The End of the F***ing World: l’adolescenza come apocalisse

Tenue e beffarda, la serie inglese fotografa miraggi e disinganni di due vite ancora acerbe

Chia Pierini
La Caduta 2016–18

--

L’infanzia è spesso dolente esclusione, opacità tragica cui l’adolescenza cerca di porre rimedio. Minuti e alieni, i bambini sfuggono costantemente allo sguardo dei grandi: per questo tendono a perdersi. Ormai assimilabili alla forma matura, gli adolescenti conquistano una visibilità che è il sintomo di una mimesi, di un’omologabilità al mondo adulto da rigettare con ferocia: per questo tendono a fuggire. Fuggono, allora, i due diciassettenni di The End of the F***ing World, la serie inglese pubblicata su Netflix lo scorso 5 gennaio, creata da Jonathan Entwistle e tratta dal fumetto di Charles Forsman. Lui, James (Alex Lawther), è orfano di madre, odia suo padre, ama far fuori innocenti bestioline e vorrebbe cominciare con gli umani, ammazzando lei. Lei, Alyssa (Jessica Barden), è vessata da un patrigno meschino, di cui la madre è succube, e vagheggia il sogno di ricongiungersi al padre, che ha svisceratamente idealizzato sebbene l’abbia da tempo abbandonata. Fedele alla tradizione dei migliori road movies, da Detour a Bonnie and Clyde, da Vanishing Point a Thelma and Louise, quello che inizia come un reversibile viaggio escapista, imbocca deviazioni impreviste, diventando una corsa fuorilegge contro tutti; e un’esplorazione identitaria, e una storia d’amore.

Il primo incidente di percorso, un incidente (in auto) vero e proprio, innesca una serie inarrestabile di sventure. Varia e farsesca l’umanità in cui si imbattono i protagonisti. L’uomo che dà loro un passaggio, in superficie affabile e prodigo di comprensione, si rivelerà un molestatore. Il proprietario della villa in cui trovano rifugio, solo apparentemente disabitata, si scoprirà essere un efferato violentatore e assassino di giovani donne. Sarà proprio la sua morte per mano di James, che lo aggredisce per salvare Alyssa, ad attivare la caccia della polizia nei loro confronti. È un evento cruciale, in tutti i sensi. Lo è perché strappa lo spettatore da una dimensione tutto sommato rassicurante, fin qui, e lo getta in una sospensione tachicardica, non esente da inquietudine. Lo è perché James scoperchia un infossato dolore, e s’accorge che gli manca il più sostanziale presupposto per essere uno psicopatico: l’incapacità di sentire, l’impossibilità di amare. Lo è, infine, perché i due ragazzi sono costretti a scrutarsi davvero per la prima volta, quindi ad allontanarsi, solo per il tempo necessario a realizzare che le loro sorti sono ormai saldate l’una all’altra.

Parallelamente alle vicende dei protagonisti, seguiamo le indagini delle due poliziotte assegnate al caso. Legate da un fugace trascorso passionale, sono ben delineate per contrasto: l’una è algida, severa, distaccata, l’atra è sensibile, partecipe, flessibile. Personaggi secondari quasi emblematici nella loro opposizione caratteriale, enfasi di una realtà sempre doppia, ambigua. Così come ambiguo, composito, è il tono della serie. Ci si spassa molto, pungolati dalle freddure schiette di Alyssa, sorpresi dalle virate grottesche, talora macabre, delle situazioni. Ci si irrigidisce, contratti dalla tensione, nell’attesa dell’inatteso. Ci si commuove, toccati dall’incavata fragilità della giovinezza. C’è insomma una varietà densa di inflessioni, che trova agio nella ripartizione serrata della diegesi: otto episodi da venti minuti, ciascuno diviso in due parti. Il ritmo è agile, conciso, eppure cedevole a decelerazioni, quando serve. Non ci riferiamo soltanto ai flashback dell’infanzia dei protagonisti, arresti della linearità rimarcati dall’aspect ratio (4:3, anziché 16:9), ma anche alle divagazioni, per così dire, sentimentali. Momenti da contemplare, soppesare con calma assorta, sulla cadenza di commenti musicali quanto mai azzeccati (notevole anche la composizione sonora originale, affidata a Graham Coxon, chitarrista dei Blur). Si pensi alla scena in cui Lui e Lei ballano per scrollarsi di dosso ogni scoria di apprensione, a quella in cui si abbracciano sul letto di un motel. O alla parentesi narrativa in cui l’addetto alla sicurezza di un supermercato offre biscotti e caffè ad Alyssa, beccata a rubare un paio di mutande, per poi lasciarla andare, in una dimostrazione di silente, premurosa compassione.

Avevamo urgenza dell’ennesima serie a tema adolescenziale? No, ma forse sentivamo il bisogno di una serie che non confondesse il tema adolescenziale con quello del degradamento dei sentimenti, del buon senso, delle affezioni. Insabbiando ogni cliché, James e Alyssa non stanno sempre attaccati agli smartphones (lui non ce l’ha, lei lo ha distrutto), tentano anzi con coraggio di sciogliere in parole e gesti il senso della loro angoscia; malgrado gli impulsi ormonali, non ostentano una sessualità smodata, piuttosto incappano in goffe, imbarazzate, tenere ricerche del contatto.

Ciò che resta, staccandoci da questa prima intensa stagione, è la sensazione di aver riabitato i luoghi di un’età per tutti noi determinante, ingrata proprio perché indimenticabile, resistente e appiccicosa, nella memoria, come un pidocchio tenace. Ancora adesso, a ripensarci, sembrava proprio la fine del c***o di mondo.

--

--