Svilupparty 2017 — Una festa per professionisti, appassionati e giocatori

Siamo stati ai tre giorni del festival di videogiochi italiani indipendenti Svilupparty. Giunto all’ottava edizione, negli anni il festival è cresciuto, arrivando ad accogliere oltre 80 sviluppatori in showcase, il tutto preceduto da una intera giornata di talk con tutta l’aria e la dignità di una GDC nostrana

Riccardo Giannini
La Caduta 2016–18

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L’interrogativo di fondo, quello condiviso dalla maggior parte dei partecipanti, è molto serio: come faccio a campare di videogiochi? Certo non tutti i partecipanti hanno intenzione di fare dei videogiochi il proprio mestiere, ma questi tre giorni costituiscono un’occasione eccezionale per i professionisti e aspiranti tali per fare comunità, scambiarsi consigli, conoscere nuovi colleghi, compagni e magari amici. Riuscire a far rete, essere testimoni delle esperienze altrui, potersi mostrare agli altri e mettersi in discussione, sono tutte cose che è possibile fare allo Svilupparty: aspetti di fondamentale importanza per riuscire a comprendere la propria posizione all’interno della comunità di sviluppatori, il proprio posto nel mercato videoludico, quali sono le capacità o le figure di cui si ha ancora bisogno o magari invece quelle di cui si può andare fieri.

Ma anche solo come consumatore, il panorama è molto interessante: si rimane felicemente sorpresi dalla quantità e dalla qualità dei videogiochi italiani in circolazione. L’industria (e “l’artigianato”, permettetemi l’espressione) nostrana è fiorente e offre una varietà in termini di generi, temi e storie raccontate che non può che riempire il cuore di fiducia e entusiasmo per questi giochi che ci gettano in mondi nuovi e inaspettati.

Durante la prima giornata non c’è stato showcase, ma solo i talk di alcuni professionisti. Tutti gli interventi sono stati costruttivi e molto utili — ho intenzione di riportare in seguito i passaggi che ho ritenuto più interessanti.

Il primo a introdurre la giornata è stato Ivan Venturi: fondatore dell’Associazione Svilupparty e amatissimo sviluppatore italico dai tempi del Commodore 64. Ha dilettato i nostri computer con Bocce, Italy ’90 Soccer, Dylan Dog: Gli uccisori, una infinità di avventure prodotte dalla sua Colors Art, vari serious games a tema sicurezza stradale; infine la serie di Nicholas Eymerich, Inquisitore e il suo ruolo di publisher con IV Production, a supporto di giochi come Riot: Civil Unrest e l’importantissimo Progetto Ustica.

Durante il suo intervento di benvenuto, Venturi ci presenta il tema del festival: la “Vita di videogiochi”. È qualcosa che si posiziona al confine tra passione e mestiere: perché fare i videogiochi è appassionante e divertente, ma per farne un mestiere bisogna portare a casa la pagnotta in qualche modo. È quindi importante trovare il giusto bilanciamento tra i due aspetti.

Venturi ci introduce agli speaker della giornata indicandoli come possibili esempi di vita: una serie di casi che (con background differenti e dalle molteplici e variegate esperienze) possono fornire un esempio di quello che può essere il mestiere di chi fa i videogiochi, riportando questo lavoro in una dimensione olistica che copre tutti gli aspetti della vita.

Fuzeboy

Dopo Venturi è il turno del Trinity Team che ci racconta la propria esperienza di sviluppo del gioco Slaps and Beanschi ha giocato alla demo lo scorso anno lo ricorderà con il precedente nome di Schiaffi e Fagioli.

Per motivi di spazio non posso raccontarvi nel dettaglio ogni intervento, altrimenti questo articolo diventerebbe lungo come un paper universitario… e voi siete qui per i videogiochi! Il divertimento! L’azione! L’avventura! eppure sarei ben felice di mostrarvi con precisione il delicato equilibrio produttivo che quelli di iMasterArt sono riusciti a costruire nei loro corsi e di come hanno saputo unire in concerto ogni loro studente nella produzione di un videogioco, in uno sforzo collettivo che ha coinvolto tutto l’istituto; o delle tecniche di persuasione di Antab Studio, che con i suoi prototipi ultrapolished è riuscito a sedurre Microsoft, viaggiare a Seattle e pubblicare su Xbox One.

Sono rimasto affascinato dalla favola intellettuale di Angelo Theodoru, che, partito dalla Campania con un po’ di esperienza e molta voglia di imparare, ha viaggiato in tutta Europa per realizzare il sogno di lavorare agli engine grafici. Colpito da bambino dall’atmosfera esoterica della demoscene sull’Amiga, non ha mai smesso di studiare e lavorare ai suoi progetti, arrivando a lavorare per DICE (Battlefield 1, Mirror’s Edge): mi piacerebbe tanto essere abbastanza nerd da saper leggere ed emozionarmi davanti al suo nCine.

Alternativa a tutte queste storie di developer è la figura di Adriano Bizzoco che lavora attualmente in Adventure’s Planet: società che nasce come luogo per appassionati di avventure grafiche, raggiunge una certa notorietà come sito di recensioni di videogiochi, tra cui perle oscure e dimenticate come alcuni titoli della Simulmondo di Venturi (come Babylon). Lentamente è riuscita ad inserirsi nel mercato italiano della distribuzione di videogiochi e una volta raggiunta la possibilità di lavorare senza intermediari nella Grande Distribuzione Organizzata ha ben pensato di fare da publisher per alcuni sviluppatori italiani. Oltre ad aver portato in Italia giochi come Deponia e The Town of Light, Adventure’s Planet si è impegnata a produrre due avventure grafiche tutte nostrane: The Wardrobe, avventura punta e clicca “con scheletri e prugne”, e Detective Gallo, altra avventura grafica che riporta alla direzione artistica Maurizio de Angelis, proveniente da uno degli studios di animazione più grandi d’Europa.

Detective Gallo

Fabio Mosca è fondatore di AnotheReality, azienda italiana che si occupa di Realtà Aumentata e Realtà Virtuale. Dice: “Credevo di essere un pioniere della virtual reality, poi ho scoperto che il primo visore è del 1968. Ciononostante l’esperienza maturata in questi anni con la VR è abbastanza per essere considerato uno sviluppatore senior.” Uscito dall’università svolge alcuni lavori da informatico, ma nel tempo libero lavora ai suoi progetti di realtà virtuale. Giorno dopo giorno, grazie anche al confronto con Venturi, capisce che i suoi lavori hanno potenzialità: per questo, dopo aver partecipato a game jam e showcase in tutta Italia, fonda AnotheReality come startup innovativa. Oltre ai giochi, l’azienda si mantiene in salute anche grazie ad alcuni lavori di B2B svolti per grandi marchi come Barilla, Lottomatica o Sky. Presenta allo Svilupparty il suo God of Boxes, tower defense in realtà virtuale per HTC Vive — nello svolgersi dei tre giorni riuscirò a provare il suo gioco solo la Domenica: gli stand della realtà virtuale sono affollatissimi allo Svilupparty!

Iniziano i giorni di showcase: la piazza della Cineteca Lumiére, vuota il giorno prima, è stranamente colma di banchetti alimentari del Mercato Ritrovato. Intanto ragazze e ragazzi armati di televisori, zaini, computer e volantini si mescolano ai commercianti facendosi strada tra le cassette dei fagiolini e dei funghi bio. L’odore di arrosto alle 9:30 mi sorprende e mi lascia confuso davanti l’entrata del Lumiére: tante facce nuove si affrettano per entrare a preparare il proprio stand.

Incontro i ragazzi di Expera Game Studio, che si presentano con A Tale of Caos. È un piccolo team che viene dalla Campania, composto da tre persone: un programmatore, uno storywriter e un grafico. Sono partiti nel 2015 (quando ancora non avevano nemmeno il grafico) facendo avventure su Kongregate, una piattaforma con una vasta community sulla quale potevano mettersi alla prova. Allo Svilupparty ho potuto provato il primo episodio di Rogue Quest: le atmosfere a là LucasArts e il gameplay rapido e ritmato mi hanno attratto verso il grande universo della Expera. Ho scoperto che ogni loro gioco è collegato, in termini di storia, l’uno con l’altro, e fanno tutti parte di uno stesso universo narrativo. Rimango sempre affascinato da un buon world building e non vedo l’ora di giocare tutte le loro avventure.

Il grafico, entrato nella compagnia a partire da Rogue Quest 2, si è dimostrato un grande acquisto per lo studio: il suo stile grafico cartoonesco si adatta bene alle atmosfere narrative del team e il suo lavoro in A Tale of Caos come artista e animatore ha portato a dei risultati davvero convincenti.

Xydonia l’avevo orecchiato su internet e lo stavo già puntando mentre mi preparavo all’incontro. Da ragazzetto cresciuto con Xenon 2 sull’Amiga dello zio, e in generale da modesto appassionato di shoot em up, sono stato felice di provare questo gioco: ispirato a giochi come R-type, Thunderforce, Darius e Gradius, Xydonia non ha deluso le mie aspettative. Costituendosi come un vero e proprio gioiello di artigianato videoludico, è stato prodotto da un team di tre persone, i Breaking Bytes: un programmatore, un grafico e un sound designer che prendono a piene mani dal patrimonio shooter degli anni ’90.

Xydonia

Il designer viene da Messina e con lui si è anche accennato brevemente a una “questione meridionale” del game development italiano: non è facile fare lo sviluppatore di videogiochi al Sud: la comunità è frammentata, mancano i grandi eventi e non c’è molto dibattito, si trova qualcosa solo a partire da Roma in su. Tuttavia lo sviluppatore ha voluto aggiungere che non prova sentimenti negativi verso il Sud, le sue avversità “temprano lo spirito”, dice, e la voglia di fare viene proprio dal fatto che il Sud non offre molto. E anche se mancano iter prestabiliti o istituzionalizzati, c’è il vantaggio di avere più libertà quando si vuole iniziare a fare qualcosa del genere.

Con quelli di Ossocubo arriviamo al mio progetto preferito: Blue Volta. È il gioco che più mi ha colpito, grazie anche alla sua aria positivamente intellettuale: è un gioco intelligente ma che fa anche grande intrattenimento.

Blue Volta

Ambientato nell’ultima biblioteca del mondo, vede come protagonista Zeno, uno dei bibliotecari, il quale scopre che uno dei libri non è stato restituito e per questo deve avventurarsi fuori dalla biblioteca per ritrovarlo.

Blue Volta

Il gioco è stato creato in Unity e colpisce per la sua storia originale, i toni comici tra Adventure Time e Wes Anderson e per la grafica ad opera di Francesco Pirini: illustratore formato a Brera, è riuscito a costruire nel gioco un’atmosfera decisamente libresca, emozionante, coinvolgente e originale. Oltre ai personaggi, ai quali mi sono immediatamente affezionato durante la mia prova, quello che mi ha convinto del fatto che fossi davanti a un gioco eccezionale sono stati i quadri che adornano i muri della biblioteca di Blue Volta: nella calma della biblioteca, ho guardato, insieme al protagonista Zeno, tutti i bellissimi quadri illustrati da Pirini. Il world building del gioco, per come è fatto, non fa capire se le cose rappresentate sono frutto di allegorie, metafore, fantasia, oppure se sono aderenti al livello di realtà che sta stabilendo Blue Volta. Questa ambiguità genera una carica di mistero irresistibile intorno ai quadri. Il fascino non finisce solo a livello narrativo, ma anche dal punto di vista delle meccaniche di gioco il fatto che come giocatore io abbia la possibilità di esplorare con lo sguardo il quadro, soffermarmi sui dettagli e poi scoprire che questi dettagli sono rilevanti ai fini del gioco, mi ha entusiasmato come pochi altri giochi hanno fatto in passato: sono riusciti a fare dell’iconologia una meccanica di gioco — credo che Panofski si sarebbe gasato quanto me.

Dalla mia tre-giorni al festival ho capito che nel mercato dei videogiochi non si può parlare solo di prodotti nazionali, non si può rischiare di chiudere le porte a possibili acquirenti del resto del globo, ma mi sono anche resto conto che c’erano tanti sviluppatori italiani, con storie differenti, ed eravamo tutti lì, retti da uno spirito familiare, a interrompere le nostre corse, i nostri viaggi, per condividere insieme un momento di gioco e di confronto, per incontrarci a questa bella festa che è lo Svilupparty.

Ringraziamo Pier Luca Lanzi e Ivan Venturi per le foto.

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