Photo Credits: Tommaso Tecchi

Mi Ami davvero anche senza filtri?

Perché lì stanno le cose che ci piacciono: i dischi, le foto, i registi, i marchingegni alla moda, le muse, gli artisti e sentirci diversi, creativi, speciali, tutto tranne normali

Edoardo Piron
La Caduta 2016–18
10 min readJun 1, 2017

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E intanto a Milano è arrivata la fine di maggio, le bici riemergono dalle cantine, le gambe delle ragazze dai pantaloni lunghi, le birre fredde seduti sui prati e i concerti all’aperto ci fanno scivolare lentamente verso giugno. In questo periodo, tutto ciò che d’inverno rimane nascosto ritorna e si raccoglie in un evento a cui noi della Milano indie-risvoltinata non possiamo mancare: il Mi Ami Festival al Magnolia. Per chi non lo conoscesse, si tratta di un festival organizzato da Rockit in cui vengono invitati a suonare tutti gli artisti che nel corso dell’anno si sono creati dell’hype attorno, con l’uscita di nuovi dischi o singoli, ma che rappresentino un po’ quello che si definisce indie in Italia — un argomento caldo che il Mi Ami riesce a rendere bollente. In ogni caso, il festival si sviluppa nell’arco di tre serate; quest’anno le date sono state giovedì 25, venerdì 26 e sabato 27 maggio.

Al Mi Ami Festival si va per diversi motivi, ma quello che accomuna gran parte di noi infelici e scontenti cronici è lamentarci di alcune band/cantanti e fare dei piccoli gesti di sciopero quando si esibiscono, trascorrendo il tempo a lamentarsi di “quanto mi fanno cagare X”, “quanto lo odio Y”, “Z è davvero un cane” e così via.

Terno al Lotto

Proprio per questo mio essere così simpatico, aperto e per niente critico, giovedì non sono andato. Per Carmen Consoli un saltino lo avrei anche fatto, ma poi mi sono detto esticazzi (traducibile nella combo Zen Circus + Pan del Diavolo).

Ah, dimenticavo una cosa essenziale del Mi Ami: si vivono situazioni estreme e spesso disagianti tra il pubblico, perché alla fine si beve sempre un po’ troppo, ci si lascia andare ancora più di un po’ troppo e la mattina dopo si ha sempre quel sentore di ricordarsi figure di merda incredibili che stai già ripetendo la sera dopo in un loop senza fine. Poi però, tutto questo disagio (che io adoro) scompare grazie ai filtri Instagram, perché siamo tutti bellissimi in foto, nei video cantiamo e facciamo battute originali e lo schifo di ognuno di noi, che non viene immortalato, rimane un ricordo confuso in te, negli altri, sperando che gli altri siano pochi.

Giorno 2. Venerdì 26 maggio

Esco dall’ufficio vestito a modino causa colloquio di lavoro, monto sulla bici e mi fiondo a casa di amici pronti per andare al Magnolia a fare bagarre. Si pedala a duemila, senza pensare che poi lo sforzo sulle gambe peserà nelle prossime ore da trascorrere in piedi, ma si va per adrenalina. Dopo una ruota bucata, eccoci al Magnolia, con un clima fantastico (anche se non è Rio De Janeiro), si fa la fila, si prende la birra gratis (per chi va al festival in bici) e si entra. I palchi sono tre, il primo sulla sinistra è il palco di media grandezza, anche se quest’anno, rispetto allo scorso, è quantomeno decuplicato nelle dimensioni. Con il finale di Blatte di Colombre in sottofondo inizia la mia avventura e si comincia con la solita socializzazione a salutare persone, raccontare cose e lamentarsi già della line-up. Sì, perché effettivamente in molti sono poco convinti, pochi sono i nomi che attendo con ansia, ma non sarà questo a fermarci.

Un saluto al più grande era d’obbligo

Birretta fredda e sono già le 20.35, orario di inizio del duo rap Carl Brave x Franco126 che salgono sul palco Rizla accompagnati da una band e da tanto alcool. Entrambi con gli occhiali da sole biascicano frasi in romanaccio, tipo “Daje rigà, fate ‘n po’ de caciara” oppure “Fateve sentì fino a Roma e il pubblico risponde con grande entusiasmo. Il problema è quando attaccano a cantare: entrambi con l’autotune provano ad armonizzare stonando il 70% delle volte e il mio volto è sinceramente imbarazzato; ma la gente canta, è felice e l’attitude dei due di Roma è talmente punk da farmi prendere bene anche a me, nonostante l’esibizione non sia delle migliori. Rimango stupito da quanta gente ci sia e quanta gente conosca tutti i testi a memoria: evidentemente le stonature contano poco, quel che resta sono le birre rovesciate e un modo di fare che vale tutto lo show.

Le mie orecchie a un certo punto iniziano a chiedere pietà, ma soprattutto hanno iniziato a suonare sul palco Dr. Martens (quello centrale) i Drink To Me, nel loro ultimo live milanese. Sento un po’ di nostalgia anche dovuta dal fatto che gran parte del pubblico è ancora a sentire il duo di Roma e penso tra me e me che mi dispiace molto che non ci sia tanta gente a salutare una grande band. Il live non è niente male, il tiro è quello giusto come al solito e i tre ci fanno divertire.

Non si riesce a stare fermi, altro drink e via da Dutch Nazari, che si sta esibendo al palco Raffles Milano (il più piccolo, arricchito dalle proiezioni di illustrazioni live davvero fighissime) e non mi convince molto, dal vivo ho come l’impressione che gli manchi un po’ qualcosa. Non troppo concentrato su questo live arrivano le 22 e finalmente un concerto che aspettavo con ansia: Giorgio Poi. Lo avevo già sentito dal vivo ed era stato molto valido, perché sia lui che la sua band sono dei musicisti incredibili e la qualità è davvero alta. La platea pullula e le hit (Tubature e Niente di strano) vengono cantate a squarciagola da tutti. Finalmente un’esibizione soddisfacente, Giorgio Poi si dimostra ufficialmente non come la nuova big thing italiana che compare anche su TV Sorrisi e Canzoni ma come un musicista serio e capace, valido, che sa scrivere canzoni ben fatte.

GiorgioP che strimpella un po’

Da qui il tracollo, realizzo di non avere ingurgitato nulla di solido ma di aver bevuto ininterrottamente per quattro ore e il Mi Ami si offusca un po’. A quel punto tutto diventa ordinaria amministrazione dell’arte della sopravivvenza: due dita in gola e si riparte, anche se con un senso di grande tristezza, consapevole di star buttando fuori almeno 30 euro di alcol.

Il problema grosso è che in questa fascia oraria non c’è nulla che mi farebbe preferire la musica alle due dita in gola: Coez e Baustelle. Giro, ascoltando qua e là facendo conoscenze e provando a non essere tanto imbruttito e molesto. Ma alla prima ragazza che mi ferma e mi prende per le mani, facendomi ballare in cerchio, capisco che forse non sono messo poi così male, forse c’è qualcuno che sta peggio.

Al Mi Ami, amami o faccio un casino

L’hype è tangibile nell’aria quando arriva l’una, era tanto che si aspettava questo momento, poter finalmente ammirare dal vivo, alla sua prima esibizione, dopo due singoli, NOVE MAGGIO e TU T’E SCURDAT’ ‘E ME, Liberato: il parterre è pienissimo di gente, tutti pronti, carichi, per scoprire CHI CAZZO SIA ‘STO LIBERATO. Sono anche io gasatissimo. E finalmente compaiono quattro persone sul palco, quattro facce già viste, con una forte luce che ci arriva dritta negli occhi per mantenere un po’ di mistero. Quello basso col cappello con la visiera, ci mettiamo 0.1 secondi a capire che è Calcutta, poi si intravedono anche Izi, Priestess e Dj Shablo. ODDIO, MA QUINDI LIBERATO SONO LORO? Non si capisce più niente, partono teorie complottistiche che manco i 5 stelle, chi pensa ad un troll, chi pensa che sia stata tutta un’idea di Calcutta, chi invece sostiene che Calcutta sia morto e sia stato sostituito da un sosia trovato dai servizi segreti italiani che però ha un forte accento napoletano. A me esplode solo il cervello e mi diverto. Più cellulari che mani per aria riprendono questo momento: sembra quasi che sia arrivata Emily Ratajkowski ad un raduno di Calciatori Brutti.

“ma è Calcuttaaa, io lo sapevoooo, oddioooo nooo”

La serata è quasi finita, ma c’è ancora un po’ di tempo per ballare un po’ di trap con RRR Mob e con Maruego e per farsi dolcemente offrire un bell’hot dog al chili per finalmente ricordare cosa significhi davvero masticare. Riprendo la bici e barcollante torno a casa.

Giorno 3. Sabato 27 maggio

Sveglia presto tipo alle 13, si mangia una cosa e si riparte, sempre in bici, perché ad una birra gratis non si sa dire di no. Si arriva al Magnolia alle 18, purtroppo mi sono perso i Leute, band che ammiro (e ammiriamo) un sacco, ma è andata così e non mi butto giù. Continuo a girare senza ascoltare niente perché sia Persian Pelican e soprattutto i Dulcamara non mi convincono proprio, entrambi sul palco Rizla, con gli ultimi in particolare che mi ricordano un po’ i Thegiornalisti e ho detto tutto. Mi stupiscono i Les Enfants, che riconosco non essere una band che fa parte dei miei gusti ma sono bravi, reggono bene il palco e hanno uno stile tutto loro, cosa rara al giorno d’oggi.

Al palco Dr. Martens arriva Christaux alle 20, un artista molto capace e dal tiro internazionale, davvero interessante; purtroppo lo abbandono presto per andare a vedere i Gomma al Rizla e per canticchiare un po’, perché oh, a me loro mi piacciono. E infatti il live infiamma il pubblico che poga manco stessero suonando i Black Flag e i quattro giuovincelli campani spaccano tutto, facendo punk-emo-core-pop nel loro stile.

Intorno alle 21 mi piglia una crisi nera perché sui due palchi grandi stanno suonando da una parte i Management del dolore post-operatorio e dall’altra i Canova. Non so che pesci prendere e realizzo che potrei MANGIARE per non fare la cazzata del giorno prima. Buonissimo il cibo, soprattutto lontano da quei due palchi.

Superata questa ora, ecco che arriva il momento più bello del Mi Ami festival, alle 22 sale sul palco uno dei più grandi di sempre della storia della musica italiana che, anche stavolta, piscia in testa a tutti con un’esibizione da lacrime, “spaziale”, meravigliosa, con davvero pochi paragoni: Edda. Mamma mia Stefano Rampoldi, che cosa combini con quella voce, la pelle d’oca ad urlare come bambini i tuoi pezzi, sei tutto, sei Dio e ci puoi inculare tutti. 50 minuti di musica ad altissimo livello, meno gente del giorno prima allo stesso orario, ma poco importa, forse anche meglio perché Edda è Amore e noi lo amiamo tutti.

Resta poco da dire, piangiamo tutti insieme

Un altro momento morto è dietro l’angolo con The Winstons e Le Luci della Centrale Elettrica che si esibiscono sui due palchi grandi, con Vascone Brondi che fa impazzire le giovincelle baldanzose e le fa cantare senza pietà alcuna; soprattutto verso di me, che scappo e mi faccio un giro risanatorio per recuperare il mio cuore spezzato da Edda.

VascoB in tutta la sua Vascosità

È alle 00.30 che arriva una delle esibizioni che più aspettavo, LA CUMBIAAA. Sì perché suona l’Istituto Italiano di Cumbia, che si dimostra essere uno dei live più divertenti del Mi Ami, se non addirittura il più divertente, perché chi non riesce a ballare questa roba diventa di diritto la persona più noiosa del pianeta. Poco da fare, sculetto quindi al palco Raffles Milano, dove si alza un polverone dato dal terriccio e dalla gente che salta sul terreno, sbattendo i piedi senza perdersi in chiacchiere. Ahh la cumbia, ahh come mi diverto.

Calcutta è pure Popx

Ma è arrivato il momento Pop_X e al palco centrale c’è una ressa gigantesca, tutti spappolati, tutti già a livelli alcolemici molto interessanti, tutti pronti a riprendere questa esibizione e fare Instagram stories a perdifiato. E così è, ma Pop_X si dimostra un gruppo davvero senza alcun senso logico, il live perde di significato con la loro stessa presenza, con le basi preregistrate, voci con autotune, momenti di silenzio, uomini in mutande, Calcutta (ancora lui) che sale sul palco con tre cocktail che fa girare tra tutti e, tra “grandi classici” cantati da tutti e con tutti in enorme difficoltà data dall’impossibilità di ballare un po’ a causa dell’andazzo del concerto un po’ per il livello di nosense della musica e delle scritte che vengono proiettate, si rimane un po’ delusi. Sì, perché c’era una grande aspettativa ma ho come la sensazione che sia tutto fatto un po’ così a macchietta, senza una vera idea. Forse perché il senso del nosense non esiste. La musica si interrompe di colpo, forse perché uno della band decide di spaccare per terra una ciabatta con tutte le prese attaccate e confusi ci si muove in massa verso altri lidi, alla ricerca di un po’ di logica e razionalità. E chi è che ci può dare tutto questo? Sicuramente Populous con della musica un po’ più dritta e sensata e, quando faccio la conoscenza di un bel sorriso a cui offro anche da bere ben due shot di vodka con i miei ultimi 10 euro (sono un signore, lo so), capisco che in qualche modo sono felice di tutto questo.

Tutti Missili

Perché nel complesso la gente è lì per vivere un momento di unione universale, per poter perdere un po’ la testa senza pensare alla settimana che sta già per arrivare, per non fare progetti, per friggersi un po’ il cervello e per chissà trovare una piccola gioia in una vita che si fatica ad inquadrare. In bici a duecento all’ora con l’aria fresca in faccia, andiamo tutti insieme a berci l’ultimo drink al baretto solito e aspettare, per un altro anno, il Mi Ami, perché sì, non smettiamo mai di lamentarci della musica, della line-up, di quanto avremmo fatto meglio noi, ma poi, in fondo, la vera domanda rimane sempre la stessa: come sarebbe la nostra vita senza?

Photo credits: Azzurra Ligurgo

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