Quarry: bugie, baci, DPTS e pallottole

Il Vietnam, Memphis, 30.000 dollari e una pistola. Il resto è sangue

Giacomo Alessandrini
La Caduta 2016–18

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Il 9 settembre scorso Cinemax ha trasmesso il pilot di una nuova serie, Quarry, tratta dall’omonimo romanzo di Max Allan Collins (che collaborerà nella veste di sceneggiatore negli episodi successivi), introducendo un vero e pulsante antieroe televisivo, carismatico, violento, e con una disposizione innata per l’omicidio. Il protagonista in questione, veterano della guerra in Vietnman, è afflitto da quella che viene comunemente riconosciuta in ambito medico come shell shock syndrome, il trauma psicologico subito dai soldati in prima linea, che impedisce a questi ultimi di tornare a vivere in un perpetuo processo di “metabolizzazione” dell’orrore. Il giovane marine, Mac Conway, rivela in conclusione dei 67 minuti complessivi che “uccidere è come spegnere un interruttore”. Una serie di azioni, sempre più plateali, svelano allo spettatore come la guerra, i morti, i bambini ammazzati nell’eccidio di Quan Thang, popolano ancora gli incubi diurni del signor Conway. Nessuno è al sicuro. Nessuno osa prendersi la briga di assumere un soldato coinvolto in quelle tragiche vicende. Senza girarci troppo intorno, andiamo dritti al punto: il pilot di Quarry è un’autentica bomba. Basti dire che il teaser di 3 minuti, che precede il brevissimo opening, ricorda a più riprese quello di Breaking Bad. E’ sconcertante. Mettiamoci nei panni di chi, come me, ha iniziato per caso a seguirla. L’episodio inizia con il totale della riva di un fiume (a limite un lago). Un corpo galleggia in acqua. La telecamera si sofferma per più secondi sulla carcassa. Il dettaglio di una spilla insabbiata rivela il nome di un candidato alla presidenza. Di sfuggita si vede il calcio di una pistola. Il corpo prende vita, l’interesse per ciò che stiamo osservando cresce esponenzialmente ad ogni frame. Pochi e decisi passi. Il soggetto inquadrato, che facciamo fatica ad identificare, raccoglie l’arma e inzia ad incamminarsi. L’occhio belva ci mette in guardia (la telecamera è a distanza di sicurezza, quasi a coprirsi dietro le spalle del soggetto): sta per accadere qualcosa. Dal nulla spunta un secondo uomo, che a fatica prova a rialzarsi da terra (non sappiamo come sia arrivato lì, e ormai sazi dei surreali teaser della seconda stagione di Breaking Bad ipotizziamo che molto probabilmente verrà svelato nelle puntate successive, se non negli episodi conclusivi della stagione). Finalmente scopriamo il volto del protagonista, che con una semplicità disarmante punta la pistola in direzione dell’uomo e preme il grilletto. Mai un dettaglio del morto da parte del regista Greg Yaitanes. Il marine si avvicina, tenta di spostare il cadavere in acqua, lasciandolo in balia delle correnti. Mentre il signor Conway tenta l’impossibile, il suo sguardo cade su di una gigantesca testuggine. I due si scambiano come un paesaggio onirico una serie di sguardi accusatori, finché il teaser non finisce e parte la storia. Un primo piano del protagonista, di ritorno dal Vietnam, mentre osserva uno di quei piccoli souvenir da aeroporto con la scritta Goodbye Cruel World impressa sul piedistallo. E’ tutta lì la filosofia della serie, è tutto lì l’idea di Mac del nuovo mondo. Il progresso, la vita stessa di un soldato al fronte, non può che celebrare l’eterno ritorno della violenza. Mac non ricorderà un’altra alba di chi non è partito per ammazzare i vietcong. Il protagonista assume nel corso della stagione un atteggiamento nichilista nei confronti degli eventi. E’ tutto uno scherzo, la risposta è nella violenza, in quella brutalità che è l’alfa e l’omega dell’esistenza. Ha scrutato nel gelido abisso, per bene due volte, e l’abisso non si è fatto attendere, lasciandolo dilaniato su quella costa. Dei manifestanti lo attendono fuori con cartelli e slogan, la protesta contro le barbarie in Vietnam nel 1972 è fortissima. Ogni giorno che passa per il protagonista, ogni minuto e ogni parola detta, trasmettono un disagio tangibile per lo spettatore. Il ritorno a casa è una delle scene più commoventi: l’amore per la compagna che tanto l’ha atteso, un grande ed infallibile classico natalizio. Nessuno però lo vuole intorno: né i genitori, né i datori di lavoro a cui fa appello. Quando uno sconosciuto di mezz'età, in pompa magna, si presenta a bordo piscina “sventolando” la bellezza di 30.000 dollari per un omicidio su commissione, la storia subisce un’impennata decisiva. Dice di chiamarsi Broker, e che d’ora in avanti, se deciderà di accettare il contratto, il suo nome in codice sarà Quarry, la cava. Freddo come una lastra di metallo, caduta in un pozzo di terrore. C’è ancora tanto da scrivere in proposito, per come è girato, per come è scritto, per quei tempi di attesa interminabili che esaltano i turning points in favore della trama, per la grande dote attoriale di Logan Marshall-Green, per quella violenza necessaria che riporta alla mente il miglior Michael Mann. Sfortunatamente gli episodi successivi non brillano per originalità, rasentando in più occasioni la noia, colpa di una scrittura insipida e priva di spunti. Fosse stato uno di quei prodotti televisivi cancellati senza pietà alla prima messa in onda sarebbe rimasto nella storia.

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