Neo Yokio — Il sottile gioco della citazione

Ezra Koenig firma il nuovo anime di Netflix — tra haute couture, musica classica e demoni anti-capitalisti

Enrico Del Bianco
La Caduta 2016–18

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L’ultima volta che ho sentito parlare di Ezra Koenig, probabilmente, è stata quando “Modern vampires of the city” dei suoi Vampire Weekend è stato eletto disco dell’anno 2013 da tantissime riviste… Beh, sinceramente non credo quindi di essere l’unico rimasto colpito quando Pitchfork ha annunciato il suo ruolo da produttore esecutivo del nuovo anime di Netflix Neo Yokio, su cui mi sono fiondato appena uscito il 22 settembre. A quanto pare nel 2013 Ezra, soddisfatto del percorso della sua band e innamorato degli anime anni ‘80-’90 e di manga come Tokyo Babylon, cominciò a pensare un anime tutto suo, costruendo piano piano un team d’eccezione: ai disegni vennero assunte le giapponesi Production I.G. (The end of Evangelion, Ghost in the shell: Stand Alone Complex) e Studio Deen (Ranma 1/2, Maison Ikkoku), mentre alle voci vennero ingaggiati Jaden Smith (Kaz Kaan), Jude Law (il mecha-maggiordomo Charles), Susan Sarandon (Aunt Agatha) ed il duo comico Desus & Mero di VICELAND (Lexy & Gottlieb)! Grazie anche a questo dream team, il risultato della somma delle parti è una commedia magica, sottile e ammiccante, nello stile di elegante fusion che ha da sempre contraddistinto il lavoro del musicista, che fonde in due ore gran parte degli schemi narrativi degli anime classici con i dilemmi esistenziali della civiltà del consumo occidentale. L’anime è brevissimo, sei episodi da venti minuti l’uno, e perciò risulta visibile in un’unica seduta da film. Eccone la storia.

Kaz Kaan è un giovane mago che vive a Neo Yokio — un briciolo più futuristica della New York attuale — tra lussi e agi: è parte dell’upper-class cittadina ed è il secondo scapolo più desiderabile della città, come annuncia la bacheca in cima al grattacielo più alto di Times Square; l’unica pecca sul suo curriculum è che la sua famiglia non sia nata esattamente a Neo Yokio. Infatti, quando secoli prima la città fu invasa dai demoni, le autorità furono costrette a chiamare dall’Europa degli scaccia-demoni che, venuti in povertà, si arricchirono in poco tempo — formando grazie ai propri poteri la classe borghese dei magistocrati. Nonostante Kaz sia depresso perché la sua Cathy lo ha lasciato per andare a San Francisco, zia Agatha, la più importante maga della città, sprona il ragazzo al lavoro ricordandogli le umili origini della famiglia: non è possibile per lui stare tutto il giorno a far niente come quei suoi amici dell’alta società. Kaz viene dunque incaricato come primo suo compito di andare ad esorcizzare Helena Saint-Tessero, la più grande fashion blogger di Neo Yokio. Nonostante la sconfitta del demone però, pochi giorni dopo l’esorcismo, Helena rivela al mago di essersi stancata del fashion blogging e del “cercare un significato nel ciclo estetico dei beni” — dilemma incomprensibile a Kaz, per cui “La moda non è questione di beni!”, bensì “un bagliore di speranza in un mondo crudele”: i consumi posizionali sono così ovvi per il ragazzo che il solo pensiero che la moda non sia un bisogno primario per le persone lo sconcerta. Tutti i tentativi di Kaz di restare in cima alla scala sociale d’ora in poi saranno costantemente controbilanciati dall’astrazione di Helena dalla vita comune, spinta dall’analisi impietosa dell’alta società di NY.

La vita di Kaz in effetti si svolge tra feste di gala, poesie, abiti costosi, abitazioni lussuose con piscine e Arco-Lamps, discoteche esclusive, bottiglie di champagne, e mai una volta si riesce a percepire questo lusso come un eccesso, tanto viene percepito con naturalezza dai personaggi della serie. Mano a mano che si avanza nella visione delle sei puntate, però, le connotazioni di classe divengono sempre più evidenti — grazie all’incontro con il cugino campagnolo e soprattutto con la corridrice sovietica Mila: il maggiordomo Charles rivela a Kaz che le persone in URSS non hanno le stesse comodità che si hanno a Neo Yokio — cosa che sorprende alquanto il ragazzo e lo porta a uno sdegnato “That’s a damn shame…”. Tutto ciò che il ragazzo considera dovuto e obbligatorio, lo è davvero alla fin dei conti? Con sempre più nodi diretti verso il pettine riuscirà Kaz, da fiero membro dell’élite cittadina, ad aprire gli occhi sul mondo reale come Siddharta uscito da palazzo?

Oltre ad essere una bellissima storia in sé, l’anime si pone anche come giocosa rievocazione di molti classici, da Neon Genesis Evangelion a Sailor Moon e Ranma 1/2 — e non manca di rimandi stilistici ai generi del mecha come Gundam, dello spokon come Captain Tsubasa, e dello shōnen come Inuyasha. Ezra soprattutto ha voluto caratterizzare la sua Neo Yokio con un immancabile tocco di classe alto-borghese: i vestiti Maison Margiela, Chanel e Ralph Lauren, le scuole esclusive, le feste di gala al Guggenheim, le poesie di Kipling, i concerti di Vivaldi di sottofondo, le opere di Damien Hirst… Nulla è lasciato al caso in un’opera dandy che vive per il gusto dell’art pour l’art, ma che funziona perfettamente pure senza comprendere la fitta tela di rimandi sottostante.

Ovviamente la serie non si risolve assolutamente nel gusto della citazione: Neo Yokyo è una satira dell’upper class americana e al contempo la sua celebrazione. La storia riecheggia anche quella del suo produttore Ezra Koenig, ebreo di origini europee laureato in English Literature alla Columbia e con una conoscenza infinita sui pullover Ralph Lauren e sull’alta società newyorkese: è dalla tensione tra il vivere l’alta società ma il non esserlo per davvero che nasce la sua ultima opera (sentite anche Vampire Weekend). Per tutta la storia Kaz non fa che celebrare i valori della borghesia americana — la ricchezza, il successo, lo sport, il classicismo e la tradizione — ma a un certo punto è costretto a confrontarsi con il personaggio di Helena St. Tessero, la voce della ragione costruzionista che invita a guardare l’altro lato della medaglia: sì, è bello vestirsi Chanel, ma è davvero così importante quando dall’altra parte della città c’è qualcuno che muore di fame? La bellezza dell’opera sta anche nell’evitare ogni moralismo nei confronti di Kaz, che vive la sua situazione come naturalissima e non si fa problemi a buttare un orologio da 3500$+ dal tetto del suo tennis club: non è cattivo, né un classista come Arcangelo, ma è tanto integrato nel sistema che ragiona esattamente come lui e si vergogna di essere un “acchiappa-ratti” — come zia Agatha gli ricorda di essere considerato dai veri ricchi della città. Noi spettatori siamo dalla sua e ci viene naturale dare tutto per scontato, anche se poco alla volta iniziamo a intravedere i meccanismi che stanno dietro il lusso, come la filiera di lavoro che porta le ostriche dal mare alla tavola del giudice imparruccato. Una serie così stimolante e divertente, che passa dal gioco di rimandi culturali alla critica sociale marxista, dal sorriso alla risata sonora, non può che prendere posizione tra le serie più interessanti dell’anno. Caro Netflix ti scrivo: firmaci subito la prossima stagione! ♥️

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