Pieles: le rosee sfumature delle nostre imperfezioni

Il film di Eduardo Casanova che ha scioccato la Berlinale del 2017 è un racconto sulla solitudine e sulla fragilità umana

Francesca Orestini
La Caduta 2016–18

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Noi siamo la pelle che abitiamo.

Formando il nostro aspetto, la pelle è ciò che gestisce l’integrazione sociale degli individui. Delinea quella che, in altre parole, può chiamarsi la nostra apparenza, la nostra identità etnica e culturale: se siamo malati o sani, l’età che abbiamo, quasi tutto è riscontrabile attraverso l’osservazione della pelle. Naturalmente, come tutto ciò che determina l’identità di una persona, essa può anche determinare l’allontanamento o il rifiuto degli altri.

I personaggi del film Pieles di Eduardo Casanova lo sanno meglio di chiunque altro. Laura è giovane e bellissima, ma nata priva di occhi, e lavora come prostituta in una casa gestita da una nana; Samantha, adolescente cresciuta con un padre estremamente protettivo, possiede un volto deformato a causa dello scambio di ano e bocca; Kristian, ragazzo introverso e fragile, cova il desiderio di diventare una sirena, per ciò non riconosce le gambe come proprie, desiderandone l’amputazione; c’è poi Guille, che riporta profonde ustioni facciali ed ha una segreta relazione con Ana, donna con la parte destra del viso rigonfia e deturpata; e Vanesa, affetta dalla acondroplasia e costretta da un avaro produttore a vestire una maschera che l’ha resa famosa in televisione.

Non sono i fenomeni di un circo degli orrori: questi personaggi vivono nelle città, nella vita sociale e a stretto contatto con le persone “normali”, costrette ad affrontare il difficile problema dell’interazione. Molti scelgono la solitudine, altri vengono forzati a mantenerla, ma in ogni caso la sofferenza che ne deriva, unita al terrore continuo di essere derisi dal mondo circostante, evidenzia ancor di più la profonda personalità di ognuno di essi. Emarginati, respinti, schifati dalla società, essi affrontano l’angoscia della prigionia in nome della dignità. La tragicità della loro situazione deriva dall’umano bisogno del contatto con gli altri, dalla ricerca di affetto e amore. Il film è un inno doloroso alla diversità e alle imperfezioni che nessuno vorrebbe avere, tanto meno pensare che esistano, un inno all’odio istintivo che parte della gente prova nei confronti del proprio corpo. Spesso l’uomo avverte in sé qualcosa che considera brutto e che vorrebbe correggere. Infatti nel film non è solo la deformità a creare disperazione e solitudine.

I personaggi “normali” che ruotano intorno ai protagonisti sono anche loro affetti da dolore, paura, psicosi che gli impediscono anche solo la serenità. Si cerca di nascondere, dissimulare ciò che è percepito come diverso da ciò che la società ritiene accettabile. Ogni generazione ha le sue mode, i suoi modelli e il seguirli o meno diventa la chiave dell’accettazione sociale, soprattutto in un’epoca dominata dai media e dai social Network: apparire è la regola fondamentale. Non esiste nessuna ricerca della propria personalità, nessun distinguo dai canoni estetici e di comportamento imposti. Pieles contrappone agli stereotipi algidi e perfetti di questi modelli l’appello straziante di anime solitarie ed emarginate, rompendo l’illusione di una perfezione corporea raggiungibile. Alla felicità falsa e ipocrita dell’apparire vanesio, si contrappongono i sentimenti reali e puri, l’unica chiave per essere felici.

Emblematico in tal senso è il personaggio di Laura, l’esile prostituta. La sua dolcezza e l’apparente fragilità rendono ilsuo carattere commovente: senza occhi, costretta ad un’oscurità eterna, ella possiede la luce della verità sensoriale, che la porta ad avvicinarsi alle persone, al desiderio di toccarle, soffermandosi con tenerezza sulle diversità che percepisce in ognuno. Da lei emana una ritrovata fisicità, generalmente persa a causa della sempre maggiore virtualizzazione.

Eduardo Casanova esordisce così nella regia, appena 26enne, con un produttore d’eccezione: Alex de La Iglesia. Opera prima riflessiva e allucinante, costantemente in bilico tra drammaticità esistenziale e comicità provocatoria, Pieles è stata preceduta da alcuni cortometraggi, tra cui Eat my shit, che vede come protagonista la ragazza con la bocca e l’ano invertiti, che in Pieles è Samantha.

I modelli stilistici da lui ripresi sono molti ed evidenti, a partire dalle visibilissime scenografie e riprese chiaramente ispirate a quelle di Wes Anderson: inquadrature statiche, lenti movimenti di macchina e l’uso particolarissimo del colore, costruito esclusivamente sulle variazioni cromatiche del rosa. I personaggi movimentano questa perfetta immobilità, turbandola e sottolineando la dialettica tra il perfetto e l’imperfetto, tra il bello e il disturbante.

Nel film ci sono riferimenti al dissacrante e al provocatorio dei film di John Waters, alla ferocia di Freaks e alla straziante tristezza di The Elephant Man di David Lynch. Eppure il film di Casanova riesce a risaltare nella sua originalità: una poesia del grottesco, un canto corale perturbante, che vede l’umanità disseminata di bruttezze e di orrori, ai quali dobbiamo rassegnarci, imparando a vivere nella nostra pelle.

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