Philip ed Elizabeth Jennings

The Americans non poteva finire meglio

E ci mancherà molto

Tommaso Tecchi
La Caduta 2016–18
8 min readJun 1, 2018

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*Questo articolo è quasi esclusivamente composto da spoiler della sesta stagione di The Americans (e in parte del finale di Breaking Bad), a voi la scelta di continuare a leggere.

Mentre scrivo queste righe sto ancora cercando di svegliarmi dopo aver passato la notte a cercare un sito che trasmettesse illegalmente in diretta il canale statunitense FX. Il motivo? Ieri notte è andato in onda il finale di The Americans, serie TV (trasmessa in Italia da Fox) incentrata sulla vita di una coppia di spie sovietiche del KGB sotto copertura a Washington in piena Guerra Fredda. Dopo sei stagioni di operazioni segrete, bugie, brutali uccisioni e tanto tanto sesso, la serie firmata dall’ex agente della CIA trasformato in showrunner Joe Weisberg è arrivata alla sua conclusione definitiva, lasciando in sospeso fino all’ultimo episodio il destino di Elizabeth e Philip Jennings. Verranno scoperti e arrestati? Sopravviveranno? Riusciranno a tornare in Russia o resteranno in America? Cosa ne sarà dei loro figli? Queste domande sono rimaste irrisolte fino all’ultima ora e mezza di una stagione che è riuscita nel difficile compito di superare per intensità e tensione le cinque precedenti. Il punto è che a differenza di molte altre opere di questo genere The Americans ha puntato tutto sulla psicologia dei propri protagonisti, facendoceli conoscere lentamente ma con una profondità senza eguali. Certo, i momenti di azione e violenza non sono mancati; ma sono stati sempre presentati come una cosa necessaria e mai come una scelta facile o divertente. Gli aspetti su cui gli autori della serie hanno spinto maggiormente sono invece le relazioni tra i personaggi, i loro dubbi, il precario equilibrio tra le vere intenzioni e quelle di facciata e, più di ogni altra cosa, il matrimonio tra Elizabeth e Philip. Con un salto in avanti di tre anni, più precisamente all’inizio della fine della Guerra Fredda, le due spie non sono mai state così tanto in pericolo, ed è naturale che con l’avvicinarsi della conclusione, momenti come la fuga di Philip tra le strade di Washington per non farsi riconoscere o la crescita dei sospetti di Stan (vicino di casa e migliore amico dei Jennings, nonché agente dell’FBI) facciano salire un’ansia inaudita negli spettatori (me per primo).

Paige (sopra) ed Elizabeth (sotto) Jennings

Come finisce allora The Americans? Finisce probabilmente nella maniera più indolore possibile, nonostante non finisca bene per tutti i protagonisti. Nel penultimo episodio Padre Andrei, il prete ortodosso collaboratore del KGB che aveva sposato le due spie, annunciava in maniera piuttosto ingenua a Philip che l’FBI era sulle sue tracce costringendo l’interlocutore a mettersi subito a correre — perché ovviamente il parco in cui si trovavano era già pieno di federali in incognito. Dopo aver fatto perdere le sue tracce Philip aveva raggiunto una cabina telefonica per contattare Elizabeth e dirle una semplice frase: “Ciao, speravo di riuscire a tornare a casa per cena, ma le cose sono parecchio sottosopra (l’inglese “topsy-turvy” rende la scena ancora più surreale) in ufficio”. Si tratta di un messaggio in codice che significa a grandi linee “ci stanno per beccare, prepara i bagagli”. Così all’inizio di START, decimo e ultimo episodio, vediamo Philip ed Elizabeth decidere di andare a prendere Paige (la figlia maggiore, universitaria, che vive in un altro appartamento) e soprattutto di lasciare Henry (il figlio minore) in America. Paige sa di essere russa, ha già partecipato a diverse missioni insieme alla madre; Henry è ancora un ragazzino, vive in un’altra città dove frequenta una scuola privata e non ha la minima idea del segreto che gli nascondono i suoi genitori. Mentre i tre Jennings stanno per caricare i bagagli nella loro nuova macchina rubata, nel garage in cui si trovano arriva Stan, i cui sospetti hanno ormai raggiunto l’apice. Stan non ha dubbi, basterebbe controllare la targa della loro macchina per sapere che non corrisponde all’originale, così punta una pistola verso Philip, che dopo qualche misero tentativo di convincere l’amico che si sta sbagliando cede.

In questa bellissima sequenza di oltre 10 minuti Stan spiega a Philip quanto si senta tradito, “hai reso la mia vita una barzelletta”, lo accusa. Philip risponde che si trattava di lavoro, che ci ha messo del tempo a capire quanto ciò fosse sbagliato e che era arrivato il momento di dimettersi, ma soprattutto — molto sinceramente — confessa che quel vicino di casa agente dell’FBI è veramente il suo migliore amico, l’unico nella sua “vita di merda”. A far crollare ulteriormente Stan è l’informazione sulle attuali intenzioni del KGB, la stessa rivelatagli dal russo Oleg Burov: chi gestisce il Centro, i capi di Philip e Elizabeth, vuole liberarsi di Gorbačëv e loro due hanno fatto il possibile per impedire che ciò accadesse. In una maniera molto convincente Philip dice a Stan che li dovrà lasciar andare (non lo chiede, lo informa di un fatto compiuto, quasi a voler aiutare l’amico a fare a pace con il cervello in questo momento di confusione totale), mentre Paige chiede che sia proprio lui ad occuparsi del fratello dopo che la sua famiglia se ne sarà andata. I tre salgono in macchina e Stan, dopo un’ultima esitazione, si sposta per far passare l’auto dei Jennings senza dire una parola. Nella notte Henry riceve una telefonata inaspettata dai suoi genitori, che lo informano senza il minimo contesto e in modo piuttosto impacciato che gli vogliono bene e che sono fieri di lui; il ragazzo la prende come l’ennesima stranezza o l’effetto di qualche bicchiere di troppo e li saluta in modo sbrigativo. Paige non ci riesce e poco dopo capiamo il perché: su un treno diretto in Canada, i tre — divisi in diverse carrozze — riescono a superare il controllo dei documenti al confine, ma quando il treno riparte le due spie si rendono conto che la figlia non è più sul treno, ma sulla banchina della stazione. La rivedremo solo un’altra volta nell’appartamento in cui Elizabeth e Claudia la istruivano sulla storia del suo paese d’origine, da sola e intenta a bere vodka. I suoi genitori prendono un aereo e arrivano finalmente in Russia, dove ad accoglierli c’è Arkady Ivanovic, ex dirigente dell’ambasciata russa a Washington, lo stesso che aveva rimandato Oleg in America per sventare il complotto contro Gorbačëv. Nella scena finale Philip ed Elizabeth si godono la vista su una Mosca molto diversa da quella che ricordavano: “fa strano”, dice il primo, “ci faremo l’abitudine” risponde la donna, finalmente nella sua lingua madre.

Stan Beeman e Dennis Aderholt

Non è sicuramente il finale che ci aspettavamo, non c’è stato nessun arresto (eccetto per Oleg e Padre Andrei), nessuno scontro (tranne quello verbale) tra i Jennings e Stan e soprattutto nessun sacrificio — se non l’abbandono dei due figli americani della coppia russa; scelta che, per quanto sofferta, viene presentata come la naturale conclusione della loro missione. Si tratta di un finale che ci lascia spiazzati, con un vuoto dentro, ma tutto sommato, nei limiti del possibile è un lieto fine degno dell’attaccamento per i tre protagonisti che Joe Weisberg è riuscito ad infondere negli spettatori. La forza di The Americans sta tutta lì, nell’averci coinvolto in una storia logorante, a tratti ideologicamente utopistica a tratti cinica e ingiusta, che ci ha distratti con operazioni segrete e omicidi per farci affezionare ai silenzi e ai tempi morti nella vita di coppia dei due agenti del KGB. Non è facile basare una serie televisiva su un’epoca superata da vent’anni (nonostante gli ultimi fatti di cronaca sulle ex spie russe continuano a confermare un certo realismo di fondo), con un’alternanza tra fatti storici e fiction e con due “cattivi” come protagonisti; così Weisberg e FX hanno preferito creare una serie basata su un matrimonio difficile, non importa se le difficoltà non sono banali tradimenti o perdite di interesse, tutto ciò che sta intorno alla coppia è solo un bellissimo pretesto. Nelle varie discussioni su Reddit, nel momento di fare previsioni sul finale, in tanti hanno comprensibilmente tirato fuori l’epilogo di Breaking Bad: così come in The Americans, anche in quel caso l’antieroe protagonista (Walter White/Heisenberg) era molto vicino alla persona che avrebbe dovuto fermarlo (il cognato Hank, agente della DEA) e in entrambi i casi le carte sono state scoperte solo negli ultimi episodi. In Breaking Bad Hank ha fatto una brutta fine e poco dopo è stato seguito anche da Walter, in The Americans buoni e cattivi (sta a voi decidere da che parte stare) si dicono addio e basta, ma senza che venga meno la drammaticità necessaria in una situazione del genere. A motivare questa opposizione c’è una differenza di base: nella serie di Vince Gilligan sono le azioni dei protagonisti a darci informazioni su di loro (le atrocità peggiori commesse da Heisenberg non vengono quasi mai anticipate da una esplicita riflessione, accadono e basta) mentre in The Americans avviene il contrario, a motivare le azioni dei protagonisti è la loro storia personale e quotidiana. E quella di Stan non è così dissimile da quella di Philip ed Elizabeth.

Molte faccende sono rimaste in sospeso. Non è assolutamente chiaro cosa ne sarà di Paige e Henry Jennings (vediamo solo, senza ascoltare le parole, il momento in cui Stan lo raggiunge per informarlo della partenza dei suoi genitori), se Philip ed Elizabeth riusciranno mai a tornare e a riallacciare i rapporti con loro (prima dell’addio di Paige e dell’arrivo in Russia Philip ipotizzava di nascondersi a New York o nel west per un anno in modo da restare in contatto con il figlio) e se Renee, la compagna di Stan, è una spia o no (questo dubbio è stato il più grande MacGuffin della serie e rende ancora più drammatico il destino di Stan dopo che Philip l’ha informato che “c’è una possibilità che sia una di noi”). Ciò che è certo è che con la fine di The Americans si chiude un altro ciclo di quality TV di questo decennio e che sentiremo la mancanza della sbalorditiva recitazione di Keri Russell, Matthew Rhys e Noah Emmerich, così come delle perle musicali anni ’80 che l’hanno scandita in questi sei anni.

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