Ritratto di Elena Guglielmotti

Ritratto #5— Matteo Nucci e la letteratura

Il quinto finalista al Premio Strega 2017 con “È giusto obbedire alla notte”, pubblicato da Ponte alle Grazie

La Caduta
La Caduta 2016–18
5 min readJul 5, 2017

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Non ignoriamo l’elefante nella stanza: a pochi giorni dalla proclamazione del vincitore dello Strega, se uno si ritrova come me a dover scrivere un ritratto di Matteo Nucci non può limitarsi all’orecchino, al lobo sinistro o alle gesta di eroi senza far riferimento all’affaire Toyota. Questo proprio in ragione di ciò che è l’affaire Toyota: non un aneddoto che rischia di schiacciare la figura di un autore su una polemica, ma un fatto vero e proprio. Un fatto che singolarmente non descrive in modo esauriente Matteo Nucci (da quando in qua, poi, si potrebbe parlare di una persona basandosi su un fatto) ma che nettamente demarca i confini di ciò che per Matteo Nucci significa essere uno scrittore: che, insomma, fa emergere una certa precisa idea della scrittura.

(Riassunto velocissimo delle puntate precedenti, per chi si chiedesse cosa c’entrano le auto giapponesi con un premio letterario: niente. Riassunto un po’ meno veloce ma più esauriente e meno partigiano: i cinque finalisti dello Strega hanno ricevuto dalla Fondazione Bellonci la richiesta di Toyota Motor di scrivere un racconto fra le sei e otto cartelle che parli di movimento, e che sia esempio di una narrazione “partecipata, ibrida, dinamica”, e di girare una videopillola di tot secondi a bordo di un’auto Toyota. Matteo Nucci si è rifiutato di fare questa cosa e ha motivato il suo rifiuto con un post sui social (che poi è anche diventato un articolo su minimaetmoralia).

Al termine della riflessione che accompagna il proprio rifiuto, Matteo Nucci apre una serie di quesiti che sembrano essere stati catapultati dagli anni ’60 di Franco Fortini fino al 2017 (e non perché siano inattuali, ma perché è sempre vitale per qualsiasi persona partecipi dell’industria culturale riproporli, ed è sempre necessario cercare delle risposte), che sostanzialmente si riassumono in: qual è il ruolo della letteratura (e degli scrittori) oggi? Scrivere romanzi o scrivere narrazioni partecipate, ibride, e dinamiche?

La precisa idea di scrittura, di scrittore e di letteratura di Matteo Nucci muove dalla semplicità verso la complessità: da una posizione di muta partecipazione alle dinamiche dell’industria culturale ad una problematizzazione della suddetta partecipazione.

Matteo Nucci è candidato a uno dei premi letterari (forse, potremmo dire, al Premio) più influenti del nostro paese: vincere lo Strega non equivale solo all’alloro del poeta laureato. Vincere lo Strega, anzi, già solo essere candidati allo Strega vuol dire fascette gialle sul libro; scaffali in vista in libreria; creazione di un discorso intorno a un libro. Lì dove è il discorso, sono anche i lettori; lì dove sono i lettori, le vendite. Quanto è lungo il passo tra questo modo di stare nell’industria culturale e un racconto sulla filosofia Toyota (qualunque cosa essa sia?)? Lunghissimo.

Se vi ricordate cosa dicevo di È giusto obbedire alla notte nella mia recensione precedente (se non lo ricordate, click), tout se tient: il romanzo candidato allo Strega con Ponte alle grazie è un romanzo che rifiuta la semplicità. Ingaggia con il lettore un dialogo, non un monologo: ha bisogno di un certo grado di inferenza, di partecipazione, di attenzione da parte di chi lo legge. Vuol dire che è un romanzo difficile? No, vuol dire che è un romanzo. Che quello di cui stiamo parlando non è “raccontare storie” (locuzione con cui ci si può riferire indifferentemente ormai a parlare di sughi pronti e comporre poemi omerici), ma è “scrivere romanzi”. In un’intervista rilasciata alla Rai, Matteo Nucci ha detto «Io credo che la letteratura sia una sfida costante al lettore, che debba mettere in gioco il lettore, lo debba un po’ costringere a fare degli sforzi. Io credo in un’idea un po’ antica della letteratura, nel senso della letteratura arcaica greca: i greci pensavano che la letteratura dovesse trasformare quelle persone che ascoltavano (perché al tempo non si leggeva, si ascoltava): questa trasformazione passa attraverso lo sforzo che alcuni scrittori costringono il lettore a fare». Quest’intervista, devo dire, mi ha rincuorata all’inizio della mia lettura: quindi è giusto, mi sono detta, fare fatica!

Ma fare fatica per niente non è mai piacevole: mi è capitato, di recente, di fare una passeggiata in montagna. Ero sul monte Musinè, vicino a Torino, un monte famoso essenzialmente per essere teatro di apparizioni ufologiche (ma ci ero finita, più che per gli ufo, per la voglia di una gita fuori porta che mi permettesse di fare una passeggiata senza fare ore di macchina). Se dovete fare una passeggiata in montagna, ascoltate il mio consiglio, lasciate perdere il Musinè. Un sacco di fatica e poi in cima la ricompensa non è abbastanza: la valle che si apre sotto di voi non è abbastanza, il cielo sopra di voi non è abbastanza, la frescura non è abbastanza (per onestà, ammetto anche che io il Musinè l’ho scalato in una mattina afosissima e quando sono arrivata in cima s’è messo a piovigginare).
Se volete scalare Matteo Nucci (stando dentro la metafora, intendo: questo non è un invito ad arrampicarvi sulle spalle di un finalista dello Strega), invece, fatelo: la fatica non è così fatica (ma ammetto che sono più allenata a leggere che a camminare) e la ricompensa è giusta, è paragonata al vostro sforzo.

Così vorrei chiudere il mio ritratto di Matteo Nucci, che tra i finalisti dello Strega è quello che — in qualsiasi modo andranno le cose — mi rimarrà impresso quest’anno: perché mi ha ricordato il valore delle scelte, in letteratura, e delle rinunce: mi ha ricordato la fatica necessaria e gratificante che si fa prendendo una posizione.

A cura di Gabriella Dal Lago

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