No Man’s Sky e la lunga strada per la redenzione

Il 9 agosto 2016 usciva negli Stati Uniti l’attesissimo No Man’s Sky, tra le feroci critiche dei consumatori e una pioggia di resi. Cos’è cambiato in un anno?

Giacomo Alessandrini
La Caduta 2016–18

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Ricordo la corsa al Mediaworld più vicino, la restituzione di The Division e l’acquisto del titolo. Il ritorno, la fuga verso casa, la prima patch e l’inizio dell’avventura spaziale. Il fascino dei colori, l’introduzione spiazzante, una navicella precipitata e un destino oscuro. Parte così la riparazione, la ricerca dei materiali e la scoperta del bioma: gli animali, dotati di un intelligenza artificiale scadente e ridicolmente ostili, incuriosiscono il necessario, mentre l’incontro con i primi esseri senzienti mostra un’incapacità nella gestione della parte interattivo-narrativa (dialoghi serializzati a risposta multipla) che pone non pochi dubbi circa la qualità della storyline; pressoché inesistente. Numerosi i casi di rimborso su Steam: l’utenza a pochi giorni dal lancio risultava essersi ridotta dell’80%, raggiungendo picchi del 98% a settembre. Una volta padroneggiate le meccaniche continuare risultava frustrante, rimanendo poco da fare: potenziata l’exotuta, trovata un’astronave efficiente e acquistato il multi-tool più costoso, il gioco non offriva spunti per innovativi obiettivi endgame. Alla fine dell’interfaccia dell’Atlante, una volta giunti al centro dell’universo, la delusione prende inevitabilmente il sopravvento sull’effetto meraviglia (complice il prezzo spropositato per un titolo indie mascherato da tripla A). Una campagna di marketing aggressiva, forzata da Sony e dal cofondatore di Hello Games Sean Murray, ha illuso milioni di videogiocatori; tra teaser, trailer e gameplay artificiosi che niente hanno da spartire con il prodotto finale. Ingaggiato anche il noto disegnatore di fumetti Dave Gibbons (Watchmen, Lanterna Verde), in veste di consulente artistico nella fase di testing. Un videogioco senza limitazioni, quello che David Ream, direttore creativo di Hello Games, ha definito “Progetto Grattacielo”.

La proceduralità, tanto sbandierata dalla software house, con cui viene gestita la creazione di pianeti, flora e fauna, condizioni atmosferiche e topografia, mostra il suo lato peggiore nella ripetitività delle situazioni, accompagnata da un frame rate ballerino e numerosi bug (grafici e tecnici) che con forza compromettono l’esperienza generale. La ricombinazione casuale degli elementi, alla base del sistema di riconfigurazione procedurale, preclude una sostanziale, originale e autonoma modifica alle singole componenti (personaggi, creature, complessi) senza che queste s’influenzino a vicenda, vincolando il giocatore all’esplorazione di un mondo replicabile e immutabile. La raccolta degli elementi, il commercio di navi e attrezzature, imparare il corretto uso dei vocaboli alieni, sfuggire all’azione di polizia delle Sentinelle, intraprendere battaglie spaziali con pirati: incalzano il videogiocatore per breve tempo, lasciandolo in balia della noia dopo pochi salti nell’iperspazio; una volta definita la meccanica, la mancanza di un scopo pesa sull’utente, che invece di essere fiero dell’acquisto per un titolo sandbox, grida vendetta per una “spersonalizzazione” dello stesso. Un videogioco incompleto, indefinito, che non calza in nessun genere. Avessero venduto quel 12 agosto di un anno fa il gioco a 20–30 euro, nessuno si sarebbe lamentato. No Man’s Sky si presenta come una vuota tela d’artista: su di essa astrazioni e figure scomposte. Ad alcuni potrebbe bastare il panorama di un sole nascente, l’ombra di una gigantesca luna a coprire la vegetazione del nostro pianeta-paradiso, ma ai più quest’aspetto, graficamente stupefacente, gratifica nella misura di essere secondario.

Sicuramente un interessante elemento pionieristico, che paradossalmente non riesce a reggere il confronto con altri titoli meno profondi sul piano estetico ma con una buona componente narrativa. Il Foundation update tenta di mettere una prima “pezza” alla mancanza di contenuti, introducendo la possibilità di craftare la propria base operativa. Un rifugio per il momento senza progetto, un primo atto di pianificazione per l’uscita di futuri aggiornamenti (viene completamente stravolto l’utilizzo delle risorse, costringendo il fruitore a riscoprire le dinamiche che legano i materiali ai singoli utilizzi). Un nuovo inizio? A distanza di quattro mesi il Pathfinder update aggiunge i veicoli di terra, con l’unica finalità di farci spostare rapidamente da una zona e l’altra della superficie. Non basta, manca di spina dorsale. Poi eccolo, l’Atlas Rises, a un anno esatto dall’uscita: una storia affascinante, The Awakening, di cui non parlerò per evitare spoiler, e una veste grafica rinnovata (frame rate bloccato a 30 fps su PS4 e un uso intelligente del motion blur). Non solo: nuove missioni procedurali selezionabili dalle stazioni spaziali, la possibilità di ingaggiare figure professionali aliene per farle lavorare nei nostri insediamenti, la marcata pericolosità dei pirati spaziali che prima di attaccare chiedono “il pizzo”, l’importanza dei cargo per ottenere ricompense da speciali missioni di salvataggio, la calibrazione delle condizioni atmosferiche e la varietà delle specie, l’introduzione di tre nuove modalità di gioco (Survival, Permadeath e Creative) e slot di salvataggio (versione 1.38). Non meno importante il tanto chiacchierato multiplayer, inesistente nella versione base: un principio di multiplayer. Possiamo incontrare altri giocatori nel sistema solare di riferimento, sotto forma di palle luminose, e parlare con loro supportati dalla chat vocale: stazionando in portali specifici e inserendo una sequenza di glifi (come si compone un numero di telefono), selezionare il pianeta e visitare un nostro amico dall’altra parte dell’universo di gioco. Nuove mostruosità, seppur ripetute nei pattern, fondali marini migliorati e un sistema di gestione dell’inventario e delle quest finalmente intuitivo. I mercantili, ora acquistabili e al totale servizio del giocatore, possono contenere sia i materiali d’interesse commerciale che le navi spaziali, per un massimo di sei (suddivise in classi per resistenza, mobilità e danno).

No Man’ Sky, supportato dalle numerose patch in via sviluppo, rilasciate a cadenza settimanale da agosto, sta assumendo le caratteristiche di ciò che era stato da principio proposto: un imponente survival spaziale (lontano dai simulatori del calibro di Elite: Dangerous o Star Citizen). Ogni razza ha i suoi attributi distintivi — aumentare amicizie e stringere alleanze comporta un discreto guadagno in termini di credito e identificazione delle più recenti tecnologie — , ogni navicella ha il suo range d’azione — dalle leggere da combattimento ai depositi fluttuanti — , ogni scelta commerciale (compravendita di materie rare) influenza l’economia — un sistema dinamico dei prezzi, che invita a migrare tra i sistemi solari a caccia dell’affare. Un open world maturo, in cui le scoperte caricate su di un database online offrono spunti per condivisioni e valutazioni tra giocatori, ospiti di un universo in costante mutamento. C’è l’esigenza di continuare in questa direzione, lo chiede la rinvigorita e popolosa community. Hello Games e una redenzione senza compromessi: il sogno di Murray di giocare ad una trasposizione videoludica di un romanzo sci-fi anni ’60 sta infine diventando realtà.

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