Ross From Friends è la storia più bella del 2018

Con Family Portrait il re della lo-fi house torna alla fonte della sua nostalgia

Tommaso Tecchi
La Caduta 2016–18

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A livello di uscite discografiche anche quest’anno è stato finora abbastanza intenso: in un’ipotetica classifica parziale sarebbero degni di menzione i nuovi lavori di A$AP Rocky, SOPHIE, Nine Inch Nails, Oneohtrix Point Never, Kali Uchis, Beach House, Nicolas Jaar (nei panni di A.A.L.), solo per citare qualche nome in ordine sparso. C’è però un artista che sono particolarmente felice di aver visto sbocciare definitivamente nelle ultime settimane, e il suo nome si distingue da quello degli altri, essendo un riferimento alla sit com per eccellenza. Sto parlando di Ross From Friends, dove Ross sta ovviamente per Ross Geller, il paleontologo più amato del piccolo schermo. Felix Clary Weatherall (questo il vero nome dell’artista) è in realtà in giro già da qualche anno; più precisamente dal 2016, quando la sua hit Talk To Me You’ll Understand rompeva YouTube e — inisieme a Wynona di DJ Boring — dava inizio ufficialmente alla stagione della lo-fi house. Essendo una corrente nata su e grazie a YouTube, non si tratta di una vera e propria scena e i suoi componenti ufficiosi fanno giustamente un po’ quello che gli gira. DJ Boring ha spinto su un’house a cassa dritta niente male (recuperate l’ottimo EP For Tahn, uscito a fine giugno), DJ Seinfeld si è “limitato” ad un bel mix uscito anch’esso quest’estate, mentre Delroy Edwards continua a destabilizzare il mio algoritmo di Spotify con il suo faccione e le sue release ultra-criptiche (ascoltate Love Is In The Air per innamorarvene). In questo mai esplicitato collettivo di producer, accomunati solo dalla nostalgia per un dancefloor che non esiste più e dalla passione per i suoni analogici e impolverati, Ross From Friends è riuscito a distinguersi come l’elemento più valido e come l’artista più completo.

La conferma di quanto scritto qui sopra è arrivata all’inizio di quest’anno, quando l’inglese ha firmato per Brainfeeder, etichetta di Flying Lotus che negli ultimi tempi ha dato spazio ai deliri di gente come Thundercat, Kamasi Washington, DJ Paypal, Iglooghost e Samiyam. Probabilmente la casa discografica di FlyLo è per Ross From Friends il miglior ambiente in cui sviluppare il suo suono e la sua carriera, per questo motivo la prima pubblicazione per la label — l’EP Aphelion uscito in aprile 2018 — è tutto sommato una delusione. È impossibile non confrontare questo lavoro con il precedente The Outsiders, che racchiudeva in meno di tre quarti d’ora tutto ciò che il suo autore rappresenta: suoni vintage crudi, un tiro che non si interrompe mai per tutto il disco e non un solo momento ripetitivo o prevedibile. Aphelion, escluso il singolo di punta John Cage, suona scarico e non regge il paragone; così ho iniziato subito a pensare che FlyLo e soci stessero cercando di indirizzare il producer su una direzione diversa, lontana dalla sua comfort zone. A distanza di pochi mesi inizia però a prendere forma Family Portrait, l’atteso esordio sulla lunga durata per Brainfeeder. La scelta di questo titolo per il disco diventa subito chiara con l’arrivo del secondo estratto Pale Blue Dot. Il video musicale del brano è stato girato dalla madre di RFF nel 1990, anno in cui ha conosciuto il suo futuro marito. Quest’ultimo (lo chiameremo Ross Senior), dopo anni di djing a Londra aveva deciso di noleggiare un pullman e di girare l’Europa cercando qualunque spazio fosse adatto a buttare su un rave improvvisato. Il risultato è una serie di riprese in VHS tra Belgio, Francia e Germania (prima divisa e poi riunificata) e la nascita dell’amore tra Ross Senior e l’autrice di tali riprese.

La nostalgia che ha caratterizzato l’intera produzione di Ross From Friends viene così finalmente contestualizzata, si tratta di ricordi d’infanzia (ascoltate questo brano di Ross Senior per capire) e non delle ricerche svogliate di un millennial su internet come molti pensavano. In Family Portrait il lo-fi è lì perché è come se l’artista ci stia mostrando le videocassette in cui muoveva i suoi primi passi. L’aspetto sorprendente è che, nonostante ciò, tra i 12 brani che compongono il disco c’è una ricerca di suoni e ritmi diversi che fa effettivamente uscire RFF da quanto ci ha fatto ascoltare finora. In una maniera decisamente più interessante e coerente di quanto anticipato con Aphelion, l’house in certi momenti lascia spazio a beat più veloci e a tracce IDM di una maturità disarmante (Parallel Sequence è forse il miglior brano del disco). Il tutto con il solito equilibrio tra dancefloor e chill e tra malinconia e gioia. Pitchfork, nella recente recensione dell’album, ha smontato subito le intenzioni dell’inglese, sostenendo che sia ancora schiavo delle sue influenze. Tralasciando il fatto che storicamente la rivista di Condé Nast non ha quasi mai perso occasione per accogliere con malizia le avanguardie provenienti dal Regno Unito (‘MURICA!!!), questa argomentazione non tiene, o meglio terrebbe solo se stessimo parlando di un altro artista. Chiunque, da oggi a qualche mese, potrebbe mettersi a cercare sample di brani da discoteca anni ’90 dimenticati, pensare ad un nome divertente (DJ E.R. o Homer from Simpsons?) e caricare qualche video su YouTube sperando che compaia sul feed di più persone possibili. Ma se c’è qualcuno che questo lavoro lo fa per un onesto senso di appartenenza e per esplorare la sua stessa cultura è proprio Ross From Friends, che — proprio come Flying Lotus con i dischi jazz della prozia Alice Coltrane — per trovare i suoni per una traccia ha solo bisogno di frugare tra i vinili dei suoi genitori. Ora fate una cosa: guardate il faccione ad inizio articolo e ditemi se sembra una persona schiava delle proprie influenze. Se non vi ho convinto spingete play qui sotto.

Il 27 settembre Ross From Friends sarà al roBOt Festival di Bologna

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