Mary Lavelle — l’indipendenza è dietro il confine

Mary Lavelle è il titolo di uno dei romanzi più importanti associati al nome di Kate O’Brien, ristampato ora da Fazi Editori in una traduzione di Antonella Sarti

Chiara Mammarella
La Caduta 2016–18

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Pubblicata per la prima volta nel 1936, l’opera venne sottoposta alla censura in Spagna e in Irlanda, seguendo un destino condiviso successivamente da The Land of Spices, edito nel 1941. A dare il titolo all’opera è il nome della protagonista della storia narrata, Mary Lavelle, una giovane ragazza originaria dell’Irlanda e diretta verso la Spagna per rivestire l’incarico di istitutrice ed insegnate di inglese delle tre figliolette di una abbiente famiglia spagnola — gli Areavaga — residente a Cabantes, una piccola cittadina dei Paesi Baschi. Mary — sorta di alter ego dell’autrice, la quale a sua volta visse l’esperienza di governante nel nord della Spagna tra il 1922 e il 1923 — non sembra essere intenzionata a partire alla ricerca di una nuova vita; a casa ha infatti una famiglia ma soprattutto un fidanzato che la attendono. Quest’ultimo tuttavia si è dimostrato particolarmente convinto a ritardare la data del matrimonio in attesa di una maggiore stabilità economica; è dunque con questa precisa finalità, o meglio, si vedrà, con tale pretesto, che Mary decide di partire.

Perlomeno questa è la situazione che viene presentata al lettore a partire dalle prime righe; addentrandosi nella lettura inizia tuttavia lentamente a trapelare e a tradirsi un senso di profonda inquietudine ed insoddisfazione per quella vita principiamente descritta come perfetta, in quanto rassicurante, sicura, lontana dall’indesiderato e dall’inatteso. E, simultaneamente, comincia ad insinuarsi in tale malinconica rassegnazione per una vita già da sempre prestabilita e dunque rigidamente quanto ineluttabilmente prefissata, un desiderio più profondo, recondito in quanto sottaciuto per tutta la vita da parte della protagonista: quello dell’indipendenza. Un anelito sorto nella Mary ancora bambina, appassionata delle letture dei fratelli, e cresciuto, seppur in sordina, lungo tutto il passaggio dall’infanzia all’adolescenza. La volontà di indipendenza, di “smettere di essere figlia prima di diventare moglie”, diventa il perno intorno al quale si costruisce e regge l’intero impianto della narrazione. Questa, da vagheggiamento puerile, pertanto totalmente astratto ed intangibile, si concretizza alla vista del dispiegarsi degli sconfinati ed ignoti orizzonti che si aprono a Mary nella vertiginosa dilatazione del proprio quotidiano realizzantesi nel corso del proprio soggiorno presso gli Areavaga.

Se il libro può ad un primo sguardo apparire anacronistico nella descrizione di situazioni completamente obsolete se comparate alla realtà contemporanea, va sottolineato d’altra parte il carattere del tutto innovativo, o addirittura avanguardista dell’opera della O’Brien, se relazionata all’epoca in cui venne scritta. L’anticonformismo del romanzo trova in Mary uno dei suoi punti di maggiore irradiamento, celandosi mimeticamente dietro ad un velo di remissiva accettazione ed adeguamento ad una tradizione fortemente conservatorista e ad una rigida morale cattolica. Ma ogni velo, per la propria natura sottile ed inevitabilmente fragile, lascia sempre filtrare qualcosa di ciò che vi si nasconde sotto, rischiando di uscirne definitivamente quanto irreversibilmente lacerato. In tale prospettiva dunque, l’elemento veramente caratteristico di Mary Lavelle si rivela nella presentazione della radicalità della distanza esistente fra il mondo di apparenze, sopra cui si regge il complesso sistema di relazioni sociali basate sulla necessità di un riconoscimento esterno e di una accettazione da parte degli altri, e il mondo del tutto autentico, per quanto contraddittorio e controverso, del proprio più intimo essere. Tale tensione sembra potersi avvertire entrando progressivamente in confidenza con i vari personaggi che si ha modo di incontrare nel corso della lettura, partendo dalla protagonista, passando per il circolo di miss irlandesi con cui si incontra/scontra Mary, per giungere sino ai vari membri della famiglia Areavaga. A rendere pertanto maggiormente avvincente la lettura di un romanzo la cui trama sembrerebbe poter essere semplicisticamente ridotta ad una storia d’amore impossibile, in quanto duramente osteggiata da una vita inimica, è senz’altro la considerazione e dunque la descrizione, da parte dell’autrice, dello stretto nesso reciprocamente vincolante le due dimensioni entro cui si gioca la consapevolezza di sé e del proprio rapporto con gli altri, in quel continuo ed instancabile oscillamento fra la predilezione dell’una e l’osservazione dell’altra. Cuore o ragione: in tale spietato aut-aut, nel quale sembra inevitabile imbattersi a chiunque tenti di sfuggire ad una vita apatica o quanto meno stabilita da qualcun’altro al proprio posto, l’adesione al primo sembra necessariamente comportare l’abbandono dell’altro e viceversa e la O’Brien sembra riuscire, con un’audace quanto cauta sottigliezza dei processi introspettivi, a rendere la drammaticità di tale umana, dunque universale, condizione, rivelando in tal modo quell’elemento pure rintracciabile nelle correnti elucubrazioni esistenzialiste e consistente nella vorticosa e quanto mai vertiginosa presa di coscienza dell’infinita dilatazione dei propri possibili.

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