Nobili Cause

Leggenda narra che il Regno delle Due Sicilie ancora vive, pel mai sopito amor di popolo sovrano. Neoborbonismo o nostalgia dell’eterno?

Pier Francesco Corvino
La Caduta 2016–18

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Scritto nel 1799, sebbene edito soltanto nel 1826, La Cristianità, ovvero l’Europa è uno degli scritti novalisiani più controversi. Guardando retrospettivamente al medioevo, in esso si tratteggia, infatti, una monarchia illuminata che sappia restaurare l’autentico spirito cattolico europeo. Fautrice di armonia, essa solo potrà attuare la riconciliazione dei popoli nell’ecumene: l’assemblea dei credenti, sudditi. La questione, vetusta e profetica quanto si vuole, ci conduce speditamente ad una simpatica contraddizione dell’ultima ora. Ecco er pasticciaccio gaddiano:

«In occasione della Solenne Cerimonia Religiosa, culmine del Pellegrinaggio del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio […] Sua Altezza Reale il Principe Carlo di Borbone delle Due Sicilie, Duca di Castro […] ha reso pubblica la sua decisione di modificare le regole di successione sinora in vigore nella Real Casa di Borbone delle Due Sicilie, allo scopo di renderle compatibili con l’ordinamento Internazionale ed europeo vigente che proscrive qualsivoglia forma di discriminazione tra uomo e donna, non solo nel godimento dei diritti e delle libertà, ma anche nell’esercizio di qualsiasi funzione pubblica. D’ora in poi sarà applicata alla sua diretta discendenza la regola della primogenitura assoluta».

Che cosa stiamo blaterando? Stiamo descrivendo un avvenimento molto particolare, occorso nel Maggio 2016, in cui il reggente presunto di un casato nobiliare sta facendo leva sul diritto europeo per dirimere una questione dinastica interna alla sua famiglia. Ma procediamo con ordine, facendo un po’ di storia spicciola.

Blasone Borbonico

All’indomani dell’Assemblea Costituente (1948) la società italiana era sicuramente molto vicina al nostro immaginario popolare, ma presentava delle contraddizioni che oggigiorno appaiono più rarefatte. Permanevano, infatti, alcune “minoranze” di alto ceto, irrimediabilmente legate al proprio titolo nobiliare, che la tradizione aveva loro consegnato. Spesso scevra di qualsiasi consistenza economica, quest’insegna era una stanca prassi sociale, che si trascinava dal secolo antecedente, se non da ancor prima. Ebbene, la Repubblica Italiana non riconosceva alcuna validità legale a questo tipo di fregio e designava come prive di riconoscibilità giuridica qualunque tipo di controversia su tali questioni. La nobiltà, se si può parlare di qualcosa del genere, si vide, così, messa a mal partito da questo e simili provvedimenti, come anche dal referendum che vide la forma repubblicana prevalere su quella monarchica (1946). Quello che, allora, i diretti interessati escogitarono (non soltanto la nobiltà diretta, ma anche i clientes della stessa, esperti di araldica, diritto nobiliare, iconologi, nonché gli interessati nel fitto intreccio economico che ne scaturiva), fu la cosiddetta cognomizzazione. Il valore della carica veniva preservato non per il suo valore consuetudinario, ma come cognome, e doveva, di conseguenza, venir tutelato da ingiurie e soprusi.

Più nel particolare, questa discrepanza fra diritto consuetudinario-nobiliare e quello positivo è stata la causa scatenante del nostro caso. Scorciando molto i fatti, ad oggi, il glorioso casato dei Borbone, signori di quel Regno delle Due Sicilie che fece buona parte dell’Italia, ha due pretendenti al trono: uno appartenente al ramo cosiddetto di Napoli (Carlo), di origine francese, e l’altro a quello spagnolo (Pedro).[1]

Carlo il francese a sinistra, Pedro lo spagnolo a destra

Nel 2014 si giunse ad una riconciliazione della famiglia, per cui Carlo veniva confermato duca di Castro e Pedro rimaneva duca di Calabra, mentre la questione sul titolo del Regno delle Due Sicilie restava in bilico. Nei fatti, una tale disputa non presentava praticamente nessun tipo di appiglio giuridico, tanto più perché il cognome dei contendenti era lo stesso.

Comunque, la situazione è nuovamente precipitata nel Maggio 2016, quando Carlo di Borbone, sprovvisto di figli maschi, ha stabilito che i criteri di successione al trono verranno corretti in relazione al Trattato di Lisbona del 2009, uno dei costitutivi dell’Unione Europea. In esso viene sancito come non possa esistere una disparità fra diritti fra uomini e donne, tantomeno in situazioni “lavorative”. La riforma si applica, quindi, alle norme dell’ex Regno delle Due Sicilie, in cui, come da secolare tradizione, si accedeva al trono secondo Lex Salica, ovvero secondo discendenza maschile[2]. Questo raddrizzamento del fronte ha scosso profondamente il ramo spagnolo, poiché Pedro di Borbone ha invece un figlio maschio, già duca di Noto. Dal punto di vista del diritto nobiliare, ampie schiere di eruditi sembrano dar ragione al ramo iberico sulla questione, dichiarando non soltanto illecita la pretesta di Carlo, ma anche assolutamente “incostituzionale” rispetto alle consuetudini del Regno natio. Dal punto di vista del diritto positivo, invece, la questione è probabilmente priva di senso. A questo punto, allora, lecita è la domanda: cosa significa essere detentori di un simile titolo oggi?

Per rispondere ad un simile quesito non possiamo ricorrere alla facile “questione culturale”, per cui l’accesso ad un tale fregio non è nient’altro che il necessario onore tributato alla propria famiglia. Nemmeno possiamo parlare di becero interesse economico; entrambi i pretendenti, infatti, hanno degli introiti più o meno esterni[3] dal titolo, che, invece, non presenta dirette remunerazioni. Ambedue, inoltre, convertono il loro status sociale in una serie di azioni benefiche e patronali, connesse ad un amplia rete diplomatica internazionale, oltre che ad uno stretto rapporto con l’ambito ecclesiastico, in linea con la novalisiana cattolicità di cui sopra.

Potremmo vederla, invece, in questa maniera. Diciamo che quando De Gregori cantava della Leva calcistica del ’68, alludeva a quell’immobilismo proletario per cui erano poche le vie per la scalata sociale. Dal versante opposto, accade che ad alcuni tocchi ancora in sorte di nascere nobili, in un mondo che della nobilità certificata non sa che farsene. Come se il nostro duca non fosse ricco che delle sue liturgie, dei suoi riti, delle sue tradizioni: cresciuto da nobili per una vita nobile, il signore non può che signoreggiare. Tanto più, allora, è giusto che cavilli, che contesti, che organizzi e che doni, perché il signore vero è munifico signore; se anche può darsi ancora un novello San Francesco, non è di questo che stiamo trattando. Questa disputa, dunque, è come una lunga danza, che i due rami proseguono senza fretta, cullandosi nella retorica e nelle liturgie del primo stato. Probabilmente le tasche dei nostri saranno gonfie, è vero, ma non vale, a questo punto, dire: «immeritatamente!». Noi non siamo che osservatori di un ecosistema stabile, che si dimostra imperturbato da quel “progresso” che sembra averlo escluso, o quantomeno convertito solo in parte.

Icona di tradizione riformato-anglicana del Deus Rex et Legislator

Diciamo che quest’articolo parla di un qualcosa di archeologico, di sopravvissuto, di qualcosa che non si sa bene cosa sia e che soprattutto non è chiaro che cosa ci stia a fare lì, lì dove si trova, del tutto superfluo. Eppure è qualcosa che desta sensazione, sia essa sdegno, sia essa meraviglia. Qualcosa che resiste ai tempi in virtù della sua stessa aeterna natura e che cela delle dinamiche effettivamente incomprensibili, per chi, come noi, può solo osservare. Come se il corpo sociale avesse un nervo scoperto, un piccolo neo benigno, esteticamente appagante. Diciamolo che, in fondo, le casate nobiliari dell’Europa globalizzata[4] sono un po’come le opere di una mostra d’arte contemporanea: vanno interpretate, contestualizzate, magari contestate (per quel che vale), ma quando finalmente si tace, vanno godute da lontano, alla faccia di Novalis. [5]

[1] Per chi fosse, malauguratamente, interessato ai fatti: Nel 2008 alla morte del padre, Carlo è diventato pretendente al trono del ramo francese, in concorrenza con il cugino, morto agli inizi di Ottobre 2015, Carlo Maria di Borbone-Due Sicilie, cui è succeduto Pedro. Secondo la sua versione dei fatti, con l’atto di Cannes il principe Carlo Tancredi di Borbone-Due Sicilie, prossimo a diventare Re di Spagna, avrebbe rinunciato alle pretese sulla successione al trono per sé e per i suoi figli, che sarebbero pertanto passate ai principi Ranieri e Ferdinando Maria, nonno e padre di Carlo. Viceversa, gran parte degli storici e legittimisti secondo il diritto (vigendo la Prammatica Sanzione del 1759, che, in sintesi, rendeva l’Atto di Cannes del tutto facoltativo), in virtù della primogenitura farnesiana, riconosce il Duca di Calabria come Capo della Real Casa dei Borbone-Due Sicilie, l’infante Carlo Maria di Borbone-Due Sicilie, nipote del principe Carlo Tancredi, nonché il figlio Pedro. La medesima posizione è quella di Juan Carlos di Spagna, cugino dei principi Borbone Due Sicilie, di Costantino di Grecia, e di Simeone di Bulgaria, dopo la pronuncia unanime di una commissione di Stato che, avendolo riconosciuto come Capo della Casa, lo ha nominato Infante di Spagna e Cavaliere del Toson d’Oro.

[2] Anche lo Statuto Albertino presenta un richiamo alla legge salica, ma questo varebbe per il casato dei Savoia.

[3] In realtà Pedro è succeduto al padre nel presiedere, come Gran Commendatore, l’Ordine militare di Alcántara e come Presidente del Real Consiglio degli Ordini Militari, istituzione statale incaricata del funzionamento e della gestione dei ordini cavallereschi spagnoli.

[4] Non parliamo, chiaramente, delle casata di regime orientale o di stampo teocratico. Parliamo di bonarie famiglie ricche che contemplano soddisfatte il proprio araldo, finanziando musei, dirigendo aziende magari.

[5] Riferimenti: Novalis, La Cristianità ossia l’Europa, SE, Milano 2008; A. Squarti Perla, Araldica e Nobiltà nelle Marche (II): Saggi di diritto nobiliare, dinastico ed araldica; provvedimenti araldici e nobiliari di grazia sovrana e di giustizia in periodo repubblicano, Fast Edit, Ancona 2007; L. Mendola, In Defense of (Real) History: Who is the Head of the Royal House of Bourbon of the Two Sicilies?, Tinacria, New York-Palermo 2003.

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