My Father, My King: una recensione de “Il Papà Di Dio”

Maicol & Mirco hanno da poco rilasciato le quasi 1000 pagine di questo volume — ecco la nostra opinione

Matteo Grilli
La Caduta 2016–18

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Dunque, era il 2001 e i Mogwai pubblicarono Rock Action. Non era il loro album migliore, ma aveva dei bei pezzi, e soprattutto il post-rock non aveva ancora rotto il cazzo su scala planetaria.

Pochi mesi dopo, la band diffonde un singolo intitolato My Father, My King: 20 minuti di lunghezza, una roba dalla durata arrogante come i peggio Swans post-Jarboe oppure i GYBE! quando vogliono andarci leggeri. Il risultato è forse uno dei brani migliori della band, ma davvero — diventa una costante chiusura dei loro concerti, viene dilatata o compressa a seconda del caso ma resta comunque il mix perfetto di tutto quello che i Mogwai volevano trasmettere, un po’ come la chiusura di Young Team, quella Mogwai Fear Satan che riesce a farti piangere con il suono di un flauto di pan. Questa, invece, ti emoziona perché è una preghiera.

Ovviamente c’è un’altro video con l’immagine di un cielo pieno di nubi che coprono il sole morente

La melodia è ripresa da Avinu Malkeinu, un canto ebraico recitato in diverse occasioni liturgiche, la cui traduzione è “Nostro Padre, il Nostro Re” e recitato con lo stesso intento di creare un mantra la cui natura è sempre la stessa: convogliare le proprie emozioni verso un soggetto/oggetto spesso distante, spesso anche non-esistente in senso stretto. Molto spesso, semplicemente non pronto ad ascoltare.

Quando ho finito di rileggere per la seconda volta Il Papà Di Dio, sono andato subito a riascoltarla, e finalmente avevo capito come partire per parlarne.

Non è facile trovare un’incipit quando si parla di un fumetto del genere, perché ci sono delle trappole.

Ora, ho letto diverse recensioni de Il Papà Di Dio per farmi un’idea di come è stato recepito, e sono contento di averlo fatto perché altrimenti sarei caduto nella trappola di una recensione troppo colta e citazionista oppure di una da 20 righe dicendo “leggetelo amici, non ve ne pentirete”. O peggio, avrei iniziato con “Sulla scia de Gli Scarabocchi…” a mio parere cannando totalmente la recensione. Quindi, meglio così.

Prima di entrare nel dettaglio, ecco l’inevitabile prologo con la presentazione dell’autore che tipo volevo evitarlo ma alla fine, forse, ho qualcosa da dire pure lì.

Pronti, via.

Maicol&Mirco è un duo riconducibile al solo Michael Rocchetti, ma che in realtà nasconde sempre e per sempre anche Mirco — e se ora sono meritatamente riconosciuti (per quel prodigio di grafica+contenuto del progetto Scarabocchi che è riuscito a piegare i limiti di sistema e alzare il grado d’attenzione dell’utente medio di Facebook) è grazie ad un percorso costante di sperimentazione, autoproduzione, bestemmie implicite ed esplicite che dura da oltre 10 anni.

Passando dal collettivo Superamici, dalla fanzine Hobby Comics e pubblicando prima un teatrino di disagio con la raccolta Maicol & Mirco Show, poi approdando su Coconino con un gioiello di male rosa antico chiamato Hanchi Pinchi e Panchi, il duo magico ha consolidato un sistema di narrazione grafica sempre più raffinata, dando vitale importanza all’ambivalenza emotiva del contenuto. Per dirla breve, adeguare il proprio linguaggio ad un’alternanza di registri, dal comico al drammatico, dal cinico al trasognato e così via. La sua maestria in questo ambito è il riuscire a realizzare Gli Scarabocchi e, nel contempo, un perfetto libro per bambini come Palla Rossa & Palla Blu, che praticamente è una versione moderna e meno pallosa del De Amicitia.

Il tutto reso digeribile da uno studio del segno costante, che non ingabbia il contenuto ma lo valorizza grazie ad un’immediata riconoscibilità, al punto che si può davvero parlare di “novelle grafiche” quando si leggono le cose di Maicol&Mirco per il semplice motivo che vengono realizzate con l’intento di fare fumetti da leggere, rileggere, e ri-ri-leggere per coglierne non solo i piani di lettura, ma soprattutto perché ci si trova di fronte ad una narrazione buona, fertile, e accogliente fino a quando non ti ritrovi con un trinciapollo nello stomaco, ma anche in quel caso sei contento e ringrazi l’autore di averti lasciato quella cosa. Qualsiasi cosa.

Per cui, consiglio a tutti di andare sul suo blog e scoprire tutta la loro-sua produzione e farsi un’idea propria, anche e oltre il successo de Gli Scarabocchi.

Adesso, Il Papà di Dio. Edito da Bao Publishing, lo comprate qui. E va bene.

Questa è la copertina:

Come il breviario che vostra zia tiene sempre a vista, perché non si sa mai

E, porco cazzo, quanto è bella. Secondo me non si parla abbastanza del lavoro che Rombo Lab ha compiuto sulle opere di M&M, rappresentato da un team pazzesco di autori capitanato dai nostri affezionatissimi. In questo caso la veste grafica curata da Roberto Montani è pazzeschissima e ci spenderei anche altre parole se ne capissi qualcosa di impaginazione, quindi mi limito a dire che ha una qualità fuori scala, è maneggevole nonostante sia enorme, ricorda ovviamente un testo sacro ma è anche riconoscibilissimo senza restare fermo al sistema di riferimento. Hai voglia di aprirlo anche solo per vedere come risalta il rosso sul bianco, davvero bello, quindi complimenti e basta.

Ora, il contenuto. Perché ho tirato in ballo i Mogwai, a parte per avere una intro decente?

In pratica, sulla copertina del cd trovavate un disclaimer dove presentavano il brano con queste parole: “two parts serenity and one part death metal”.

E per me questo è Il Papà di Dio, un fumetto iper-dilatato fondato su un mantra il cui contenuto oscilla tra due parti di quiete ed una di brutalità, parlando di realtà attraverso il linguaggio universale del fumetto. Solo attraverso un mezzo espressivo del genere puoi realizzare un tomo di quasi mille pagine e renderlo leggibile in mezzora.

E conservando la stessa densità di contenuti dei romanzi dalla lunghezza apocalittica, anzi, forse amplificandoli. Non ci credete? Allora vi elenco di cosa tratta, tra le varie cose, questo Papà di Dio. E ve lo elenco e basta, poi vedete se vi interessa:

  1. L’ineluttabilità del fallimento
  2. La perdita come dono
  3. Il potere della creazione e tutto ciò che comporta
  4. L’accettazione del mostruoso come riflesso dell’io
  5. La distanza tra educazione e il mondo interiore dell’individuo

E mi fermo qua. Sono solo alcune delle cose che questo fumetto indaga, e lo fa con una leggerezza tale che se viene letto una sola volta fa incazzare duro chi vuole ogni argomento urlato, messo a verbale da una didascalia gigantesca o da una posa piena di linee cinetiche. Il lavoro che Maicol&Mirco compie-compiono in questo fumetto è titanico anche nel suo scoprirsi sempre più pericoloso alle critiche di dire poco in maniera semplicistica, appunto prendendosi dei tempi quasi da Bela Tarr restando sugli spazi vuoti, giocando con la narrazione e con la pazienza del lettore, impigrito dal ritmo convulso e a bassa densità dell’umorismo da social media.

Qui M&M si prende-prendono il loro tempo per ritornare alla meraviglia dell’immedesimazione, usando ogni pagina come lo scatto di un otturatore e focalizzandosi sui singoli elementi della scena, caricandoli con la sapienza di un regista. Una cosa rara in un medium che cerca di adeguarsi al frammentarsi dell’informazione.

Sei tu, papà?

Il trovare l’universale dal particolare è una gran rottura di coglioni e spesso si fallisce, mentre Maicol&Mirco, semplicemente, vincono. Dio e suo padre sono l’Artista che si scontra con il Vissuto, l’imperfetto in via di formazione che fronteggia il suo ideale di perfezione. Il vissuto di ogni ragazzo, il vissuto di ogni genitore.

E con esso, scrive forse una delle opere migliori incentrate su un richiamo (o preghiera, chiamatelo come vi pare) all’empatia.

Satana, definito dall’autore-autori “il primo personaggio” è il primo fallimento di Dio, e come tale vive per ricordargli quanto sia imperfetto l’oggetto del suo sconforto, ovvero l’impossibilità di rendere felice suo padre.

Ogni elemento dell’esistenza si specchia nella percezione altrui, in maniera più o meno consapevole, e quindi anche il papà di Dio si rispecchia nella figura straordinaria dello Zio di Dio, fratello disgraziato che invece di creare se ne va in giro a non fare un cazzo. Praticamente, mio zio.

Mio zio come le disegnerebbero M&M se non avessero talento

Il desiderio di abdicare alle proprie responsabilità viene percepito dai più come squalificante per qualsiasi uomo, e invece M&M ci tengono-tiene a dire che non è vero, anzi, non è SEMPRE VERO. Almeno, non lo è fino a quando non si comprendono le ragioni dell’altro. Anche di Dio stesso, che è tanto creatore quanto creatura. Così come suo padre, che è il vero protagonista del fumetto.

Dio alla fine è un ragazzo che deve capire come funziona lui e il suo mondo. Suo padre ha creato i suoi mondi secondo la sua idea di perfezione e poi niente, il mondo (suo figlio) è andato avanti e lui è rimasto indietro.

Frustrato, abdicato, spaventato dalla fine imminente. Anche il padre alla fine si rimette al figlio, ma come? Eh, dovete leggerlo. Dentro c’è una bella risposta a molte domande, alcune anche presenti sul retro del fumetto, tutte che iniziano con perché?

Ed è una bella risposta molto triste.

Ciao Bahbbo

Spesso l’empatia è un elemento secondario in molte opere, ma non in questa. Ti rimette in contatto con l’umano passando per il divino ricordando ad ognuno che si può amare pur vivendo con rigore e vivere da matti creatori alimentati dal desiderio di quello stesso amore che esiste e tu, scemo di un Dio, non lo vedi.

L’incomunicabilità è una brutta bestia, ma grazie al Papà di Dio forse ora abbiamo un gigantesco, piccolo, manuale per distruggerla.

Leggetelo e basta. Magari con sotto i Mogwai, la durata della lettura è più o meno quella. Poi rileggetelo, o mettetelo nella libreria e incazzatevi perché dice cose di cui già eravate a conoscenza. E ringraziatelo, perché ve le ha ricordate. Gli effetti possono essere molteplici, e tutti preziosi.

Io, ad esempio, ho sentito l’impulso di farlo leggere a mio padre, che non legge mai niente e io mai gli ho consigliato niente, perché lui è un tipo che deve arrivare subito al cuore delle cose e troppe infrastrutture lo fanno incazzare duro. Io vivo di infrastrutture ed errori, quindi non ne sono capace, ma forse Il Papà di Dio funzionerà.

Poi magari non ci capisce un cazzo lo stesso eh, però posso dire di averci provato. Un po’ come fa Dio, anche se, per citare Maicol&Mirco:

Eh vabbè

La recensione è finita, andate in pace.

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