Musica universale — Intervista a Giorgio Poi

Abbiamo incontrato Giorgio a Pesaro per una bellissima intervista su un sacco di cose: la musica, la vita nomade, l’essere Italiani in casa e all’estero.

Enrico Del Bianco
La Caduta 2016–18

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Riusciti ad arrangiare un’intervista grazie a Marco Roscetti — che da anni organizza la vita culturale indiependente di Pesaro — abbiamo potuto incontrare Giorgio Po(t)i, che ammiriamo profondamente come musicista — e grazie a quest’intervista anche come persona. Ecco il contenuto dei 40 minuti in cui abbiamo vessato Giorgio con le nostre domande.

Ciao Giorgio, la mia prima domanda mi è venuta guardando il soundcheck: dove e come hai trovato la tua backing band?

Loro (Matteo Domenichelli per basso e tastiere e Francesco Aprili alla batteria) li conoscevo da un po’ di anni in realtà, perché con il loro gruppo avevano aperto un concerto del mio vecchio gruppo Vadoinmessico — quindi ci eravamo conosciuti in quell’occasione. Loro erano proprio ragazzini, avevano che ne so, vent’anni, diciott’anni — io ne avevo venticinque, ventisette. Li ho visti suonare, erano già bravi, ma poi son passati un po’ di anni, in realtà. Nel momento in cui io ero in contatto con Bomba Dischi e già avevamo deciso di far uscire il disco insieme e tutto quanto, si pensava a chi potevano essere dei candidati per suonare batteria e basso e ho pensato subito a loro. Anche Davide di Bomba Dischi mi ha detto “Loro secondo me son perfetti”, perché il loro gruppo era già sotto l’etichetta loro poi.

Suonate molto bene insieme, ma le parti le scrivi te, vero?

Sì, il disco l’ho fatto da solo, ho registrato tutto in una stanzetta a Berlino.

Wow! Comunque ho letto un po’ di riviste che hai fatto, quella di Rolling Stone ad esempio, e sembra che facciano tutti le stesse domande. Ho detto “Proviamo a fare domande diverse”. Nell’intervista a RS infatti — tra i soliti nomi a cui ti associano hai tirato fuori i Can, quindi volevo chiederti: chi sono gli artisti di cui vorresti parlare con i giornalisti?

Quelli che effettivamente sono stati un’influenza per questo disco sono stati i Can per le batterie; sempre per le batterie poi, il sound che aveva Lee Perry in un disco che si chiama, ha un nome difficilissimo, Roast fish, corn bread and collie weed — poi anche Battisti che viene nominato spesso, Dalla… C’è un disco molto bello che si chiama Viaggi organizzati, uno che si chiama Dalla, un altro che si chiama Lucio Dalla

Sai, invece io la musica italiana non sono mai riuscito a sfangarla. Cioè, sono cresciuto coi Verdena, ma sai non hanno…

Non hanno un sound molto italiano.

Ecco, esattamente.

Nel momento in cui sono andato a Londra, nel 2006, mi è venuta proprio voglia di ascoltare Vasco Rossi.

Ma sai una cosa? È successo che eravamo qua a Pesaro in un bar, nessuno si conosceva. A un certo punto è partita Albachiara di Vasco Rossi e ci siamo messi tutti a cantarla. È passato un mio amico e gli ho chiesto “Ma che momento Italiano è questo?”

È una musica che accomuna!

Sì, da Napoli a Milano, città diversissime — gente diversissima…

Giorgio: Vasco ha fatto il paese!
Matteo: L’ha inventato lui, altro che Garibaldi!

A Londra, cosa può fare una roba del genere?

Giorgio: Beh, ce ne stanno di cose… che quando parte il pezzo gli inglesi impazziscono, anche pezzi più recenti in realtà.
Francesco: Beh, c’hanno i Beatles per esempio. La generazione che sono i padri della nostra generazione in Inghilterra — che sono stati segnati radicalmente da quella cultura là.
Giorgio: Poi i Beatles si rifacevano alla musica americana in realtà, i Kinks erano molto più british in realtà, niente di americano — come l’ ironia dei testi.

Sì, inglesi anche come modo di concepire la canzone… Dai, dammi qualche canzone che sei al pub, comincia You’ll never walk alone, quelle cose lì…

Giorgio: Eh, eh! Qualunque pezzo dei Beatles, ma anche gli Oasis per esempio! Anche qualcosa degli Stereophonics, sai? O gli Stone Roses…
Francesco
: Anche Bittersweet Symphony.

Lo sapete chi c’ha i diritti di quella canzone?

I Rolling Stones!

Esatto! La parte di violini è una rivisitazione di un’orchestra di un pezzo loro, e quindi si sono presi i diritti. Pensa che fregatura per i Verve: hai scritto la canzone della vita — scende Mick Jagger dal Rolls Royce e ti dice “Hey…”

Matteo: Pazzesco…
Giorgio: Beh, se c’era un’altra linea… Poteva metterne un’altra simile. Fossi stato in loro avrei cambiato quella parte — tadadà, tadadà…
Francesco: Sé, Mozart!..

Lo sapete che invece i Led Zeppelin hanno vinto, invece? L’entrata di Starway to heaven è rubata — a parte che loro hanno sempre rubato ai bluesmen…

Esatto.

Sì, ma st’intro l’hanno rubato pari pari da un disco degli Spirit– e a casa di Jimmy Page c’era quel disco. E hanno vinto la causa!
Giorgio
: Sì, ma quando si parla di “musica derivativa”, di che stai a parlà? I Beatles si rifacevano alla musica Americana, stavano in fissa co’ Elvis… Nel senso, la musica è derivativa per definizione!
Matteo: Tutta l’arte è così.
Giorgio: È sempre stato così, poi se l’hanno fatto i Beatles, come si fa a rompere i coglioni a uno che l’ha fatto in Italia?

Attacca a piovere forte. Aprite questo link e mettetelo in sottofondo per il massimo realismo possibile.

Giorgio, volevo chiederti com’è non vivere in Italia, ma dalle interviste ancora non ho capito dove stai.

Ehhh, sono fra Londra, Berlino e Roma al momento.

Quindi, come fai, ti muovi?

Sto un po’ qua e un po’ là.

Tipo sai già “Tra una settimana sarò lì, tra due settimane andrò…”

Tra quattro giorni vado a Berlino. Adesso sto più qua in realtà, domani andiamo vicino a Cesena — a Savigano sul Rubicone, poi a Milano al Serraglio, Bologna al Covo.

Bello il Covo! Poi si riempe bene, secondo me la gente se lo è sentito il disco e te lo canta tutto. Ti canta anche la linea di basso di Acqua minerale!

Finché non cantano la linea di basso io non sono contento.

Com’è non vivere in Italia, dicevamo. Ti senti errante — sempre in viaggio, oppure ci sono dei posti dove ti senti a casa?

Allora… Quando diluisci la sensazione di casa tra vari posti, la sensazione di casa è meno intensa. Purtroppo ho scoperto sulla mia pelle questa cosa, ti senti a casa in tanti posti — però è come una mela: se tu la dividi e poi la sparpagli, eh, sono pezzi più piccoli. Quindi non ti senti veramente 100% a casa da nessuna parte.

Però magari non è un male sai? C’è molta gente che ci affoga in casa.

Purtroppo non si può tornare indietro in realtà, o almeno per ora non ci son riuscito — da dieci anni a questa parte non sono ancora riuscito a trovare un posto in cui dico “Ok, questa è la mia base, questa è la mia casa”.

Senti che ti manca?

Ogni tanto un po’ sì. Prendi per esempio il fatto di essere stato a Londra: Londra è una città di passaggio per un sacco di gente, quindi ho fatto un sacco di amicizie — che poi negli anni se ne sono tornate a casa, o andate in altri posti…

Italiani dici?

Perlopiù stranieri — magari tornano a casa loro, chi in Francia, chi in Portogallo, chi in Spagna… Quindi poi ci si perde di vista; però magari persone con cui veramente avevo un legame fortissimo, che però adesso non vedo magari da quattro anni. Quindi è un po’ strano, non c’è un posto in cui tu hai tutti i tuoi amici, quella è la tua vita, stai lì — hai varie vite. È un po’ schizofrenica come cosa.

È una strana situazione.

È strano, sì.

Non è detto che sia una cosa negativa però. Molta gente sta in un posto, ma non lo sente casa propria. Io ho scoperto che mi sento a casa con delle persone.

Una persona può farti sentire a casa, è vero.

Non è questione di 4 muri, di un cubicolo.

Giorgio: Nemmeno di città. Come diceva Jovanotti, “La casa dov’è?”

Matteo + Giorgio: “La casa è dove posso stare in pace con te”

Cos’è questo momento nazionalpopolare?

(risate nazionalpopolari)

Facciamo un’altra domanda ragazzi, me la invento adesso — perché parlate di Jovanotti. Quando sei andato via?

A vent’anni.

La musica prima di andare via, cosa ascoltavi?

Prima di andare via, ascoltavo diciamo molto i Mùm, i Sigur Ròs Tom Waits lo ascoltavo tantissimo. Vabbé la prima cosa che ho ascoltato che mi ha fatto andare completamente in fissa con la musica sono i Nirvana in realtà.

Qual è stata la prima…

La prima cosa che, è stata In Utero.

In Utero? 😨

Quando avevo 13 anni, In Utero.

Pesante…

Giorgio: C’avevo una cassetta, da un lato c’era Nevermind — dall’altro In Utero.
Matteo: Madonna, la cassetta della vita!
Giorgio: La cassetta della morte!
Francesco: Credo ci siano stati 2-3 anni, che io tutti i giorni ascoltavo qualcosa dei Nirvana.
Giorgio: Anche tu hai iniziato coi Nirvana? Magliettozza di Kurt Cobain…

Te, Matteo?

Matteo: Io in realtà i Nirvana li ho scoperti dopo.

Con cosa hai iniziato a sentire la musica?

Matteo: A me m’hanno regalato in quarta elementare London Calling dei Clash.
Giorgio: A me in quarta elementare m’hanno regalato le Spice Girls.
Francesco: A me i Five. In realtà il primo disco che mi so’ comprato coi miei soldi è stato Meteora dei Linkin Park, però andavo sullo skate, dai.

Questo non lo mettiamo nell’intervista.

Francesco: Sai che mi piacciono ancora?
Giorgio: Io non ce l’ho mai fatta. Ascoltavo i Korn, però.

Un altro livello, dai.

Francesco: Però la prima passione, i Nirvana. Anche i Pearl Jam.

Io a Eddie Vedder vorrei dargli un pugno in faccia.

Francesco: Vabbè sono distanti da noi, i Nirvana sono una cosa generazionale.
Giorgio: I Nirvana è globale! Io ancora me lo sogno Kurt Cobain: lui non è morto, ma in realtà lavora in un negozietto, e così diventiamo amici. Lui è un po’ vecchio e dice “Ehh, dopo — ‘nsomma — quel brutto colpo che ho avuto, comunque c’ho un po’ di problemi, non posso più cantare…”; stavolta mi faceva vedere il dentro della sua bocca e aveva dei denti in gola.
Matteo: AHAHAHAHAH
Francesco: OHGESÚSANTO…
Giorgio: Però diventiamo migliori amici, perché io gli voglio bene a livello umano.
Francesco: È per questo momento che è generazionale: la gente ha interiorizzato il disagio di Kurt Cobain, l’ha fatto suo.

Anche oggi se lo ascolti… ma pure tra 10 anni…

Francesco: Hai visto il video dei ragazzi intervistati dopo la morte di Kurt Cobain?
Matteo: Devastati…
Francesco: Dei pianti, di una forza.
Giorgio: Sincerità.

Poi lui ascoltava della musica… Ho sentito un disco bellissimo, si chiama It’s only right and natural dei Frogs dalla sua lista dei 50 migliori album — che parla solo di essere froci.

Tipo Pop_X!

Eh, tipo! Tipo le cose che dice Pop_X, ma è portato all’estremo — non si sa se è ironico, se è serio… È uno stereotipo portato fino al surreale, lo ascolti e dici: “Ma che…”

Io ho scoperto Daniel Johnston attraverso Kurt Cobain, bellissimo.

Dai continuiamo con le domande, sennò l’intervista…

Stiamo divagando, eh! Questa però è l’intervista più bella che ho fatto fino adesso!

Ci credo, è la prima!
No, non è la prima.

Parlavo prima con Matteo, “Siamo de La Caduta: non siamo Rumore, ma siamo meglio”.

Rumore poi ci ha dato 4 al disco.

Noi vi abbiamo dato 8. A me musicalmente è piaciuto davvero molto, ma i testi ancora non li ho capiti. Come li fai?

Allora, all’inizio io scrivo una canzone con delle parole a caso.

Alla Verdena diciamo.

Poi dico sempre le stesse cose mentre improvviso le melodie, e quando ci sono delle parole che hanno una certa rilevanza cerco di tenere quelle parole o di usarne di simili — poi da lì capisco di che parla la canzone, non lo so prima. Comunque le mie canzoni parlano di qualcosa in maniera molto larga.

C’è un tema!

Un tema c’è sempre, poi viene fuori da solo! Non è che dico “Adesso scrivo una canzone su questo, che parla di questo, che racconta questo”, no. Inizialmente escono delle parole e dico “Ok, con questa cosa ci sta bene quest’altra cosa”, e alla fine poi viene un discorso — una cosa che si riesce a creare sopratutto mettendo le e, i che…

Quindi vai per associazione, ne viene un filo continuo.

Alla fine viene una cosa logica. Le mie canzoni non sono illogiche, se leggi il testo o se lo ascolti capisci che parlano di una certa cosa.

Continuiamo con le domande: sei uscito alle luci della ribalta a 31 anni, giusto?

No scusa, ne ho trenta. Ad aprile ne faccio trentuno.

Comunque non li dimostri. Il fatto che sei uscito adesso, come ti pone nel futuro prossimo? Tra dieci anni tu ti vedi ancora a suonare?

Ma certo! Spero di sì… La mia paura più grande è il momento in cui non riuscirò a divertirmi a scrivere qualcosa, in cui non troverò più qualcosa che mi piace. Però per ora non è successo, anzi, trovo sempre più facilità a trovare delle cose che mi piacciono, quindi per ora…
Matteo: ‘Na botte de ferro.
Giorgio: Poi vedremo, secondo me ancora a quaranta ce la fai. Forse sui cinquanta, cominci a…

Te lo dico perché sto ascoltando Sun Kil Moon adesso. Lui c’ha 50 anni e ogni anno fa uscire un disco, fa canzoni di dieci minuti.

Guarda Cass McCombs, lui è uscito adesso. Lui ce ne avrà 45, 40…

Pensi di arrivare come Bob Dylan a quei 96 anni che ancora sei in giro, sei lì?

Non lo so, spero di sì veramente. Me, se dovessi smettere di suonare mi dispiacerebbe molto, spero di non doverlo mai fare. È una cosa che mi spaventa molto, che a un certo punto ti metti là con la chitarra, la prendi in mano e… Comunque è una cosa che succede anche, mi è sempre successa, di mettermi lì e di non sapere che cosa fare, poi però una soluzione l’ho sempre trovata, e qualcosa che mi piaceva — riuscivo ad esprimermi in un qualche modo. Mi terrorizza il momento in cui questo non avverrà — e prima o poi avverrà. Credo che a un certo punto avviene per forza, semplicemente perché perdi l’entusiasmo per quel mezzo espressivo: magari faccio come Captain Beefheart e a un certo punto mi metto a dipingere, nonostante non sappia disegnare manco una linea; mi metto a fare un’altra cosa. Spero di riuscire a mantenere una certa creatività nella mia vita.

Prossima domanda. Sei entrato nel roster di Bomba Dischi al primo disco, che per il pubblico indie italiano che è come Lorenzo Senni che è entrato in Warp Records. Che è significato per te entrare in un‘etichetta come la Bomba a livello di fondi, promoting, possibilità/limitazione? L’hai sentito il cambio dai Vadoinmessico?

L’ho sentito il cambio, sì.

Che significa allora stare con Bomba Dischi?

Significa avere 4 persone bravissime che lavorano con te: Davide è anche il mio manager ed è la persona che gestisce un po’ tutto. Poi c’è Emanuele che si occupa dell’amministrazione, contratti, tour e sbriga tutto — poi ci sono Alessandro e Brizio che fanno ufficio stampa. Sono tutti bravissimi.

Ma come vi siete incontrati?

Io conoscevo già Davide, l’avevo conosciuto a un concerto dei Vadoinmessico in realtà — e avevamo iniziato a parlare di fare qualcosa insieme già coi Vadoinmessico, poi coi Cairobi che è l’evoluzione dei Vadoinmessico. Alla fine non si era concretizzato niente, ma nel momento in cui io avevo dei pezzi in italiano li ho mandati subito a lui. Avevo 3 demo…

Avevi già Acqua minerale?

No, Acqua minerale è l’ultima che ho scritto, avevo L’abbronzatura, Doppio nodo e Niente di strano.

Dove hai mixato poi, dove hai fatto il master? Su cosa hai registrato tutto?

Sul computer. C’ho un microfono bellissimo con cui ho registrato la batteria, le chitarre e la voce — il basso invece direttamente in linea. Il charleston l’ho registrato con un microfono USB di Thomann da 40€.

Quindi te con un computer e un microfono hai chiuso il disco e hai detto “Ok, mi serve il mix”.

Sì, esatto. Dopo sono andato a Bologna da Andrea Suriani — che ha fatto un sacco di mix, Calcutta, Cosmo, lui poi è il tastierista dei Cani. Aveva già mixato il disco dei Cairobi comunque, quindi sapevo che era uno bravo. Sono andato giù a Bologna e in dieci giorni abbiamo fatto mix e master.

Questa è una bella domanda, facciamo due frecciatine adesso. Ho l’impressione che dopo un periodo di mediocrità culturale e sociale — hai presente Lo Stato Sociale, L’officina della camomilla (“prendiamo l’ukulele, la microKorg, facciamo una canzoncina e finiamo sui giornali”) — ci sia una nuova onda di supercompositori che sanno suonare tutto e comporre in maniera fenomenale: uno ce l’ho davanti, uno si chiama Iosonouncane e un altro si chiama Lucio Corsi. È ammirevole l’impegno a fare una musica pop — nonostante col vostro talento potreste fare la musica che volete senza dover fare concessioni.

Lo spirito è comunque questo per me, in realtà! Io faccio quello che voglio fare.

Quindi tu sei già pop di tuo? Non pensi mai “Adesso devo fare il singolo?”

Non mi chiedo mai “Piacerà la canzone, non piacerà?”, perché se pensassi così avrei messo un ritornello meno ossessivo su Niente di strano — una canzone molto pop che però non ha un ritornello pop.

Ha un ritornello suo — come sarebbe auspicabile che sia.

Poi in realtà, adesso di recente ho scritto un altro pezzo che invece ha proprio un ritornello, è uscito così.

Pensi che il pubblico sia pronto per una musica pop un pochino più articolata?

Vedremo, vedremo. Per adesso devo dire che il feed che sto avendo sul disco è molto buono, poi se raggiungerà il grande pubblico non lo so — non me lo sono neanche chiesto. Mi basta che qualcuno lo capisca. Mi basta sapere che qualcosa che piace a me può piacere anche a un’altra persona — poi quante siano queste persone non ha troppa importanza per me.

Se J-Ax e Fedez ti dicono “Vieni a fare un pezzo con noi”?

Ma perché no?

Con chi vorresti fare una collaborazione invece?

Coi Verdena mi piacerebbe tanto in realtà!

Che ne dici di qualcosa tipo lo split con Iosonouncane? Sarebbe bello i Verdena che fanno Giorgio Poi - e Giorgio Poi che fa i Verdena.

O anche semplicemente un pomeriggio a scrivere una canzone, sarebbe divertente.

“Senza il flash, ok?”

Tu hai studiato al conservatorio: Bach, Segovia, Villalobos — cose bellissime e interessanti — ma a 19 anni hai mollato tutto e sei andato a studiare chitarra jazz a Londra. Quanto è diverso?

Molto. È diverso: io facevo jazz al conservatorio anche qua, si facevano le analisi delle fughe di Bach, non c’era un insegnante di chitarra e io volevo studiare chitarra — e quindi nessuno mi insegnava a suonare, nessuno mi insegnava veramente come suonare musica. Stavo con una ragazza, e quando lei l’hanno presa all’università a Londra, ho pensato che là potevano esserci opportunità anche per la mia formazione. Quindi ho fatto l’audizione alla Guildhall School of Music & Drama, mi hanno preso e ho cominciato a studiare queste cose. Ma anche preparandomi per l’audizione ho imparato un sacco di cose: lì ho capito come funziona la musica, come si fa artigianalmente — costruire un’armonia e una melodia che ci sta sopra, il ritmo, eccetera.

Non le avresti imparate anche al conservatorio queste cose?

Si studiavano cose diverse, si studiava un tipo di armonia che non è quella che io… Io già sapevo che volevo scrivere le canzoni in realtà, volevo capire come si faceva: il jazz sono canzoni fondamentalmente. Quindi, lo studio di quelle canzoni mi ha insegnato molte cose che poi ho applicato alla scrittura delle mie — mi ha fatto capire come si fa, è stato utilissimo per me. Ovviamente mi sono dovuto dimenticare un sacco di quello che ho imparato — cioè ho imparato molto di più di quello che poi effettivamente utilizzi per scrivere le mie canzoni.

In che senso?

È un dimenticare volontario, un tralasciare. Cerco mentre scrivo di dimenticarmi tutto quello che ho studiato, non cerco di applicare la lezioncina: in questo modo si può avere una scrittura più spontanea, fluida. Bisogna cercare di trovare la propria strada a prescindere da quello che si è imparato — perché tanto tutto quello che si è imparato è comunque nella testa, è comunque nelle dita, nelle mani, nelle orecchie — l’importante è che ci sia.

È meglio suonare qui o suonare all’estero? Ho visto su Rolling Stone che dicevi che ti piacerebbe tornare, perché la situazione dei concerti in Italia è migliorata.

Sì, la gente va ai concerti in Italia in realtà. Ad esempio in Inghilterra c’è troppa offerta, troppi concerti, troppi gruppi. Qui c’è un po’ più di fame, voglia di vedere un concerto.

Finalmente siamo all’ultima domanda. È facile dire che assomigli ai Tame Impala e Lucio Battisti — ma a me la tua musica non suona italiana. Mi è venuto in mente Erlend Øye dei Kings of Convenience, uno straniero che si è innamorato della musica italiana — che però prende solo certi stilemi della musica italiana pur cantando nella nostra lingua — solamente quello che sente nel cuore. Questo mi sei sembrato, anche se la tua musica più che straniera, mi sembra universale — una musica internazionale che può davvero piacere a tutti.

I miei amici stranieri che han sentito il disco, gli è piaciuto molto. Ma forse questo succede anche perché io scrivo il pezzo e cerco di farlo funzionare senza testo. Io non parto dal testo, il testo è quasi secondario — è l’ultima cosa che faccio. Prima deve funzionare la canzone — poi voglio metterci un testo che mi piace sopra, ma il pezzo deve esserci già.

Quanto ti senti italiano, allora?

Mi sento italiano. Sono italiano. Io ho vissuto all’estero, ho appreso delle cose nei posti in cui ho vissuto, sicuramente. Però io in fondo, sono italiano, mi sento italiano.

L’idea mi è venuta ripensando a Giorgio Gaber, che diceva “Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”.

Sìsìsì, è proprio è così. Andiamo a mangiare? 😁

Ringraziamenti a: Pietro Giorgetti, Edoardo Piron, Andrea Capodimonte

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