Quel bellissimo nodo alla gola del 2016: Nocturnal Animals

Seconda opera dello stilista Tom Ford, tratto dal romanzo omonimo di Austin Wright

Martina Zerpelloni
La Caduta 2016–18

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AAA Questa non è una recensione. Oserei chiamarla più una digestione, un commento, una riflessione personale.

Avete presente quella sensazione che si prova quando si piange in modo liberatorio, quando si butta fuori tutto? In cui ogni respiro profondo che segue il pianto trema ma vi riempie i polmoni di aria come mai prima? Ecco, questo è l’effetto che può suscitare Animali notturni, secondo grandioso film della firma della moda Tom Ford; regista che aveva esordito nel 2009 con A Single Man e che già aveva sorpreso pubblico e critica per la raffinatezza. Non è scontato saper smuovere gli animi, non si tratta solamente di apprezzamento, ma di assorbire in modo attivo e passivo. Immergersi in una tela, in un romanzo, in un film in questo caso.

Tre piani narrativi che racchiudono due grandi storie. La prima segue Amy Adams nel ruolo di Susan Morrow, gallerista di successo nel mondo patinato di Los Angeles; una LA fatta di colori freddi, linee rigide e spazi asettici e in cui tutto sembra pronto a cadere rovinosamente a terra: il successo, le illusioni della giovinezza, l’amore. Susan riceve improvvisamente una bozza del romanzo scritto dal suo ex marito — lo scrittore Edward Sheffield (interpretato da Jake Gyllenhaal) — di cui non ha notizie da 20 anni, sebbene abbia cercato di rimettersi in contatto con lui. Il romanzo è dedicato a Susan e si intitola Animali notturni, come l’ex marito soleva chiamare la donna, che soffriva di insonnia. Inizia quindi, con l’immersione di Susan nel romanzo, l’aprirsi del secondo grande capitolo, quello che racconta un Texas spietato in cui il professore di matematica Tony (interpretato sempre da Gyllenhaal), si trova a viaggiare con la sua famiglia fino ad imbattersi in un gruppo di banditi, animali notturni per l’appunto, che gli porteranno presto via tutto ciò che più gli è caro. Attorno a questi due filoni narrativi si intreccia un terzo piano, dato da flashback relativi alla storia d’amore vissuta da Susan e Edward, e che ci permette di capire tutti i nessi che legano la realtà apollinea della Los Angeles di Susan alla fantasia del romanzo, più dionisiaca e selvaggia (ma davvero meno reale?).

La storia raccontata da Edward nel romanzo altro non è che una trasposizione della sua vita, sua e di Susan che, per l’appunto rivede Edward nei panni di Tony, lasciandosi trasportare totalmente dal romanzo. Ciò che accomuna Tony ad Edward è la debolezza, difetto che la donna spesso sottolineava all’ex marito, debolezza che è sensibilità ma che allo stesso tempo è ostacolo a proteggere ciò che gli sta a cuore. Tony, come Edward, non è in grado di lottare contro gli animali notturni per salvare ciò che ama e dovrà per questo presto fare i conti con il suo essere uomo e con la volontà di spingersi oltre la linea, seguendo i consigli di una sorta di grillo parlante: il detective Andes (interpretato da Michael Shannon), che più che una coscienza rappresenta quella sete di giustizia che emerge in Tony non appena i tragici eventi travolgono la sua vita. Ma se ritroviamo Edward (esplicitamente nel ruolo di Tony, ed un poco in quello del Detective Andes), dove possiamo scorgere Susan, l’altra metà della coppia così profondamente descritta da Ford?

In una scena si assiste ad un colloquio tra Susan ed una delle sue assistenti, in cui veniamo a conoscenza del motivo cardine della fine della storia tra la donna e Edward, ossia la sua decisione presa di nascosto di abortire il figlio avuto dal marito. Quando Edward scopre questo tragico fatto perde non solo la figlia ma anche la donna che ama. Ritroviamo quindi all’interno del romanzo Susan scissa nei suoi due lati, la moglie di Tony (Laura Hastings, interpretata da Lisa Fisher) e i banditi che attaccano la famiglia nella notte texana. L’impotenza di Edward nella vita reale a fermare il gesto di Susan si traspongono nell’impotenza di Tony all’interno della storia, lo stupro e l’uccisione della moglie e della figlia di Tony da parte degli animali notturni altro non sono che metafora della decisione di abortire da parte di Susan, che sancisce anche la fine dell’amore di Tony nei confronti della donna. Edward cerca di mandare un messaggio preciso a Susan, attraverso le sue parole incise in modo indelebile su carta. È stata Susan ad uccidere se stessa e tutto ciò che lui amava. Non è un caso che Tony e il detective Aden ritrovino i cadaveri della moglie e della figlia, bianchi di purezza, abbracciati su un divano rosso, colore dell’amore — quello che legava la famiglia — così come della violenza, quella usata dagli animali notturni per distruggere tutto, nel giro di una notte.

Revenge. La palese strizzata d’occhi di Ford all’interno del film

La catarsi che provoca questo film risiede proprio nel dipingere, in maniera sapiente ed elegante, tutte le passioni e le psicosi che contraddistinguono l’uomo moderno.

Partiamo dall’insonnia, di cui soffre Susan, che assieme alla depressione è il malessere della nostra epoca. Non sono pochi i personaggi del cinema affetti da questo malessere, pensiamo a Taxi Driver, Fight Club o Lost in Translation, tutti film i cui protagonisti soffrono di insonnia come specchio della loro condizione di solitudine e frustrazione. Già dai titoli di testa — che penso siano i tre minuti che già da soli racchiudono tutta l’intensità estetica ed emotiva della pellicola — Ford ci porta nel mondo di Susan, con una colonna sonora a tratti ipnotica e che da subito prende allo stomaco accompagnata da immagini di donne obese che hanno un doppio ruolo disturbante e fascinatore. Ed ecco che la troviamo, Susan, annoiata dalla sua quotidianità, frustrata, insonne. E quasi insensibile, se non appunto quando si immerge nella confessione di Edward, il sensibile per eccellenza. È la sensibilità, appunto, l’altra piaga umana su cui si riflette con il lavoro di Ford. Di amore e di violenza, il binomio per eccellenza, se ne è parlato e se ne parlerà sempre, a volte cercando risposte dove forse c’è sola e semplice natura umana, dipinta come si presenta. Ma la sensibilità non trova una facile definizione. Viviamo in una società che quasi con supponenza si definisce ultramoderna, perché tuttavia ancora sottostà alla legge della giungla, in cui il più forte sopravvive. E nella giungla la sensibilità non è concepita, viene appunto tradotta grossolanamente con debolezza. Ma è davvero così? Perché se restiamo alla vicenda di Edward e Susan — e poi all’interno del romanzo — la sensibilità è sì debolezza, ma allo stesso tempo Ford ci fa ben capire come un animo sensibile sia un amplificatore di emozioni e non qualcosa di passivo come può far credere all’inizio: vittima inerte di soprusi, ma in grado di architettare la sua vendetta. E la vendetta è ciò che porge Edward a Susana distanza di 19 anni, sotto forma di omaggio che, come una sorta di cavallo di Troia, è pronto a dare fuoco alla città dall’interno. E brucia quindi Susan, accompagnata dai suoi demoni del passato, fino a ritrovarsi sola, come lo era dal principio. In un ambiente che tende a svuotarsi sempre di più mentre si riempie degli archi di Abel Korzeniowski, e che lascia un vuoto anche in noi, perché la vendetta non vede mai un vincitore da nessun lato.

Grazie Tom Ford, per aver saputo omaggiare la sensibilità dell’uomo, bellissima e spesso portata a soffrire.

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