Post-human-cyber-extreme-punk = Blame!

Il manga di culto approda su Netflix in un nuovo lungometraggio: un po’ per merito e un po’ per caso

Graziano Salini
La Caduta 2016–18

--

Tsuhomu Nihei nasce in Giappone ad inizio anni 70', cresce architetto in america e torna in patria per diventare fumettista. Il suo primo lavoro risale al 1998 ed è Blame! con tanto di punto esclamativo annesso.

Nihei ha trent’anni e non sa ancora che sta dando vita ad un’opera che diverrà un cult in occidente.
Non ci è dato saperlo, ma chiunque abbia letto Blame! ha probabilmente pensato che la soundtrack che accompagnava l’autore nella creazione del suo lavoro era di sicuro musica elettronica (se impazzita e claustrofobica ancora meglio).

Solo osservando le tavole del manga non possono che salire al cuore le sensazioni e le emozioni che si potrebbero provare ascoltando gli Autechre più sintetici e alienati o l’Aphex Twin meno ambient. Gli scenari sono oltre il cyberpunk più classicamente concepito, qui l’umanità è andata talmente oltre che non esiste letteralmente più.

Non c’è spazio per la vita qui

Uno dei cardini di questo manga infatti è il tema della ricerca. I protagonisti esplorano ciò che rimane del loro mondo sperando di trovare l’ultimo lascito di ciò che una volta era umano: l’essere con i geni terminali.
Questi geni permettono l’accesso alla così detta Netsfera, una specie di realtà alternativa non troppo distante da quello che potrebbe essere il nostro internet in VR; accedendo alla netsfera è possibile fermare l’avanzata che sta distruggendo il mondo di Blame!.
La terra infatti non esiste più, canonicamente parlando, come non esiste più una luna o in generale uno spazio che non sia circondato da mura e soffitti: le macchine nel corso dei millenni sono andate fuori controllo ed hanno costruito ambienti lì dove c’era il vuoto; inglobando luna, asteroidi e tutto il resto.

Descrivere il setting di Blame è complicato per questo motivo, il senso della misura è completamente scomparso nella testa dell’autore; le distanze che i personaggi percorrono sono abissali, quasi siderali e nelle tavole del manga tutto questo traspare con lucida freddezza. I luoghi sono disabitati nella maggioranza dei casi, quando così non è chi li popola è probabilmente una qualche deformazione o mutazione di esseri a noi più familiari.

Gli abissi interminabili sono letteralmente all’ordine del giorno

La popolazione del suo mondo è variegata: c’è chi protegge la Netsfera quasi come un agente Smith di matrixiana memoria e fa parte di una tipologia di esseri chiamati Safeguard; chi appartiene alla popolazione indigena del mondo, composto da materiale inorganico ed animato da un istinto omicida nei confronti di chi è diverso, una popolazione vera e propria chiamata Esseri di Silicio; gli altri sono gli estranei, i “rimasugli” dell’umanità scomparsa, esseri dalla forma antropomorfa il cui codice genetico è così alterato da non avere più l’accesso alla salvezza (i condannati).

Ovviamente un mondo del genere non è abitato da gente particolarmente amichevole

Il protagonista Killy possiede sembianze umane ed è alla ricerca di esseri umani con il gene terminale (non ci vengono fornite maggiori informazioni con il progredire della narrazione). Apparentemente immortale ed armato di un proiettore di raggi gravitazionali, pistola tanto innocua all’apparenza quanto distruttiva in azione, vaga senza emozioni per questi quadri “escheriani”; nel suo tragitto incontrerà la scienziata Cibo (o Tsubo, a seconda della traduzione che vi capiterà sottomano), il popolo dei pescatori degli elettro silos e delle IA senzienti.

Questa infarinatura serve soltanto per poter dare senso alla descrizione del film che Netflix ha creato basandosi sul prodotto cartaceo.
Bisogna prima specificare che non si tratta del primo tentativo di portare Blame! sullo schermo, bensì il primo tentativo pensato per una maggiore fruibilità che non intacchi la qualità finale del lungometraggio; esistono degli OAV dalla durata ridotta piuttosto sperimentali che non aggiungono nulla di nuovo al setting ed alla trama, essendo più un tentativo di rappresentare visivamente le sensazioni espresse dalla carta stampata.

Color design d’impatto nonostante la fruibilità terribile del prodotto d’animazione pre-Netflix

Netflix invece ha realizzato un prodotto commercialmente appetibile: sua la scelta di rappresentare uno spaccato della storia che risalti le vicende dei pescatori degli elettro silos.
Il film, della durata di 105 minuti e diretto da Hiroyuki Seshita, tratta dell’incontro tra Killy (doppiato in italiano da Maurizio Merluzzo) ed i pescatori durante una fuga di questi ultimi dagli esseri di silicio.
Il mondo del manga viene rappresentato in modo egregio: palpabili le sensazioni di claustrofobia ed agorafobia grazie ad un attento uso dei colori, le strutture prive di vita di Nihei sono realizzate con cura e regalano un certo senso di soddisfazione nello spettatore che già ha avuto occasione di metter mano al manga.

Dal punto di vista tecnico il lavoro effettuato dallo studio Polygon Pictures si difende bene; l’intera opera è realizzata in computer grafica ma fortunatamente siamo lontani dai disastri (Berserk…) a cui siamo stati sottoposti di recente.
Da sottolineare l’attenzione che lo studio ha riposto nella realizzazione delle illuminazioni, talmente fredde ed asettiche che quasi si scontrano con il calore mortale del rosso che viene generato dal proiettore di raggi gravitazionali generando un meraviglioso scontro di sfumature.

Nihei ha dichiarato che il titolo Blame! è più una parola dal richiamo onomatopeico che qualcosa di collegato al significato inglese del termine

Nonostante ci sia la grandissima Yoko Kanno alle musiche il comparto sonoro si difende male, il sound design si può accettare ma rimane complicato comprendere il perché non si sia puntato ad una selezione di pezzi musicali d’estrazione elettronica.
Le canzoni qui scelte sono melodicamente gradevoli ma risultano quasi fuori posto all’interno del quel mondo finemente tratteggiato da metalli e vuoti pneumatici.

L’operazione di Netflix convince abbastanza, i fan più sfegatati non potranno che lamentarsi per alcune scelte importanti (come quella di non raccontare la storia del manga ma bensì di prenderne un episodio ed adattarlo) ed altri potrebbero non apprezzare la ridotta durata del racconto, non propriamente capace di creare nello spettatore un profondo senso di empatia e soddisfazione.

Viene da credere però che l’obiettivo più importante sia stato raggiunto: il mondo che Nihei ha tratteggiato, nel corso dei dieci volumi che compongono l’opera, viene delineato in modo consapevole, riuscendo così nell’impresa di incuriosire lo spettatore.

Tsuhomu Nihei è riuscito a creare un incubo asettico, attirando la curiosità innocente di chi vorrebbe solo sapere dove finisca quella strada lì o quell’abisso là. Recuperate il film su Netflix e, se vi è piaciuto, anche il manga.

Non sono opere per tutti, ma credo sia assicurata una “strana sensazione” quando vedrete i protagonisti navigare all’interno di incredibili spazi vuoti e solo questo come sottofondo.

--

--

Graziano Salini
La Caduta 2016–18

Videogiochi, musica ed entrambe le cose mischiate assieme in qualche modo.