovere. E non fare un festival che viene pagato dagli autori con le iscrizioni. Se il Sundance costa 40 dollari mi sembra assurdo pagarne 80 per uno mai sentito.

Per concludere, volete aggiungere qualcosa circa i vostri progetti futuri? In particolare tu, Marco, continuerai ancora sulla strada dell’horror?

Galbiati: Per quanto mi riguarda girerei un action movie sullo stile dei primi Tsui Hark e John Woo, di Nicolas Winding Refn e di Walter Hill (Refn è davvero un geniaccio). Bisogna vedere se riesco a trovare il budget necessario. Magari con qualche star di Hollywood del passato come protagonista. Sarebbe un sogno.

Rosson: Refn è il top. Di sicuro il prossimo film sarà un altro film horror. Io sono un amante del genere zombie e mi piacerebbe molto fare un film su quel genere. Purtroppo farlo con produzioni low budget rischiamo di fare un lavoro non all’altezza. Magari rimandiamo questo progetto per quando troveremo una produzione. Nel frattempo appena Shanda’s River sarà in distribuzione io e Giorgio ci butteremo sul film nuovo, sempre un horror e probabile lo gireremo sempre nella zona dell’oltrepò includendo anche Pavia. Che per me è una città bellissima che si presta molto per le riprese cinematografiche.

--

--