Illustrazione originale di Matteo Capriotti.

Scandalizzare è un dovere: NWR e The Neon Demon

Martina Zerpelloni
La Caduta 2016–18
5 min readAug 31, 2016

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Scrivere un pezzo su Nicolas Winding Refn è necessariamente complicato. Questo perché si tratta di un regista di cui non è semplice parlare in modo oggettivo. O almeno, lo si può fare, ma con il rischio di ridurlo alla stregua di molti altri. Ciò che differenzia Refn da diversi suoi colleghi è la forza di rimanere fedele a se stesso, è l’individualità. In particolare dopo il successo ottenuto da Drive — che gli è valso il premio alla miglior regia a Cannes nel 2011– decide di attenersi il più possibile al suo gusto ed al suo concetto di cinema (complice qui anche il ruolo di mentore avuto per il regista da parte di Alejandro Jodorowsky), spesso distanziandosi dal grande pubblico. Non mira a piacere, mira a creare, a comunicare una sua visione di mondo. Che poi questa visione sia apprezzabile e condivisibile dai più, è un altro discorso.L’ultimo lavoro del regista danese — The Neon Demon — uscito nelle sale il mese scorso ma ancora chiacchierato, non tradisce la linea artistica del suo autore e scandalizza Cannes, oltre a dividere il pubblico. Ma, afferma lo stesso Refn, scandalizzare è un dovere. Forse per evidenziare, o strizzare l’occhio, ai veri scandali della società odierna: la solitudine, l’ipocrisia e — in questo caso in particolare — l’inseguire a tutti i costi un ideale di bellezza che perde longevità colpo dopo colpo. La bellezza è tutto nell’ultimo film di Refn, fa da fil rouge sia a livello narrativo che, ovviamente, stilistico, dove le debolezze che il regista si porta dietro dall’infanzia — dislessia e daltonismo — sono diventate il suo grande punto di forza, creando immagini fatte di inquadrature quasi ieratiche e di colori che non lasciano spazio ai mezzi toni. Una bellezza che sfugge e che è più un’essenza che una fisicità. Uno spirito capace di catturare gli sguardi di tutti, ma con cui non tutti possono fronteggiarsi.

Come sarebbe stato essere nato bello? È questa la domanda che porta Nicolas Winding Refn a sviluppare la storia di Jesse, sedicenne contraddistinta da una bellezza fuori dal comune, quasi eterea, che approda nell’elettrica Los Angeles con il sogno di diventare modella, ma finendo per diventare il polo attrattivo di invidie e ossessioni. La Los Angeles di Refn è un ambiente di fredde luci al neon, in cui si muovono a loro agio figure forti, a tratti quasi animalesche, come le modelle “replicanti” Sarah e Gigi o il Keanu Reeves gestore del motel, lupo che la notte esce in cerca delle sue vittime; ma in cui non c’è posto per i deboli, per chi ha dei sentimenti veri e prova a ostacolare un mondo inumano che lo taglia fuori, come il giovane aspirante fotografo interpretato da Karl Glusman. In questa giungla di personaggi inumani emerge quello che è uno dei tratti insiti nella natura dell’uomo, la violenza. Violenza che è uno dei tratti comuni a tutto il percorso del regista. Una violenza che crea fascinazione perché è profonda, rimanda a simboli, a paure infantili. Partendo dalla trilogia di Pusher e toccando tutti i capitoli della carriera registica di Refn fino a Solo Dio Perdona, che precede l’ultimo lavoro, la violenza è ciò che segna un percorso di espiazione e purificazione per i personaggi. D’altra parte in The Neon Demon emerge come la violenza risulti interessante quando erotizzata, in grado di eccitare ed allo stesso tempo creare repulsione. Il cinema violento di Refn non è tuttavia solo un modo per analizzare l’istinto animale dell’uomo, è anche moto di ribellione verso la generazione dei padri, votati alla Nouvelle Vague ed a un mondo più “moralista”.

Battezzato dal mattatoio a basso budget di The Texas Chainsaw Massacre, NWR si tramuta nell’opposto terrificante di una famiglia danese dell’alta borghesia artistica: un debosciato con la passione per il cinema di genere. Divora i classici dell’horror camp, attraversa idealmente l’oceano per pascersi dell’orrore estetico/estatico nostrano di Argento, Bava e Fulci. Il suo cinema nasce come rielaborazione iper-tecnica del genere; vedi Drive, film che ha l’ossatura di un action anni ’80 ma cristallizzato e dilatato in gigantesche macroscene che fungono da legnate anti-climatiche. Avvertendo un pericolo per la sua creatività dopo il successo di Drive (film fatto su commissione), Refn inizia un sodalizio con Jodorowski che sancisce la caduta definitiva di ogni compromesso con il pubblico. Sotto consiglio dello psicomago cileno, il regista segue la via dell’ego e The Neon Demon è lì a rimarcarlo. Se con Bronson aveva trovato il favore della critica e con Drive quello del pubblico, Refn riprende la via battuta da Valhalla Rising: il genere come pretesto per lo smembramento degli archetipi, una trama esile al servizio del suo gusto e un ritorno alla visione fondata su un messaggio settario figlio del suo essere “un nerd senza speranza” (come lo descrive la moglie/musa Liv Corfixen) che ha il sapore di quel film visto a notte fonda con una cerchia ristrettissima (quasi nulla) di amici. E per quel gruppo, la scena più controversa di The Neon Demon strappa un sorriso soddisfatto perché ricorda loro il finale di Nekromantik. Il resto della sala esce, disgustata. Gli esteti applaudono. I membri del gruppo annuiscono, sapendo che NWR alla fine è uno di loro.

Il mondo artificiale e quasi asettico di The Neon Demon permette un’altra grande riflessione, non scontata, quella sulla solitudine. La solitudine che è causa e conseguenza di non trovare un proprio spazio nel mondo e di renderci alle volte figure border line. Se davvero le debolezze sono ciò che ci identifica con un personaggio, allora più che Jesse, che in realtà esprime in parte ciò che vorremmo essere, il personaggio che meglio incarna la solitudine con cui ci scontriamo oggi è la Ruby di Jena Malone, alla ricerca di un briciolo del calore che le è negato in corpi ormai freddi.La timidezza, il votarsi al fallimento. Questi sono i tratti comuni a tutti i personaggi di Refn, e molto probabilmente un’estensione del regista stesso. Se Elle Fanning, la giovane Jesse, rappresenta la sedicenne che è in lui, l’umanità di Nicolas Winding Refn si lascia intravedere in tutti i caratteri da lui tratteggiati fino ad ora. Il conflitto famigliare vissuto da Julian in Solo Dio Perdona, la sensibilità e la goffaggine nel relazionarsi al sesso femminile di Lenny in Bleeder o di Charles Bronson nell’omonimo biopic. Una serie di alter ego che permettono anche a noi di avvicinarci meglio ad un uomo che non merita di essere demonizzato a regista puramente votato all’estetica.

Originariamente pubblicato via Facebook Notes il 26 Luglio 2016 sulla nostra pagina Facebook.

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