The Walking Dead — Lucille ci prende a mazzate l’anima

Il piacere, il dolore e la perversione della spettatorialità nel primo episodio della settima stagione della serie di AMC

Nicola Accattoli
La Caduta 2016–18

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Ha fatto molto male. A livello psicologico è stata una delle cose più violente della televisione degli ultimi anni. Altro che Game of Thrones, quello è splatter senza senso, uno spettacolo al pari della corrida o dell’arena dei gladiatori del tempo dei romani, se confrontato alla crudeltà perversa di The Walking Dead. Con la televisione abbiamo trovato il modo di non uccidere effettivamente persone, ma l’obiettivo è quello di ritrovare nella finzione lo stesso male psicologico che si proverebbe nella realtà. E Game of Thrones non ci riesce, checchè se ne dica. E’ un bellissimo show, senza dubbio, ma per quanto riguarda la tensione, la morte e le mazzate all’anima The Walking Dead è indubbiamente superiore.

Muore Abraham, e vabè, ci dispiace, ma niente di che. Poi, quando Negan impugna Lucille ancora una volta, dopo che Darly gli ha dato un bel pugno in faccia che Cristo solo sa quanti gliene avrei voluti dare io, nessuno si aspetta che stia per uccidere qualcun’altro. E invece pianta una martellata in testa a (giuro che non mi ricordo nemmeno più il nome e lo sto googlando) Glenn, che ne esce deformato, con un occhio per metà fuori dall’orbita, e una bocca che cerca di blaterare qualcosa, mentre la cinepresa lo fissa ossessivamente per farci sempre più male. Male o bene? Beh, dipende. Siamo abbastanza cattivelli noi spettatori, ma non si può dire che godiamo del dolore altrui, che siamo sadici. Tutt’altro: la morte ci ferisce, ci colpisce, ma ci piace star male e non possiamo fare a meno di volerla osservare, di infierire masochisticamente contro noi stessi, impauriti dalla nostra essenza mortale.

Rick distrutto in primo piano, poltiglia di Glenn e fotografo voyeur sullo sfondo

Mentre tutto il gruppo di Rick è ridotto a brandelli, qualcuno letteralmente, qualcun’altro per sua s-fortuna solo psicologicamente, in un frame si può osservare un tipo dell’esercito di Negan che scatta una foto, da bravo voyeur/feticista/spettatore, a Glenn, o a quella spremuta di carne che ne rimane. Nel 1960 usciva Peeping Tom, tradotto curiosamente in italiano come L’occhio che uccide, titolo che spiega tutta la metafora sulla quale è costruito il film. Il protagonista è un feticista, che per eccitarsi ha bisogno di ricreare una certa distanza tra lui e il corpo femminile, poichè, se da una parte ne è attratto, dall’altra lo teme. Non solo: anche la vicinanza e l’intimità emotiva disturbano Mark Lewis. Questo soggetto turbato tiene a distanza di sicurezza le sue donne(che sue non saranno mai) tramite una cinepresa portatile. Filma le vittime, le uccide, e poi si rivede il filmino in casa, di nascosto, come fosse un porno. Intrappolare le vittime nella pellicola è l’unico modo che Mark ha per possederle e controllarle, aggirando le proprie debolezze psicologiche. Questo processo malato emula,in scala, il processo di produzione cinematografico, con la sola differenza che il prodotto audiovisivo del cinema risulta in un’imitazione della realtà, una finzione che tenta di ricreare l’impressione del reale. Le prime immagini del film sono la soggettiva della cinepresa del maniaco: è come se gli spettatori stessi fossero gli assassini, i perversi, i depravati. E’ come se tutti noi fossimo un po’ il tizio che spunta fuori per fotografare il cervello spappolato di Glenn. Lo spettatore di The Walking Dead è un pervertito, uno che potrebbe tranquillamente far parte della banda di Negan, un complice dell’assassino, sembra gridare questo frame incriminato. Peeping Tom accusava ancora più esplicitamente lo spettatore tramite l’escamotage della soggettiva di cui parlavamo sopra, ma c’è un particolare in più: la cinepresa nel film aveva una sorta di mirino(vedi figura). L’occhio non solo guarda, ma potenzialmente uccide, o è partecipe dell’omicidio.

Soggettiva della cinepresa da Peeping Tom (L’occhio che uccide)

Hitchcock, sempre nel 1960, se ne usciva con Psycho, caposaldo della storia del cinema nel quale Norman Bates si rivela voyeur quando, da un buco nel muro, muro che esemplifica perfettamente l’idea feticistica di distanza, spia la povera Marion, che di lì a poco perirà per mano del maniaco. Si scoprirà inoltre che Norman conservava il cadavere della madre in cantina, vestito e addobbato come se la poveretta fosse ancora viva. Il desiderio di possesso e di controllo è in particolar modo tipico dell’uomo nei confronti della donna, che nel cinema ha sempre rivestito, fino a tempi recenti, il ruolo di oggetto dello sguardo, un feticcio senza personalità che gli spettatori potessero osservare e “possedere” mentalmente. Feticcio d’amore, se così si può chiamare. Ma anche di morte, come ci fa notare il voyeur di The Walking Dead. In Boxing Helena, questi due aspetti vanno mano nella mano. La povera Sherilyn Fenn infatti, viene oggettificata dal dottor Nick, diventando il suo personale soprammobile, attraverso una serie di procedure che rendono la vita di lei molto simile alla morte. Prima infatti, il chirurgo le amputa entrambe le gambe, impedendole di scappare; poi, dopo che lei avrà provato a strozzarlo, le taglia anche le braccia, cosìcchè di Helena rimane solo un mozzicone, conservato in una specie di altarino.

Sherilyn Fenn in Boxing Helena

Le mazzate di Lucille hanno anche avuto un effetto particolare sulla mente dei fan: li hanno uniti. Si vogliono abbracciare, vogliono condividere ed esorcizzare la tortura psicologica che questo episodio è stata per tutti loro. Bersi una birra insieme, piangere un po’ i morti, e poi bere ancora per deriderli, perchè, (e m’asciugo una goccia di sudore freddo anch’io), questa gente non esiste, sono solo personaggi di una serie-tv. A differenza di Game of Thrones, in cui la morte di molti ci ha insegnato che tutti possono morire da un momento all’altro (Tyrion escluso), addestrando così lo scaltro inconscio del telespettatore ad aspettarsi la morte e a non legarsi troppo ai personaggi, in The Walking Dead sembra proprio che Rick, Glenn, Maggie, Carl e Michonne siano destinati a vivere per sempre felici e contenti in questo mondo di zombie. E invece la testa di Glenn, che ci accompagna dalla prima stagione, si gonfia, prende una strana piega, inizia a zampillare sangue e a popolare i nostri incubi. Appena finito di guardare la puntata, stremato emotivamente e fisicamente abbattuto, ho sentito il bisogno di scrivere un post su Facebook, per condividere il mio stato d’animo con centinaia di persone contemporaneamente, sperando che qualcuno di loro avesse vissuto quell’orrore, come me. Ebbene: gente che non sentivo da una vita, ma veramente di quelli che manco i mi piace ci scambiavamo, commenta il post, e, addirittura, in questo mondo sempre più simile a una puntata di Black Mirror, mi scrive un messaggio. Il massimo dell’intimità consentito nell’era di Facebook e della socialità virtuale. Avevamo vissuto una situazione talmente tesa e terribile che dovevamo sentire del calore umano, per quanto sotto forma di codice binario, volevamo la prova che nella realtà la gente non è come Negan, che siamo tutti vivi e nessuno ci prenderà a mazzate.

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Nicola Accattoli
La Caduta 2016–18

Non scrivo solo di cinema, musica, serie tv e videogiochi