The Eric André Show: il miglior talk show televisivo è una poetica dell'incubo

Paura e disgusto su Adult Swim. L’orrore diventa rivoluzione

Matteo Grilli
La Caduta 2016–18

--

Nel 1994, mentre in Italia un decimo della nazione era mesmerizzata da CB che mandava affanculo una tizia che gli rompeva le palle con l’ontologia, in America un ragazzo appena ventenne aveva il suo show televisivo tramesso sulla TV via cavo. Il suo nome è Tom Green. E questo era The Tom Green Show.

Sicuro molti di voi se lo ricorderanno come il pazzo mangia-topi di Road Trip, pochissimi in uno dei migliori e incompresi lungometraggi scemi del 2000, una roba vicinissima al body horror di Cronenberg e ai Dadaisti, un tempo introvabile sottotitolato in ita e adesso disponibile su Netflix totalmente a caso. Guardatelo e basta.

Cosa ci azzecca questo residuo tossico di un epoca in cui i Limp Bizkit vendevano milioni di dischi con il nostro Eric André. Praticamente: tutto. E, per citare i fantastici tizi de I 400 Calci, SIGLA.

La storia in breve: Eric André, figlio di padre haitiano e madre ebrea, vede una puntata del Tom Green Show nella quale il suo eroe distrugge lo studio. Lui ne resta estasiato e pensa “perché non lo fa ogni volta? sarebbe stupendo”. Questa idea resta lì. Passano gli anni, si diploma in belle arti poi arriva una laurea alla Berklee College Of Music. Strumento: contrabbasso.

Dopo alcuni lavoretti orrendi come attore per spot televisivi e alcune serate infruttuose come stand-up comedian, André incontra Hannibal Burees (su Netflix ci sono due suoi spettacoli, recuperate) e gli propone di girare il pilota di uno show televisivo. I due sono agli antipodi: André è tutto fisicità al limite dell’epilettico, incapace di condurre un monologo, Hannibal una statua di cera flemmatica ma un talento quando è di fronte al pubblico. Entrambi colgono il potenziale dell’idea e decidono di girare la prima puntata de The Eric André Show in un baretto abbandonato. Il risultato è un flusso di coscienza tra l’orrore adolescenziale/masochistico di Jackass e un episodio di Letterman sotto steroidi. Il materiale è ingestibile, e André installa una versione piratata di Final Cut e decide di montare da solo l’episodio. Viene inviato ovunque, tutti lo schifano tranne Adult Swim che gli propone di girare 10 episodi per una cifra ridicola.

Il pilot, ovvero l’inizio di una meravigliosa avventura

Dietro la possibilità offerta ad Eric ed Hannibal gravitano due colossi di quel genere che in America è conosciuto come “Nightmare Television” (da noi è passato di recente tramite Facebook grazie a prodotti come Too Many Cooks, Unedited Footage Of A Bear e This House Has People In It).

Parliamo di Tim Heidecker ed Eric Wareheim, creatori de Tim And Eric Awesome Show…Great Job, un programma televisivo che attinge dall’america degli infomercial e delle tv private creando uno stupendo connubio tra comicità surreale, disgusto e terrore puro (vi lascio due clip tanto per farvi un’idea e non andare troppo fuori: basti sapere che è un cult da vedere a tutti i costi). La loro casa di produzione è la Abso Lutely, e saranno loro a dare ad Eric André tutto il supporto necessario per la realizzazione della sua personale visione di un talk show da incubo.

Un frame rassicurante tratto dalla quinta stagione di Tim And Eric Awesome Show

Eric ed Hannibal non si limitano a distruggere il set e trasformare il quotidiano in un mattatoio dell’inconscio, ma rendono osceno anche il rassicurante stilema del talk show TORTURANDO i loro ospiti.

L’ho scritto in maiuscolo non solo per enfatizzarlo, ma per distinguerlo da tutti i precedenti tentativi di mettere solo a disagio un ospite con domande scomode. Eric non si limita a questo. Lui riempie il cuscino della poltrona con polpa di granchio andata a male, alza la temperatura dello studio a livelli criminali, vomita in un secchio, rutta, e se avanzano due minuti si mette a cacare sulla scrivania. A volte l’ospite è solo a disagio, altre volte si incazza e se ne va oppure riferisce ai suoi colleghi di evitare come la peste qualsiasi invito da parte di Eric André (fatto realmente accaduto dopo la sua intervista a Ryan Kwanten).

La bellissima idea di partenza è quella di portare l’ospite ad un punto di rottura, creando una reazione sincera ed umana totalmente contrapposta alle ruffiane vetrine che lo spettatore deve spesso sorbirsi quando un tizio famoso si siede su una comoda poltrona di un talk show. Ecco tre esempi:

Quando hai come ospite un pazzo come Tyler The Creator, devi impegnarti per spezzarlo
Se hai un tizio di Jersey Shore, vanno bene anche dei Doppelgangers
Basta poco con una stilista/attrice come Lauren Conrad. E quando arriva anche la denuncia, capisci di aver vinto

La struttura del Talk è massacrata in ogni sua parte: il musicista in chiusura viene demolito psicologicamente, oppure è un grande e decide di prendere parte alla follia. Il bello dello show è che non ha due episodi simili, ma risulta immediatamente riconoscibile grazie ad un controllo irreale della forma in tutta la sua deformità indigesta. Risultato? Per quanti ospiti alla fine se ne vadano incazzati o traumatizzati, gran parte dei suoi colleghi lo amano, sia persone come Stephen Colbert o Conan O’ Brian che Jimmy Kimmel, al punto da rischiare presentandosi come ospite in una puntata fantastica. Il pubblico lo segue come guarda un incidente stradale: disgustato e affascinato. La poetica dell’incubo, tra star fasulle introdotte per depistare lo spettatore e prostetiche facciali disgustose, funziona alla grande.

Le grandi star di una prima stagione a zero budget
Faccine rassicuranti

La musica è un elemento essenziale per delineare il profilo di Eric André. Non stupisce che sia un fan dei Mr.Bungle, oppure che nella sua playlist su Spotify figurino Death Grips (gruppo che Eric tenta di invitare al suo show dalla prima stagione), Venetian Snares oppure i supremi Agoraphobic Nosebleed. Sorprende come sia un vorace mutaforma, pronto a mettere alla prova i suoi gusti, prima che quelli dei suoi ospiti.

Segnatevi questi cose: il cd di Andy Kaufman, Vernon Chatman e Wonder Showzen

Lo show è squisitamente ben scritto: Eric ha un team di autori con i quali lavora in logoranti sessioni di brain storming. Paradossale venire a conoscenza che sia proprio lui ad avere una guida teorica per gestire l’incubo mentre Hannibal, spesso, segue il suo flusso di coscienza. Al punto che l’ospitata di un colosso del rap come Flavor Flav passa in secondo piano grazie ad un suo gesto che consegna 1 minuto e 50 secondi di intervista alla storia della televisione mondiale.

Verità o falsità? Chi cazzo se ne frega, tanto è leggenda

André non nasconde il fatto che il dispositivo del suo show è costantemente a rischio disinnesco a causa della sua crescente notorietà, al punto da temere come ogni stagione rischi di essere l’ultima. Ed è questo totale sprezzo del pericolo, questo assurgere l’incubo ad elemento panico e liberatorio a rendere il suo show la cosa migliore dai tempi di Wonder Showzen.

Altra grande influenza di Eric, si tratta di una versione depravata di Sesame Street creata da Vernon Chatman (ricordate? ne ho parlato sopra dai, è un eroe, ha fatto anche una miniserie horror/comica/mostruosa con Patton Onswalt intitolata The Heart She Holler) ed è forse il più disturbante capolavoro televisivo di sempre passato in sordina su MTV Italia secoli fa, ma ci scommetto la casa che un suo brandello aleggia nella fogna del vostro cervello, in attesa di essere risvegliato. Ne parlerò, previa denuncia da parte della redazione alla Polizia Postale.

Tutto questo è The Eric André Show, il programma televisivo migliore che abbiamo. Sogno ogni notte una cosa del genere trasmessa in Italia, qualcosa di terrificante e liberatorio che faccia deflagrare gli stilemi democristiani dei palinsesti nostrani generando un fiume inarrestabile di creatività che abbracci l’incubo come se fosse il suo migliore amico e lo sposi e partorisca mostri migliori di noi. Nell’attesa, mi consolo riguardando in loop episodi scelti del Maurizio Costanzo Show e immaginando un programma televisivo come lo show di André ma totalmente condotto da lui, il faro della mia creatività: Giorgio Bracardi.

Sigla di chiusura, sipario.

--

--