Copertina di Tommaso Casoli

MEGARECENSIONI Vol.19 — Maggio 2018 Pt.1

Nove maggio m’hê scurdat’ / t’hanno vist’ ca’ turnavi ‘nziem’ a ‘n’at’ / nun me siente, nun me pienz’ / tengo ‘o core ca’ nun può purtà pacienz’

La Caduta
La Caduta 2016–18
12 min readMay 14, 2018

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AA.VV. — WW006

Questi sei pezzi di appena 25 minuti di durata fanno parte di una compila (figah) tirata su da doubledoubleu, etichetta indipendente milanese innervata di elettronica aperta a sperimentazioni e avant-pop e world music. WW006 è una bella sopresa in realtà, perchè ci sono dentro tanti artisti a me tutti sconosciuti e quindi ci si può buttare a capofitto senza inficiare l’ascolto; si passa dal flusso di Flux (prod. arua e Lexodus che rappa sopra) alle atmosfere sospese di Balance (dove è solo arua a figurare), passando a un accenno di cumbia elettronica nel remix di Night (di eego) a cura di FiloQ (Istituto italiano di Cumbia). Le produzioni sono di qualità e hanno il giusto tiro, si rimane incuriositi dallo sconosciuto e si è tentati di scoprirlo e approfondirlo: Moroccan Dream (a cura di Szlug) è una cavalcata cloud e ritmata che ci accompagna verso la psichedelia di Rubber (sempre a cura di eego ma questa volta ritoccata da Vito Gatto) e le note finali di Night ripresa da eego e modellata ben bene da A Safe Shelter, per un’ottima chiusura di compila di cassa dritta e incalzante, di sogni notturni di estati andate e ancora da venire. Bene, abbiamo scoperto tutti una nuova etichetta e dei nuovi musicisti. Meglio che niente, no? ()
Ascolta: tutto, dura poco e merita

6½/10

Asino — Amore

Due sono gli Asino, chitarra e batteria, quei power duo che mi piacciono un bel po’ perché meno si è a suonare più casino c’è da fare. I ragazzi tornano a distanza di qualche anno — era il 2014 quando uscì Muffa che ricordo con piacere — ora con Amore (otto con la intro di Sentirsi Male) e la loro miscela di rock sfumato di emo di math e di noise per sette pezzi collosi e ben costruiti che si infilano dritti nelle orecchie per far partire quantomeno il movimento della testa, tipico di chi pratica/ascolta questo tipo di musica. Le canzoni scorrono rapide e ben equilibrate nelle atmosfere (si tendono e si distendono), gli Asino non cantano tantissimo, diremmo che fan spoken word, ma questo forse è un valore aggiunto quando hai dei testi taglienti e ignoranti, da teste d’asino, ci manca il cappello e ci mettiamo tutti a ridere. Amore è un disco che ti fa venir voglia di andare a sentire i concerti dal vivo, che ti fa apprezzare la dissacrazione e l’ironia di questa sempre splendida giornata che si prospetta, pronta per esser presa a pugni in faccia: l’Asino costruisce palazzi altissimi dove il miglior renzo piano / tribolerebbe a scalare (Umberto Space Echo), analizza gli inservienti dei cessi pubblici a pagamento (Offensivo) e s’illumina quando beve il braulio (Enorme). All’Asino non gli devi rompere i coglioni, ti tocca solo starlo a sentire. ()
Ascolta: Enorme, Umberto Space Echo

7/10

Beach House — 7

I Beach House sono ormai membri fissi del ristrettissimo club delle band che non hanno mai pubblicato un brutto disco. Nonostante una prolificità non indifferente (dal 2006 hanno pubblicato sette album, una raccolta di b-sides e una manciata di singoli), il duo di Baltimora è stato sempre bravo a mantenere un’identità forte, senza mai stravolgere troppo ma declinando ad ogni situazione il suo suono fortemente riconoscibile. Questo gli ha permesso di guadagnarsi negli anni il titolo di trend-setter del dream pop internazionale. 7 è stato annunciato con un singolo, Lemon Glow, che è quasi certamente il loro miglior brano in assoluto, di conseguenza dal disco ci si aspettava un ulteriore salto di qualità del gruppo. I Beach House non hanno deluso le aspettative, tirando fuori un album ancora una volta quasi perfetto, che però non è la punta di diamante della loro discografia come molti erano pronti a scommettere (a mio avviso resta sempre Bloom). In tanti l’hanno definito il loro lavoro boldest, ovvero il più audace, quello maggiormente diretto e con meno patina onirica. Il ché è probabilmente vero, la voce di Victoria Legrand non è mai stata così nitida e chitarre e batterie mai così cattive. C’è una buona dose di pezzi veloci (Dark Spring, Lemon Glow, in parte Dive) per gli standard della band, delle ballad pazzesche (Drunk in L.A., Black Car) e addirittura un brano in francese (L’Inconnue — la Legrand è nata a Parigi). Se non siamo davanti al capolavoro assoluto dei Beach House poco ci manca. ()
Ascolta: Lemon Glow

8+/10

Buzzy Lee — Facepaint

Probabilmente il nome Buzzy Lee non dice granché a molti, anche se in realtà la ragazza che si cela dietro questo progetto porta un cognome che è un’eredità abbastanza ingombrante. Sasha Spielberg, questo il vero nome dell’artista, è infatti la figlia del regista Steven Spielberg, la prima avuta con la moglie Kate Capshaw. Essendo Facepaint il primo lavoro pubblicato dalla cantante, non poteva non essere affidato ad un produttore esperto, ed è così che si inserisce nel progetto anche il buon Nicolas Jaar. Il primo singolo, Coolhand, arriva inaspettatamente a febbraio di quest’anno e passa velocemente da sorpresa a uno dei pezzi pop più validi del 2018. Il mood un po’ retro ma allo stesso tempo fresco e in linea con gli ultimi lavori di Jaar si sposa benissimo con la voce leggera della Spielberg, le melodie i testi sono tutt’altro che scontati. Un paio di mesi dopo è la volta di No Her, brano questa volta più lento e cupo, in cui la voce si fa più suadente e i synth del producer cileno avvolgono progressivamente l’intera struttura ritmica. Le altre tre tracce che vanno a completare l’EP, uscito alla fine di aprile, sono più simili all’ultimo singolo: tre ballad molto notevoli, che però non raggiungono mai la forza di Coolhand. Facepaint è un ottimo biglietto da visita per la giovane Buzzy Lee, da cui ormai possiamo solo aspettarci grandi cose. ()
Ascolta: Coolhand

7½/10

Capo Plaza — 20

Lo scorso ottobre, dopo anni di gavetta sul tubo, il giovanissimo Capo Plaza pubblicava il video di Giovane Fuoriclasse, brano che anticipava il debuttante 20, uscito lo scorso Aprile per Sto Records/Warner. La storia di come quel brano abbia reso Capo Plaza uno dei nuovi astri nella scena trap è oramai nota a tutti — il video ha totalizzato, finora, circa 30 milioni di visualizzazioni; numeri davvero da capogiro. Dopo alcuni mesi di grazia, quindi, il rapper salernitano arriva alla prova del nove con questo primo disco solista, dimostrando di non essere all’altezza del ruolo che ricopre. Pur seguendo tutte le regole del genere, 20 suona troppo identico ai nuovi dischi dei (già) veterani della scena, vedi Rockstar di Sfera Ebbasta o Mowgli di Tedua. Per dire, un pezzo importante, sulla carta, come Tesla, che vede il featuring di Sfera e DrefGold, non sembra nient’altro che il clone di qualsiasi pezzo trap di tendenza in Italia. E lo stesso accade per gran parte del disco, dove tutto puzza troppo di già sentito e segue alla lettera la formula vincente. Fatta eccezione per alcune tracce, come Giù da me o Ne è valsa la pena (insieme al mentore Ghali), leggermente più solide e innovative, per il resto sembra di stare in un loop. Possiamo fare di meglio, ragazzi. ()
Ascolta: Giù da me, Ne è valsa la pena (feat. Ghali)

5 — /10

Carl Brave — Notti Brave

Con Polaroid Carl Brave x Franco126 avevano realizzato un piccolo gioiello rivelatosi poi uno dei fenomeni musicali del 2017: la combo istantanee della loro Roma + nostalgia e romanticismo aveva fatto breccia nei nostri cuori rendendoci tutti un po’ più romani, pischelli e non, grazie ad immagini tanto semplici quanto poetiche nella loro forma d’espressione estremamente sincera. Col suo debutto solista Carlo riparte da quel successo per costruire il discone pop della definitiva affermazione e, di fatto, ci riesce: con Notti Brave lo stile creato dal duo è messo sotto steroidi per sfornare quindici pezzi di indubitabile valore commerciale, ma che finiscono anche per minare la genuinità della musica. Tra questi si alternano futuri successi radiofonici (Fotografia e Malibu) e tracce decisamente dimenticabili (Accuccia: perché?), la maggior parte delle quali caratterizzate da quell’aura tropicale sentita l’anno scorso in Barceloneta. C’è più colore nelle immagini scattate da Carlo rispetto alle Polaroid create con l’amico, ma anche un ricalco eccessivo di tutte quelle formule (frasi incluse) rese iconiche dal disco del duo. L’album di Carlo rimane apprezzabile e ancora sincero ma le trame tessute dalla (meritata) consacrazione pop rischiano di rovinare l’originalità delle idee. ()
Ascolta: Malibu (feat. Gemitaiz), Pianto Noisy

6/10

Holiday Inn — Torbido

Gli Holiday Inn sono due, vengono da Roma est e hanno pubblicato Torbido, il loro primo full-lenght (in uscita per la cara Maple Death e per Avant! Records. Nove pezzi dall’attitudine sperimentale e rumorosa, con un filo di punk e uno di allucinazione, i ragazzi si sono fatti strada nell’ambiente underground e questo disco è una bella mazzata dritta dritta tra capo e collo. Come l’attacco di She e il proseguo di Dirty Town, gli Holiday Inn hanno capacità di catalizzare l’attenzione con movimenti ossessivi e ripetitivi, ti portano avanti per sfinimento e poi al momento giusto arriva il cambio, nuova energia, è un continuo crescendo che sembra non voler calare più, a meno che non siano gli stessi fautori a deciderlo. Continua dunque dritta la via diy sperimentale et hardcore presa dall’etichetta bolognese, che da quando ha cominciato ad operare non ha smesso mai di portare e far conoscere al pubblico suoni e ambienti inediti da realtà del sottosuolo. Torbido, col suo procedere allucinato e sghembo, si inserisce appieno in questo percorso e lo approfondisce ancor di più (penso a Feel Free!). Bravoni. ()
Ascolta: Dirty Town, I Don’t Want To Die (I’m Gonna Kill You), Feel Free!, No Speaking

7+/10

Iceage — Beyondless

Insieme a Idles, Preoccupations, Protomartyr e Soft Kill, i danesi Iceage sono uno dei gruppi più promettenti della scena post-punk contemporanea. Più che “promettenti “bisognerebbe dire che queste promesse sono già state soddisfatte, visto che con Beyondless arrivano al quarto LP e ancora una volta hanno colpito nel segno. Un album che già dalla copertina si fa intuire viscerale, carnale, peccaminoso. L’atmosfera è ricca e vivida, suscitante l’impressione visiva e sonora di una locale vecchio stile, con tanto di gruppo blues, whisky sul pavimento e fumo di sigaretta che ottunde la vista. Gli Iceage sono riusciti a plasmare sonorità punk-blues molto attuali, che catalizzano al massimo la melanconia e lo struggimento insiti in entrambi i generi (palese su Showtime, ad esempio), vivificandoli allo stesso tempo con linfa fresca. Un cambio di rotta rispetto gli album precedenti che, seppur condividevano lo stesso ventaglio di emozioni, possedevano una maggiore incisività e caoticità di suoni. I toni si sono rilassati, le parti strumentali più canoniche e regolari; una marcia cadenzata, avvolta dalla voce monolitica di Rønnenfelt. Una punto in meno che viene compensato da una buona costruzione dei brani, alcuni dei quali (come Catch It e Thieves Like Us) presentano delle climax ascendenti notevoli, arricchite dalla presenza sporadica di strumentazioni aggiuntive, come gli azzeccati archi sul finale di Take it All. in sostanza gli Iceage hanno dato un taglio molto più classico ed “orecchiabile” al loro lavoro, riuscendo comunque a mantenere la loro impronta visibile sotto la polvere. Il post-punk più caotico (di cui restano lievissimi sentori in Beyondless, Hurrah e nel finale della già citata Catch It) lascia il passo ad un approccio più vicino ad un Nick Cave o a gli Stooges, ma che non dimentica le sue radici. Un piccolo passo indietro, a mio parere, che nonostante abbia reso l’ascolto molto più semplice e piacevole, ha privato gli Iceage di buona parte della loro stazza sonora, rendendoli un po’ insipidi, a lungo andare. You’re Nothing, che risale a ben cinque anni fa, si fa rimpiangere, ma non fino in fondo. ()
Ascolta: Hurrah

7 — /10

Nu Guinea — Nuova Napoli

Da quando i 99 Posse hanno iniziato ad essere più conosciuti come pagina Facebook politica che come gruppo musicale sembrava abbastanza improbabile una nuova imminente ondata di dialetto napoletano sulla musica pop italiana. E invece nel giro di qualche anno ecco Enzo Dong, ma soprattutto Liberato: uno che, al di là di gusti e discorsi sulla credibilità del progetto, è riuscito a scansare dagli occhi del resto d’Italia l’immaginario criminale à la Gomorra per fare posto a una Napoli fatta, sì, di cliché, ma anche nuovamente cool e universale. Approfittando di questo nuovo sdoganamento Massimo Di Lena e Lucio Aquilina, due napoletani a Berlino, hanno riallacciato i legami con la loro città natale pubblicando il disco d’esordio del loro duo: Nu Guinea. Nuova Napoli, lo dico senza problemi, è uno dei migliori album italiani usciti finora quest’anno e riesce ad unire degli spunti locali e tradizionali, fatti di Eduardo De Filippo e Pino Daniele, a dei suoni ibridi tra il suonato e il sample, tra l’Italia e il resto del mondo. Nelle sette tracce del disco si uniscono funk, soul, house e jazz. Un jazz che ricorda molto Troupeau Bleu dei Cortex, uno degli album europei più campionati dal rap made in USA. Mezz’ora di ascolto basta e avanza per farsi venire il buon umore e in caso non bastasse ascoltatevelo pure a ripetizione, ché non guasta. Non è un caso che Liberato per il suo esordio dal vivo a Napoli abbia scelto questi due ragazzi per scaldare il palco. ()
Ascolta: Ddoje facce

8½/10

Phlebas — Till human voices wake us, and we drown

Il progetto Phlebas già dal nome si lega a doppio nodo con il lavoro del caro et sempiterno T.S. Eliot. Phlebas è infatti il marinaio fenicio annegato, personaggio misterioso della Wasteland eliotiana. I Phlebas nascono un paio d’anni fa proprio con l’intento di mettere in musica le parole del poeta: dopo un po’ di sano peregrinare, i nostri approdano a Till human voices wake us, and we drown, primo disco ufficiale del trio (tutto marchigiano from Fabriano city carta wave), una serie di 8 pezzi che si muovono tra acustico e post rock, percussioni inventate e zero sezioni ritmiche vere, Phlebas si posiziona in una strana linea di confine dove la musica è a servizio delle parole e viceversa, dove il tutto onirico viene amalgamato con spontaneità e precisione. I testi sono in inglese, così come vuole il poeta e la tradizione, provengono da scritti minori di Eliot e sono ovviamente parte fondamentale per la comprensione del viaggio del marinaio. Insomma, la sincerità musicale dei Phlebas ci toglie l’obbligo del tempo e dello spazio, eleva l’ascolto a maggior attenzione, infonde quiete nell’animo, rilassa. Pezzi forti: Lao, Sultriness, Heiress — anche se il disco io vi consiglio di sentirvelo tutto. Pump it. ()
Ascolta: Lao, Sultriness, poi tutto dall’inizio

7½/10

Suvari — Prove per un incendio

Nella fase post-indie che stiamo vivendo in Italia — dove nel giro di pochi anni, ragazzi che vedevi suonare (e bere) al bar sotto casa, ora riempiono gli stadi, le arene e i grandi palchi — non è per nulla facile scrivere e produrre un disco pop che possa lasciare il segno. Eppure, in questo primo quarto del 2018, Luca De Santis in arte Suvari è riuscito nell’impresa. Pubblicato lo scorso 23 Marzo per To Lose La Track, Prove per un incendio è un’opera coloratissima e molto variegata, figlia di un approccio compositivo maturo e accurato. Sopra una struttura di base legata alla classica formula del pop, caratterizzata da pezzi brevi e semplici, le influenze new wave e post-punk rendono ogni canzone una storia a sé, musicalmente parlando. Tutte sembrano far parte di un ecosistema condiviso straripante di synth a tratti elettrizzanti a tratti diluiti, ma ciascuna si identifica come una creatura unica nel suo essere. Oltre le apparenze, Prove per un incendio è un album sofferto, nel senso che nasce dopo anni di esperienze traumatiche vissute in prima persona dall’autore. Ma invece di trasmettere cupezza o immaginare oscurità, sprigiona un’energia positiva e solare, dando vita ad un lieto paradosso. Un disco, quindi, che è anche una liberazione. Bellissima. ()
Ascolta: Per lasciarsi trasportare, Per quel che vale (feat. LAGS)

7+/10

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