Ode al Re — King Krule fa tremare i Magazzini Generali di Milano

King Krule ha portato i brani di The Ooz e le sue hit passate sotto la pioggia milanese e per noi è stato un regalo

Tommaso Tecchi
La Caduta 2016–18

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Riguardo al valore di Archy Marshall mi sono già sbilanciato abbastanza, possiamo continuare a ripeterci all’infinito — e sempre con la stessa onesta meraviglia — quanto sia assurdo che un ragazzo del ’94 abbia raggiunto così presto una maturità artistica tale, e che 6 Feet Beneath the Moon e The Ooz siano un disco più bello dell’altro. Lo sappiamo già, lo sanno già più o meno tutti e a mio avviso si tratta di una cosa abbastanza insindacabile, al di là dei gusti personali. L’unica cosa che finora mi mancava per dare un’ulteriore conferma a questo pensiero è un’esperienza diretta di un concerto di King Krule, ma con relativamente troppi anni di attesa ho recuperato questa sera ai Magazzini Generali di Milano.

La data è sold out, era abbastanza prevedibile ma non ci avrebbe messo nessuno la mano sul fuoco, di martedì sera a novembre. Il che significa che i Magazzini si riempiranno presto e un’ora di anticipo rispetto al live non mi risparmia di certo da una lunga attesa in fila al freddo, almeno ha smesso di piovere, dai. Entrati dentro, l’unica cosa che si riesce a vedere è del fumo, che parte dal palco, si sporca di blu con le luci e riempie l’intera sala fino al soffitto. In sottofondo c’è della musica sconnessa e la voce di Adigun Connor, il dj della band di King Krule di cui però non sono riuscito a trovare alcuna informazione: il primo risultato utile su Google è il profilo di un Local in London su Couchsurfing, magari è lui e se prenotate finite in una jam allucinogena con il resto del gruppo, chissà. Qua dentro c’è un’atmosfera strana, da piccolo club londinese marcio con le luci fluo basse, mi aspetto di incontrare qualche giamaicano e invece sono tutti dell’hinterland milanese.

Il tempo di prendere una birra al bar e già la folla davanti al palco ha raggiunto il lato opposto della sala. C’è giusto il tempo di avanzare un po’ a spallate per trovare un varco di visuale tra le teste e scegliere una posizione adeguata, di cui verrà cancellata ogni traccia di lì a 10 minuti dopo il primo pogo. Archy sale sul palco insieme ai suoi colleghi e fa una cosa che non fanno tanti di quelli che hanno appena pubblicato un nuovo disco, ovvero suonare un pezzone “vecchio”, Has This It?, riarrangiata, più cattiva, bellissima. Inizio pazzesco. Ceiling è la quiete prima della tempesta per tutti quelli che pensavano sarebbe stato un live lento e rilassato, infatti con l’attacco di Dum Surfer la situazione degenera subito. La prima ondata sposta tutti in avanti di almeno 5 metri e ci si ritrova subito a saltare e a darsi gomitate nelle costole. A Lizard State non calma di certo la situazione e si canta mentre si cerca di restare in piedi. Il set procede quasi esclusivamente con pezzi di The Ooz come la struggente The Locomotive, Sublunary, (A Slide In) New Drugs, Emergency Blimp e la cattivissima Half Man Half Shark (l’ultimo singolo Vidual è la grande assente). L’unica interruzione è il jolly Rock Bottom, che fa sempre la sua porca figura. Il finale invece è da lacrimoni, prima ci si fa tormentare da Baby Blue e poi ci si sfoga un po’ urlando tutti insieme easy come and easy go”. La convenzionale finta di tornare dietro al palco e poi posso finalmente sentire per la prima volta dal vivo il mio arpeggio di chitarra preferito: OUT GETTING RIBS. Non esisteva maniera migliore di chiudere il concerto.

Il pensiero più lucido e distaccato che riesco ad avere durante lo spettacolo è che King Krule è fondamentalmente un punk; non gliene frega un cazzo del pubblico che ha davanti (o perlomeno così dimostra), non parla — salvo qualche mormorio prima di un paio di brani, suona per un’ora, dice “grazi” al microfono e come un prestigiatore svanisce nel fumo blu. La cosa bella è che di punk ci sono solo gli aspetti positivi come la pazzia, le urla, le improvvisazioni, il fatto che il palco sembri un po’ la sala prove della band; quando si tratta di eseguire alla perfezione i brani, Archy Marshall — così come i notevoli musicisti che ha attorno — è un professionista. Un po’ come se un quartetto jazz facesse un concerto in un locale punk, ecco, non so se ho reso l’idea. Tutto il resto lo fanno le emozioni che tirano fuori i brani in scaletta e le luci verdi, blu e rosa. Il pubblico continua a intonare cori a caso come se fosse al live di un Caparezza qualunque, ma non riesce comunque a rovinare l’atmosfera che c’è in sala. Uscito fuori in tempo per non prendere calci dalla sicurezza incontro PietroG, che mi dice che si vorrebbe ascoltare subito un’altra ora di concerto di King Krule. Ha ragione, io me lo ascolterei in loop per una giornata intera.

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