Sotto le stelle del cinema

Ogni anno la Cineteca di Bologna rievoca la magia dei grandi capolavori del cinema, in una serie di serate indimenticabili

Francesca Orestini
La Caduta 2016–18

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Con la sua trentunesima edizione, la Cineteca di Bologna ha regalato per l’estate 2017 alla città e ai numerosi cinefili e studiosi provenienti da tutto il mondo una retrospettiva decisamente unica. Dal 24 Giugno al 4 Luglio tra le sale dei cinema Arlecchino e Jolly e la cineteca stessa, hanno presentato una rassegna dedicata a vari temi e personaggi che hanno reso grande la settima arte. In particolare, c’è la rassegna dedicata alla personalità anticonformista e trasgressiva della scrittrice Colette, che, grazie alla passione per il cinema, collaborò alla realizzazione di molti film; viene poi riscoperto William H. Howard, maestro dello stile dalla vita tormentata, che morì quasi dimenticato; è presentata una raccolta di film che raccontano del Giappone degli anni bui, attraverso l’opera di quei cineasti progressisti giapponesi che rivoluzionarono il genere storico (jidai-jeki).

Gli svariati manifesti del programma in giro per le strade mostrano un volto intramontabile semi nascosto nell’ombra, con due inconfondibili occhi che emergono, quasi assonnati, a fissare l’obiettivo. Ben due ricorrenze per Robert Mitchum, icona del cinema noir e western, nato nel 1917 e morto nel 1997. Proprio a lui la Cineteca di Bologna dedica questa edizione del festival, con una rassegna che parte dagli esordi dell’attore; dal periodo d’oro del noir con titoli entrati nella storia del cinema come Le catene della colpa (Jacques Torneur, 1947) o i classici delle pellicole western come La magnifica preda (Otto Preminger, 1954) o il Meraviglioso paese (Robert Parrish, 1959) fino ad arrivare agli anni settanta con Gli amici di Eddie Coyle (Peter Yates, 1973).

Robert Mitchum

Uno dei pilastri della Golden Age di Hollywood, Mitchum ha impersonato ruoli incredibili in più di cento titoli; cattivi iconici, protagonisti tormentati dal passato e solitari, il tutto con semplicità e profonda naturalezza. Una vita complicata la sua e ne sono prova evidente i problemi con la legge che lo portarono, proprio all’inizio della carriera, a scontare sei mesi in cella per possesso di marijuana. Con il suo carattere cosí distaccato si creò di sè un immagine fuori dagli schemi, di un addetto ai lavori poco interessato nei confronti del cinema e del ruolo di attore; come fosse un lavoratore qualunque che eseguiva le sue parti e i suoi personaggi per guadagnarsi da vivere. O forse cosí voleva farci credere.

Egli stesso confessò in due diverse interviste: «Solo due film salvo di più di cento che ho girato» e ancora: «Sono una speranza per tutti; la gente mi guarda sullo schermo e dice: “Hey! Se ce l’ha fatta quello posso farcela anch’io!”». Quarant’anni di carriera, con collaborazioni uniche come quella con Charles Laughton ne La morte corre sul fiume (1955), film già restaurato dalla Cineteca a Novembre, lo portarono ad essere diretto da moltissimi registi; tra i tanti ad esempio Howard Hawks e John Huston, che lo ritenevano tra i migliori attori con cui lavorare.

Il festival del Cinema Ritrovato presenta poi, ogni anno, una rassegna di film proposti nel cinema all’aperto allestito in Piazza Maggiore. Dal 26 giugno al 2 luglio, il cuore di Bologna si è animato nella luce del maxi-schermo, sulla cui tela si susseguono, sera dopo sera, alcuni dei più grandi capolavori della storia del cinema. In apertura delle serate quest’anno è stato scelto L’Atalante di Jean Vigo (1935).

L’Atalante

Nulla può il tempo contro pellicole di questo genere: Vigo riesce tuttora ad incantare con la poesia del suo realismo e il fascino e l’abilità delle due celebri scene surrealiste. Le vicende della nave fluviale “Atalante”, culla della storia d’amore tra i due protagonisti, si offrono al pubblico in una nostalgica quanto grandiosa visone di quello che è uno dei più preziosi capolavori del cinema francese.

Segue un melodramma che veste panni wester nel famoso cult movie di Nicholas Ray, Johnny Guitar (1954). Un dramma di amore, gelosia e volontà d’indipendenza, in cui le azioni nascono dalla violenza dei sentimenti e dalla complessa psicologia dei personaggi, caratterizzato dall’uso della vivace colorazione in Trucolor. La carica eroica e romantica della storia hanno il fulcro nella figura della protagonista, Vienne, interpretata dalla superba e indomabile Joan Crawford.

Johnny Guitar

Eisenstein invade la terza serata con le immagini strazianti, violente e provocatorie de La corazzata Potemkin, inno alla tragedia delle rivolte operaie e simbolo della potenza del “cinema-pugno” del regista d’avanguardia russo.

A seguire c’è la pellicola restaurata di Marco Ferrari L’uomo dai 5 palloni (Break up, 1976), in cui la coppia di protagonisti, Marcello Mastroianni e Catherine Spaak, annegano nella mancanza di comunicazione in un ritratto grigio e squallido della società moderna. Una critica fortissima alla superficialità del capitalismo che non vede nessuna realizzazione possibile per l’essere umano nel turbine della mediocrità e pochezza dell’uomo contemporaneo.

L’uomo dai 5 palloni

Ma c’è chi subisce molto di più, come Buster Keaton in Io… e il ciclone (Steamboat Bill jr., 1928), in cui quel turbine di regole, imposizioni, alienazione di cui è preda la società diventa un vero e proprio vortice di vento, che insegue senza tregua il povero protagonista. Piccolo e terrorizzato, egli viene sopraffatto dalla forza distruttiva della tempesta, e diventa metafora della fragilità umana fra gli ingranaggi della società incomprensibile e restrittiva.

Due documentari sono protagonisti delle ultime due serate del Cinema ritrovato. Il primo è della leggenda della nouvelle vague Agnes Varda, ospite d’onore del festival per presentare il nuovo film, girato con lo street photographer francese JR, Visages, villages (2017), documentario in salsa di road movie, che ci conduce in un viaggio alla scoperta dell’identità umana contemporanea, cercata nei volti delle persone comuni, fotografate da JR. Un linguaggio lirico e poetico per un indagine profonda ed introspettiva della società e della motivazioni che l’hanno portata a come oggi si presenta. Il secondo è Let’s get lost (1988) del regista Bruce Weber, dedicato al cantante jazz Chet Baker e interpretato dallo stesso. Weber scava nel profondo nella personalità di Baker, ricercando nelle radici del suo animo il legame che sentiva con la musica che componeva, in un documentario che assume i toni del racconto sentimentale.

Visages, villages

Il 2 luglio il programma del Cinema ritrovato si è concluso, lasciando la scena alla celebre e assai attesa rassegna Sotto le stelle del cinema. Protagonista delle serate bolognesi fino a Ferragosto, le opere in programma sono tra le più famose ed amate. Si è partiti il 3 luglio con Amici Miei (1975) di Mario Monicelli, commedia sull’amicizia virile colma del disincanto e della malinconia degli anni 70, che vedono l’avvento del tramonto della commedia all’italiana. “Un film di Pietro Germi” recitano i titoli di coda, un onore che Monicelli dedicò al regista cui il progetto apparteneva e che non poté portare avanti a causa della malattia. A Germi si deve anche il titolo del film, ripreso dalla frase che pronunciò come addio al cinema: «Amici miei, ci vedremo, io me ne vado».

Amici miei

Si passa quindi all’epica e tragedia dei bassifondi nel capolavoro di Pier Paolo Pasolini, Accattone (1961), pellicola splendida e straziante che racchiude tutta l’idea letteraria del genio eclettico dell’autore. Riflesso tanto crudele quanto vero della realtà dei sobborghi romani, nei quali la miseria è padrona e la morte unica salvezza per le anime perdute che vi abitano.

Struggenti nella loro bellezza tragica, Vivere (Ikiru, 1952), Ran (1985) e I sette samurai (Shichinin no samurai, 1954) rendono onore al maestro Akira Kurasawa nelle tre serate seguenti. Pellicole che narrano il mito dell’eroe attraverso la leggendaria figura del samurai, fulcro dell’immaginario giapponese ritratto nella luce morente del suo crepuscolo e del dissolversi con essa della grandezza del passato, svanito come un sogno all’alba.

Ran

Nostalgico cameo di un cinema ormai tramontato è Paper Moon — Luna di carta (1973) del regista slavo Bogdanovich che narra il periodo della grande depressione e di una società fattasi scaltra e imbrogliona, che non aveva altra ambizione se non quella di sopravvivere; una commedia sulla vita di strada, raccontata però con la dolcezza ironica di una commedia, attraverso le avventure picaresche dei due “adorabili furfanti” protagonisti: la piccola Abbie, ladruncola di otto anni, e il suo compare, nonché padre, Moses.

Le successive cinque serate sono state invece dedicate alle risate, ma assieme alla commozione: in onore di Paolo Villaggio, scomparso il 3 luglio 2017, la Cineteca ha deciso di sostituire L’armata Brancaleone (1966) di Monicelli con Il secondo tragico Fantozzi (1976) di Luciano Salce, secondo capitolo della saga dedicata allo sfortunato impiegato, ideato dallo stesso attore. Classico intramontabile della parodia, rappresenta la kafkiana realtà del lavoro dipendente, alienante e disumana. Una delle pietre miliari della comicità cinica e grottesca.

Il secondo tragico Fantozzi

Completamente smaliziato è, invece, il capolavoro di Mel Brooks Frankestein jr (The young Frankenstein, 1974), cui fa seguito l’ironia intellettuale di Woody Allen nei due film più celebri Manhattan (1979) e Io e Annie (Annie Hall, 1977), per finire sull’ultima crudele e satirica commedia del grande Billy Wilder, Prima pagina (The front page, 1974).

Si compie poi un breve salto nella contemporaneità, in due serate in 70 mm con l’odissea spaziale di Christopher Nolan, Interstellar (2014), in cui l’epopea del viaggio avventuroso si macchia del doloroso sentore di sconfitta e inutilità, e l’ultimo film di Quentin Tarantino, The Hateful Eight (2015), personale omaggio al western del regista, che stavolta intreccia ostilità, sospetto, paura e vendetta in un baita perduta in un paesaggio innevato.

The Hateful Eight

Polemico, ironico, attore e regista, Ugo Tognazzi è uno dei mostri sacri della commedia italiana e la rassegna del Cinema sotto le stelle ne racconta la personalità attraverso sei film: La vita agra (1964) di Carlo Lizzani, La voglia matta (1962) di Luciano Salce, Venga a prendere un caffè da noi (1970) di Alberto Lattuada, La tragedia di un uomo ridicolo (1981) di Bernardo Bertolucci, Nell’anno del Signore (1969) di Luigi Magni ed infine Il vizietto (La cage aux folles, 1980) di Eduard Molinaro.

E per il gran finale, la rassegna si conclude con un omaggio al grande regista Pietro Germi, le cui pellicole di forte critica sociale, umoristiche e satiriche, sebbene velate da una drammaticità di fondo, lo henno reso uno dei cineasti più importanti e originali d’Italia. La Cineteca conclude le sue serate con cinque suoi film: Il ferroviere (1956), Un maledetto imbroglio (1959), Divorzio all’italiana (1962), Signore & signori (1965), Sedotta e abbandonata (1964).

Pietro Germi

Articolo a cura di Francesca Orestini e Pierfrancesco Pappa

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