Illustrazione di Beatrice Schena

Primo episodio della nuova serie di speciali dedicati alle console e alle idee che hanno attraversato il passato, con uno sguardo al presente e al futuro

Diggin’ In The Boxes — Il meglio su PSOne

Tutto il buono che vorremmo oggi dalla prima machina di Sony

Graziano Salini
La Caduta 2016–18
10 min readNov 2, 2017

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Videoludicamente parlando non c’è molto di cui lamentarsi se prendiamo in esame gli ultimi tre o quattro anni. Nintendo è rinsavita dopo una Wii U insipida e mal gestita, Microsoft muove quotidianamente degli splendidi passi verso un futuro (a mio parere splendido) fatto di crossplay e di videogiochi belli a prescindere dalla piattaforma su cui girano, Sony macina grandi numeri su grandi numeri grazie ad un parco titoli mai stato così agguerrito nel corso degli ultimi tempi.

Il passato però continua a far capolino nel quotidiano, complici anche piattaforme a metà tra il money grabbing e la conservazione del media.
Rifacimenti o porting in hd sembrano essere all’ordine del giorno aiutando i nostalgici ed i curiosi a soddisfare le proprie voglie.

Questi rifacimenti hanno un valore monetario interessante per chi li produce, permettono di ottenere guadagni di tutto rispetto con sforzi inferiori alla costruzioni di titoli dalla base (e questo lo sapevamo già).
Più interessante invece l’aspetto puramente educativo di questo genere di operazioni: è possibile comprendere in forma ridotta cosa all’epoca fosse “la moda” e come questa venisse applicata.

Il fenomeno è grande e stratificato, per oggi proviamo ad analizzarne solo una porzione: quella più cara a chi, come me, deve il suo bagaglio videoludico culturale alla prima console Sony e a quello che ha rappresentato.

Playstation1 ed il culto della terza dimensione

Tutti conoscono la storia della prima console Sony, morta come lettore CD per il Super Nintendo e rinata come macchina stand-alone. Appartenente alla quinta generazione di console, la penultima per ordine di uscita (fu seguita infatti soltanto dal tridentone a 64bit di Nintendo) sconfisse tutte le altre pretendenti al trono con una combo letale di prezzo, parco giochi, estetica e pirateria.

Questa è la famosa tech demo che cercava di presentare al grande pubblico la grafica poligonale della console sony.

Per la prima volta la terza dimensione applicata al videogioco diventava pop, arrivava nelle case di tutti portando prodotti, spesso di qualità, ad un prezzo accettabile. Iniziano a comparire le prime sperimentazioni in ambito ludico ed estetico attraverso il mezzo sony, compaiono i primi fondali pre-renderizzati, le FMV (Full Motion Video in Computer Graphic, grande parte di ciò che ha determinato il successo del primo capitolo di Final Fantasy sulla piattaforma) o l’estetica Low Poly.

Il gameplay inizia a spostare il suo asse di interesse sulla Z, ad esempio nei picchiaduro dal primo esperimento di movimento tridimensionale cristallizzato in Battle Arena Toshinden (titolo di lancio) passiamo ai curiosi ibridi RPG con Tobal (con character design firmato da niente poco di meno che Akira Toriyama) al successo ludico di Tekken 3, anni ed anni dopo.

Gli esempi sono fortunatamente infiniti, abbandoniamo le enumerazioni e passiamo invece a dei concetti più generali. Cosa può la nostra attuale generazione di console (e quella successiva magari) imparare dal passato?

La telecamera fissa, il pre-renderizzato e la costruzione cinematografica del gameplay

Il videogioco, nel corso della sua breve vita, ha scimmiottato sempre il mondo cinematografico tentando di imitarlo; il primi esperimenti in tal senso sono precedenti all’esperienza Playstation e si rintracciano in capolavori come Another World o Flashback di Éric Chahi e la sua Delphine Software International. La stessa Delphine riproverà a sua formula su PS1 con un Fade To Black che però finirà per perdere la composizione che aveva reso i titoli precedenti pietre miliari.

Il primo passo è stato sfruttare al capienza del vettore CD-ROM per inserire scenari pre-renderizzati (cioè, ininfluenti sul calcolo in tempo reale della console) in grado di donare atmosfera e dettagli al lato grafico di un titolo.
Esempi fulgidi sono la quasi totalità dei JRPG presenti sulla prima console sony: Final Fantasy VII, VIII, IX, Legend Of Dragoon, Chrono Cross etc.

Il temporal vortex di Chrono Cross è uno dei più fulgidi esempi di come a volte un semplice background pre-renderizzato cambi le carte in tavola in favore della spettacolarità.

Esiste però un genere di videogiochi che ha saputo sfruttare ancor di più questa caratteristica utilizzando in contemporanea dei movimenti forzati di camera in grado di generare emozioni: i survival horror con Resident Evil sul trono. I movimenti di camera attingono al cinema romeriano con forza donando al titolo una fortissima identità ed un altrettanto forte richiamo di natura cinematografica; tutt’ora pochi giochi possono vantare un alone di spavento pari a quello dei corridoi di villa Spencer.

Al momento attuale sono pochi, pochissimi i giochi che tramite le inquadrature fisse creano un idea di gameplay; Until Dawn è uno di questi in grado di utilizzare in modo saggio le costrizioni della telecamera senza però sfociare in un gameplay funzionale e realmente divertente.

Nasce quindi un po’ il rimorso nel non aver più visto qualcosa in grado di fare dei suoi limiti virtù. Qualche esperimento senza telecamera mobile sarebbe interessante da vedere.

Cosa vogliamo ora ?

Un esperimento dove il gameplay incontri le forzature di telecamera che tanto hanno fatto impazzire i giocatori anni novanta, qualcosa che risulti cinematografico senza dover per forza usare esplosioni e fotorealismo.

Vib Ribbon ed il suo audiosurf ante-litteram

Audiosurf arriva nel 2008 e mostra al mondo come sia possibile creare un rhythm game infinito attraverso la generazione procedurale dei pattern da seguire a tempo di musica. Vib Ribbon faceva una cosa simile nove anni prima.

Il titolo di NanaOn-Sha, già creatori del leggendario Parappa The Rapper, gioca con il formato fisico e lo rende parte integrante del gameplay. Il nostro obbiettivo sarà di guidare il coniglio Vibri attraverso dei livelli generati in base alla traccia audio che sceglieremo. L’engine del gioco infatti si occuperà di analizzare l’eventuale canzoni e di crearci sopra un percorso sensato di pulsanti e movimenti da effettuare per concludere la nostra missione.

Vib Ribbon è stato selezionato dal MoMa assieme ad altri dodici titoli per essere inserito nella collezione videoludica del museo.

Mentre la grafica wireframe che richiama in modo (magari involontario) l’italianissima Linea di Cavandoli è sopravvissuta con onore al passare degli anni, non possiamo dire la stessa cosa del meccanismo che anima il gameplay a causa del progresso.

La nostra esperienza in fatto di musica non è più prettamente fisica, la musica si può streammare ed acquistare in formato digitale. Questo ha lasciato l’amaro in bocca a chi il titolo lo ha giocato nel 2014 che si trovava “solo” con la possibilità del cd-swap presente sull’originale PS1.

Cosa vogliamo ora ?

Vib Ribbon ma con il support a Spotify o a Apple Music. L’intera libreria musicale dell’internet alle prese con un generatore procedurale di livelli per vedere il proprio Vibri danzare sulla trap o il grindcore progressive vegetariano (sic.)
E le Leaderboard online, ovviamente.

G-Police, Colony Wars e viva davvero quella fantascienza

Psygnosis è un nome che dovrebbe far drizzare le orecchie ai più anziani tra i lettori; la software house inglese infatti è responsabile di alcune dei titoli più apprezzati della storia sia come creatrice vera e propria (Shadow of the beast, Wipeout etc etc) che come publisher (Lemmings della DMA Design).

Nel 1993 Sony esegue il colpaccio, acquisisce Psygnosis stessa e la mette al lavoro su una buona quantità di titoli che manterranno saldo il buon nome dell’azienda fino alla sua completa trasformazione in SCE Liverpool Studio.

Dopo aver creato/distrubuito titoli di grande valore storico per la console come Destruction Derby o Alundra nel 1997 iniziano a creare la loro versione dello shooter fantascientifico in prima e terza persona.

Arriva G-Police, titolo ambientato su di una luna di Giove in cui ci troveremo a dover fare i conti con atmosfere blade-runneriane ed un veivolo attrezzato di tutto punto per affrontare il crimine che imperante tartassa il luogo.
Psygnosis la pensa bene ed inizia ad arricchire un immaginario con tocchi di classe, una nebbia furbetta che aiuta il rendering dei poligoni attorno e consegna al pubblico un titolo misconosciuto che all’epoca.

Nello stesso anno, in un blitz creativo aiutato dai ridotti tempi di sviluppo necessari all’epoca per creare un videogioco rilasciano anche il primo capitolo di una trilogia sul combattimento spaziale: Colony Wars.

Colony Wars arriva e continua ciò che Wing Commander aveva iniziato anni prima; combattimenti interstellari con diverse navi, cockpit ed interfacce che richiamano a grande nome i lavori che lo studio the designers republichanno realizzato per la serie di Wipeout.
Da Wing Commander provengono anche le scelte multiple all’interno della storia, in un gameplay al game over affianca la route B a livello di trama. Fallire in un obbiettivo non significherà fallire la missione ma soltanto vedere quest’ultima cambiare forma; il titolo si evolve in modo naturale, lasciandosi giocare a prescindere dalle proprie abilità.

Colony Wars finirà per dare vita a due sequel di eguale pregio ludico/tecnico senza però vedere niente negli anni successivi con lo stesso topos e la stessa ispirazioen.

Cosa vogliamo ora ?

Uno Space-Sim duro e puro di matrice non-open world su console attento ai particolari che ci metta meno di Star Citizen per uscire ad esempio.
Se proprio non vogliono fare una nuova IP qualcuno rifaccia gli asset di Colony Wars e lo rimetta a nuovo.

Incredibile Crisis e il Giappone migliore

Incredibile Crisis sprizza spirito nipponico da ogni poro. Kenichi Nishi (Che pochi anni dopo darà vita a quella software house spettacolare che è stata Love-De-Lic Inc) riassume, in ventiquattro minigiochi uno più impazzito del precedente, il viaggio di ritorno da scuola/lavoro dei membri di una famiglia del ceto medio giapponese tutta doveri e nessun piacere.

A livello pratico la quantità di cose da fare non è esagerata: premeremo pulsanti a ripetizioni/a tempo ed in una mistura imprecisa di queste due modalità. I minigiochi finiscono per essere più di mero gameplay; se comparati con i giorni nostri sfigurano sotto ogni punto di vista ma finiscono per apparire come fortunate sinergie tra azione, musica e aspetto visivo.

Un gioco incredibilmente divertente e pieno di personalità nonostante la completa mancanza di quello che ad oggi sono i cardini dei gameplay.
Nessun open world, nessun free roaming e nessuna statistica su cui applicare la matematica. Sono pillole di gameplay infuocate da mandare giù una dopo l’altra, un wario ware dopo sostanze psicotrope illegali.

Un monito di cosa era il game design giapponese prima dell’esplosione mobile nel paese del sol levante, uno stile quasi da salvaguardare.

Tipico momento di gameplay.

Cosa vogliamo ora ?

Un contenitore intriso dello stesso spirito punk nipponico in un contesto tecnico moderno, con un utilizzo intelligente dei contenuti scaricabili al fine di aggiungere gameplay, magari ispirandosi alla forma episodica ormai comune nelle avventure grafiche di Telltale.

Boku no Natsuyasumi e il candore della giovinezza

2. vita serena e tranquilla, simile a quella rappresentata negli idilli; accordo perfetto, ideale: vivere in pieno idillio

3. breve componimento lirico di argomento campestre e pastorale, tipico dell’epoca greco-ellenistica: un idillio di Teocrito | ogni lirica in cui si idealizzi la vita campestre, considerata come rifugio di pace e letizia

Senza volerlo, il vocabolario è in grado di dare un’ accurata definizione a quello che un videogioco è riuscito ad incapsulare nel corso del suo svolgimento, dolce e tenerone come quelle calde estate che passavamo dai nonni in campagna.

Boku no Natsuyasumi, primo titolo di Millennium Kitchen, è la traslazione di quel significato. Un videogioco intristo di, appunto, una tenera dolcezza infantile esplicata in un gameplay dove il nostro obbiettivo principale è “godersi il tempo che passa”.

Nel corpo di un bambino di nove anni, tale Boku, avremo il compito di sopravvivere al nostro mese premio dagli zii in una zona rurale del Giappone catturando insetti, pescando nello stagno o facendo semplicemente volare il nostro aquilone preferito. Nostra madre è al suo ultimo mese di gravidanza e noi siamo al nostro primo vero e proprio momento di libertà, un momento testare lentamente nel corso di trentuno giorni d’agosto.

Prima di ogni walking simulator, Boku No Natsuyasumi si impegna a far emozionare i giocatori attraverso narrazione e gameplay, non perfettamente integrati ma in grado di generare sinergia. Del lavoro di Millenium Kitchen rimangono, a distanza di anni, incredibili le tratteggiature dell’ambiente e l’atmosfera generata, tanto cara agli anime quanto alla vita di tutti noi che siamo stati bambini spensierati almeno una volta.

Le lotte tra insetti erano un tempo molto comune tra i giovani giapponesi prima dell’avvento dell’elettronica

Cosa vogliamo ora ?

Di Boku no Natsuyasumi abbiamo già qualche port e seguito, è interessante però come le meccaniche rilassate siano state travolte dal non-gameplay dei walking simulator e trasformate in narrativa pura.
Sarebbe interessante notare una deviazione nel percorso, un ritorno al gioco vero e proprio con tematiche simili. Di nuovo, un trattato sulla bontà della giovinezza realizzata con l’amore che merita.

Tra i duemila titoli della libreria Playstation hanno trovato spazio idee meritevoli di conservazione e aborti destinati all’oblio (meritato).
Il primo episodio finisce qui, la prossima andremo ad aprire il sacchetto dell’umido per vedere cosa ci siamo persi.

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Graziano Salini
La Caduta 2016–18

Videogiochi, musica ed entrambe le cose mischiate assieme in qualche modo.