Rincorrere il fatuo ci offre la misura del nostro tempo. Per un ritratto di Oreste Del Buono

La Caduta
La Caduta 2016–18
8 min readAug 31, 2016

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Spesso si dimentica il valore della strategia, essendo presi nella morsa di un’impellenza. Ci si osserva intorno ed una evidenza sottile quanto esplicita ci si offre: il mondo tende verso, qualcuno ha intenzione verso qualcosa, tutto è nella dinamica, nella tendenza, nell’azione. Tuttavia, alcune volte, nel pieno di questa inesausta malia di entropia, qualche fermezza, qualche interruzione, qualche inciampo che ci offra un suggerimento piuttosto che una fallacia, un errore. Non si tratta semplicemente della pacificazione, del riposo predetto, del calcolo del sonno sopra il caos. Immaginatevi un’avanzata di Khmer rossi ferocissimi, dietro di loro un fine stratega, quasi una sentinella in vedetta dell’assalto.

L’editore è un poco questa figura bizzosa proprio nel suo essere paradossalmente in ombra, come di stratega. Nel suo essere sfuggente, nel suo apparente silenzioso tramare ci si offrono chiavi e matrici di un tempo, nella dimensione di ciò che profila decidendo di portare al mondo spesso si riverbera anche l’atmosfera di un’epoca: gli attriti, le intuizioni esercitate e le intuizioni mancate per cause di forza maggiore o per semplice sdegno, virtù e difetti, storture e forze, vivacità e inerzia. L’occasione che ci muove a ragionare su quanto detto è la ristampa anastatica che Repubblica un anno fa ha offerto dei primi numeri di Linus, rivista che segnò diversi decenni e fu il punto di arrivo ed approdo per certificare il fumetto come forma autonoma di narrazione. Non che già non lo fosse dalla nascita, ma attestarlo in una forma pubblica non doveva prospettarsi come semplice operazione. Ora, questo atto di ristampa come restituzione riconsegna ad una metà di secolo che ha vissuto il fumetto già come forma autonoma le origini di questo salto. Una vicinanza naturale, spesso e volentieri prossima al proprio Dna nell’oggi, ma che allora fu il vero e proprio ingresso del fumetto come forma all’interno delle spesso rigide ed autoreferenziali maglie della “cultura ufficiale” italiana. Si potrebbero fare diversi e giusti nomi inerenti alla rivista, Giovanni Gandini che ne fu fondatore, Ranieri Carano per l’importazione di pregevoli opere estere, ma salta inequivocabile a tutti come la figura che incarnò lo spirito di una ricerca, la ricerca di un ritratto del tempo, di un’offerta di riflessione che non fosse aliena dallo svago e dallo svago che a sua volta non fosse alieno dalla inventiva delle idee, fa proprio capo a Oreste del Buono, OdB. Classe 1923, la generazioni di ferro che attraversò la guerra. Figura eclettica di scrittore, traduttore, editore, critico letterario e cinematografico, non si contano le collaborazioni per le testate nazionali, le consulenze editoriali, la nota direzione di Linus che durò dal 1972 al 1981, con un ritorno dal 1995 al 2000. Amava definirsi come un “convertito a Charlie Brown”, dunque un fedele del fumetto, senza nessuna rigidità dogmatica, tutto teso ad una scoperta e riconsiderazione allo stesso tempo. Ma qui non contano gli elenchi dei meriti, ma l’ipotesi di ascolto di una voce che non può che esserci ancora necessaria tanto per il lavoro svolto quanto per il pensiero che lo muove.

Dal primo numero, anno 1965, in cui figure di fama ben più consolidata e poi andando consolidandosi nei decenni successivi, quali Elio Vittorini ed Umberto Eco, una risposta di Del Buono inerente al fumetto già rende la cifra della sua progettualità notevole, multiforme, sempre curiosa: “Un fumetto come diagnosi, prognosi ed esorcismo”. Ulteriori nomi sarebbero da fare per indicare la quantità di autori e penne che passarono sotto la sua egida durante gli anni della sua direzione di Linus (Altan, Staino, Pericoli e molteplici altri), in veste di editore di case editrici l’innamoramento precoce, in tempi insospettabili, per Stephen King, caldeggiando di pubblicarlo totalmente ed in un primo momento essendo nemmeno ascoltato nel suo entusiastico giudizio da chi dirigeva. Una carrellata di meriti di certa, oramai consolidata, riconosciuta e commemorata valenza. Si pensi all’esordio di Pazienza sul supporto Alter alter di Linus, la grafica stupenda della rivista, la capacità di gettare lo sguardo in un humus convulso ma vivido, quale era la realtà degli anni Settanta, le ramificazioni del Movimento, senza nessuna attitudine di programma o di esposizione, ma con sincera dimensione di ascolto e curiosità, come attestano le testimonianze di Stefania Rumor (per leggersele per intero: http://www.fumettologica.it/2014/05/oreste-del-buono-lo-stile-del-salmone/). Ma la cifra di Del Buono non può che essere ancora accolta e discussa con vivacità, il lascito va ancora scrutato tra le sue parole, mai banali. Con uno sguardo sempre attento al circostante, senza lasciarsi prendere da facili malie, come dimostra questo editoriale del giugno 1977, data di svolta, oltre ogni monumentalismo nostalgico o pentitismo postumo. La situazione e la visione ancora oggi si presta frastagliata, con varie angolazioni, con varie ferite aperte o suture sbrigative, o ancor peggio acritiche rottamazioni. Del Buono scriveva nel suo editoriale di Linus: “C’è poco da ridere ormai. C’è solo da incazzarsi o piangere. Incazzarsi e piangere, facciamo, ma non facciamo neppure retorica. Dunque, continuiamo voi e noi lettori. Come possiamo. Incertamente, malaccortamente, inadeguatamente. E, tuttavia, in buona fede, con la voglia di capire. Se si capisse forse saremmo utili anche noi, cercando di farlo capire a chi non l’ha capito ancora. Ma siamo sicuri, mettiamoci la mano sulla coscienza (o, insomma, dove è di solito ubicata la coscienza) di non aver cominciato a capire da un pezzo. Forse abbiamo paura di ammetterlo persino con noi stessi”. E di seguito: “Se il disordine non c’è, va creato ad ogni costo. Tanto a pagare è sempre una studentessa a Roma o un poliziotto a Milano. A pagare è sempre la base. Mai i quadri. È una supposizione assurda?”

Al che nelle lettere era feroce il tono dei suoi lettori, spesso accusatori verso questa perplessità che cerca di capire sé stessa, di sezionare la propria difficoltà; nella posta di quel fatidico numero, un mittente si firmò Nessuno, da Padova, e scrisse: “ E allora sei un qualunquista, un non realista, non hai strategia (il che significa non fai il compromesso), sei vuoto, sei appunto Nessuno. Ciao O.d.B e attento a non diventare Nessuno: potrebbe essere oltremodo pericoloso”

Dunque risposte non proprio del tono più conciliante, nei tempi dell’incomprensioni di parte, delle uccisioni, della spartizione strumentale delle colpe, dei demonismi verso l’eversione, già verso l’inconsistenza futura del nuovo millennio, la dominazione virtuale del nostro tempo, di chi non può che confondere la strategia col compromesso ma allo stesso tempo non sa distinguere tra portata di un`azione ideale ed un effetto annullante di deriva. Senza nessuna cosmetica apocalittica, perché fine dei tempi (in questo caso svolta, svolte continue di un`epoca) ed imbellettamento di tutto ciò che resta si tengono una mano e con l’altra incrociando le dita e sperando sempre di farla franca. Tutte le suppellettili possono essere future opere museificate. Col morto il corredo diventa decoro di ciò che è perduto credendolo irrimediabile. Contro ogni nostalgismo, contro ogni arresa all’irrimediabile, ma fedeli nella minima dignità che un pensiero, un progetto, un destino può dare, Del Buono ci sa ancora parlare. Questo sembra suggerirci la discreta e allo stesso sempre netta lezione di una figura di pensatore ed editore come lui. A questo anonimo emissario della lettera, sarebbe porgli alla lettura questo articolo di Del Buono, i suoi saggi sul fumetto. Chiudendo qui la partita, aprendo di nuovo la scommessa. Rileggersi Linus, rileggersi questo “convertito a Charlie Brown” che viveva interamente e scontava col suo sentire, senza agiografie, come una bomba sul dilagare dell’esistente come commentabile e del cinismo come forma naturale della società. Tutto attraverso il disincanto, una temperatura dello spirito che i grandi fumetti danno proprio calandoci in altri mondi, ma forti di averli attraversati: “Viviamo in un’epoca presuntuosa e insieme meschina. Così mentre la scienza si prodiga a prolungare innaturalmente la vita ai vecchi, la tecnologia s’incarica di rubare posti di lavoro ai giovani, togliendogli il pane di bocca. Devono essere la delusione per il presente e l’apprensione per il futuro a renderci tanto devoti al passato. Non c’è ricorrenza gradevole o sgradita che non venga puntualmente ricordata, commentata, discussa, celebrata come se si trattasse, sempre, di qualcosa di eccezionale veramente. Siamo ammalati di un’influenza di nostalgia perpetua.” “«Non faccia troppo il nonno. I nonni ricattano sempre con il sentimentalismo…». E nel mio orecchio è frusciata di nuovo quella risatina da carognetta. Ma io ormai non pensavo più a lei. Pensavo ad altro. Pensavo all’arrivo dei fumetti in Italia. Fu come se fossero degli ufo. Arrivarono camuffati perché chi era in combutta con loro temeva di compiere un passo troppo arrischiato e aveva estirpato dalle vignette americane i veri e propri fumetti, quelle nuvolette che ospitavano le parole dei personaggi. E per di più erano accompagnate in calce da quei versicoli baciati o ribaciati che completavano il camuffamento. Quelle poesiole melense che costituivano la goduria degli adulti che ci compravano il «Corrierino» per leggerselo loro ad alta voce. A esempio, per il fumetto sfumettato Buster Brown, ribattezzato Mimmo: “Dice Mammola: Che tomo, par che in culla ci sia un uomo. Dice Mimmo a Mammoletta: or facciamo una burletta…”. E per Happy Hooligan ribattezzato Fortunello: “Rotoloni per la china, quasi in ciclica mina. Ma la Mula scostumata beve il mosto ed è beata…” e per Katzenjammer Kids ribattezzati Bibì e Bibò: “Un riso formidabile scappò a Tom dalla strozza e il pittor spaventato ruppe la tavolozza…”. Poesie del grande critico teatrale Renato Simoni, risate dei nostri genitori. Le risento, quelle risate di ombre. Ma qual è il primo sfumetto con cui ho avuto un incontro ravvicinato di qualche tipo? (Da un articolo de La Stampa del 1996) “Ci toccava imparare. Imparare ad aver coraggio. A non accontentarci del divertimento dei fumetti che pubblicavamo, a non accontentarci dell’anticonformismo che ci ostinavamo a perseguire, a non accontentarci del gusto delle scelte che veneravamo”. (Alberto Saibene, testimonianza di Oreste del Buono, da La vera storia di Linus, uscito su Doppiozero)

Non lo si può che ringraziare per l’uso della persona come forma di dignità, per la fermezza di un`altezza, per essere stato ambasciatore di queste popolazioni balzane di nuvole e segni, che ora ci accompagnano nei nostri percorsi dell’immaginazione e della fantasia.

Scritto da Edoardo Manuel Salvioni

Originariamente pubblicato via Facebook Notes il 9 Luglio 2016 sulla nostra pagina Facebook.

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