Copertina originale di Elena Guglielmotti

Il primo dei cinque ritratti per i romanzi dei finalisti del Premio Strega 2017

Ritratto #1 — L’educazione milanese di Alberto Rollo

Dopo la panoramica sui 12 semifinalisti, in attesa della proclamazione del 6 Luglio, approfondiamo la conoscenza dei cinque autori in gara

Pietro Giorgetti
La Caduta 2016–18
5 min readJun 26, 2017

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Stringando ancor di più la quarta di copertina di Un’educazione milanese, si legge che: 1. Alberto Rollo è nato a Milano nel 1951; 2. Dal 2005 è Direttore Letterario della Feltrinelli, casa editrice da cui lavora da oltre vent’anni; 3. Il romanzo con cui concorre come finalista per lo Strega 2017 è la sua prima opera di narrativa e il titolo che porta chiude il trittico di punti.

Da qui, senza ancora cominciare a leggere il libro, da questi tre punti azzardo (neanche troppo) delle conclusioni. Dai punti 1 e 2 evinco e immagino con chiarezza una geografia fisica e animale nella vita trascorsa fino a qui da Rollo. Il punto 3 passa per un titolo, una copertina e le circa trecento pagine in cui l’autore srotola e racconta una Milano molto personale, descritta e ricostruita con la precisione e la minuzia di certi ricordi custoditi con ardore e gelosia. Altro fattore importante oltre al luogo è l’anno di nascita, 1951. Il sottotitolo asserisce programmatico: Il romanzo di una città e di una generazione.

Ho conosciuto la mia città camminando. Ho fatto camminate estenuanti. Chilometri e chilometri con il semplice intento di vedere. Ho scoperto troppo tardi […] che Walter Benjamin si fermò a Milano per qualche giorno, visitò il cimitero Monumentale e andò a vedere una pièce di D’Annunzio al teatro Olimpia in largo Cairoli. Saperlo non avrebbe spostato quella che mi vien voglia di chiamare la nostra “fraternità metropolitana”. Non credo abbiamo visto in quella Milano […] più di quello che un ventenne poteva leggervi. Era una città moderna e caotica.

Un’educazione milanese è un viaggio nel tempo e nello spazio, che scava e racconta la storia di una città contraddittoria, che ha faticato negli anni a trovare una propria identità, di una popolazione sempre più meticcia, mai realmente milanese, tesa tra scortesia e schiettezza, tra i palazzi del centro che diventano grattacieli, e i viali della circonvallazione, e i ponti, divisori e colleganti il dentro con il fuori. Rollo passa in rassegna la storia delle sue Milano: quella della Breda e della Falck, delle Officine Ansaldo, quella dei milanesi, delle case di ringhiera e dei quartieri popolari, quella fumosa e sporca, piena di smog, infine rapida e affascinante come in Crepuscolo e Officine a Porta Romana di Umberto Boccioni; la Milano del benessere del boom, dei primi rituali piccolo-borghesi, il cinema, la televisione, la moda, la frequentazione della sartoria, le due facce conviventi (i milanesi popolari delle officine, i meneghini alto locati nella moda, nello spettacolo, nei nascenti studi di design e architettura); l’Autunno Caldo del sessantanove, Piazza Fontana, la lotta armata, gli anni di piombo, l’inizio del riflusso negli anni ottanta.

L’educazione milanese di cui si parla in questa ricognizione smette con la prima metà degli anni settanta. E coincide con la morte di un amico. Tutto ciò che segue appartiene a un altro racconto, perché altra educazione non si produce, almeno non di quel genere di educazione che, attraverso la città, ha toccato la mia biografia.

Di mezzo, c’è uno sguardo, c’è un uomo che ha vissuto il cambiamento di una città e il dispiegamento di una generazione decimata dal tempo, dalla Storia e dalle storie — tanti morti e pochi sopravvissuti, nella generazione “di ferro” dei cinquanta, tanti abbandonati a se stessi e al proprio destino per degli ideali, per delle situazioni e dei pensieri che oggi non esistono più, che oggi sono desueti, ridicolizzati. Ma Alberto Rollo vive ancora e può guardare cogli occhi del vissuto la città in cui è nato, le persone che vi si muovevano e quelle che adesso vi si muovono. Si dice che Milano è speciale perchè riesce a non essere mai uguale a se stessa ed è capace di alimentarsi e crescere in questa contraddizione di volti e di apparenze, nel continuo lavoro e ripensamento urbano. Proprio qui si inserisce la connessione col presente: il romanzo inizia infatti con una passeggiata tra Porta Garibaldi e la nuova Isola, la visione di Gae Aulenti, il Bosco Verticale, i nuovissimi quartieri residenziali — a pochi giorni dall’apertura di Expo 2015 c’è una nuova ossessione in città, la riqualificazione dalle buone intenzioni e dalle non sempre buone realizzazioni.

Com’è che si appartiene a una città? C’è qualcosa di tribale in questa restituzione di identità. E c’è qualcosa di antico nel riconoscere quanto può essere contaminante quella appartenenza. Torno dunque a mio padre che mi ha accompagnato in quello che senza dubbio riteneva essere il suo mondo, torno a mia madre che avrebbe di quello stesso mondo cucito la grazia, e torno all’amico Marco che andava cercando in sé il disegno delle forme in cui avremmo potuto abitare. L’industria, la moda, l’architettura. Un triangolo piuttosto significativo, e tanto basti.

Un’educazione milanese racconta molto della pratica del camminare, si muove grazie alle scoperte di nuovi scorci che l’errante esperisce dalla città; Alberto Rollo descrive le sue lunghe passeggiate con lo spirito e la forza di un flâneur dadaista, con l’occhio onirico di un surrealista, opera ricognizioni geografiche sghembe e immaginifiche con la perizia del situazionista, sottendendo una storia personale, l’autobiografia romanzata di un ragazzo divenuto uomo nel secondo novecento, sopravvissuto al secolo breve e alle sue contraddizioni, e lo fa con un libro che va oltre Milano e i milanesi, suggerendo solamente di tenere d’occhio chi (e come) cambia la città, e di riflesso, chiedendo a noi tutti — gli abitanti, gli erranti, demiurghi capaci di tanto artificio — come rendere e mantenere tutto questo, integro, godibile, abitabile, sostenibile, per ora e per quando sarà?

E allora ecco le facce dei vivi, ecco i vivi, come li sorprendo ancora una volta in una trasferta in metropolitana. Hanno i gesti di chi è stanco, di chi contiene una rabbia, di chi conta sul suo amore, sono uomini e donne che sono qui e arrivano da tutto il mondo, e siedono insieme sui sedili e si appendono ai sostegni, e gli uni e le altre hanno posture antiche, a dispetto di vestimenti e acconciature. Stano nel viaggio infero come chi porta un destino che ora li vede forzatamente assieme e fra qualche minuto li divide, li disperde, li divora.

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