The Witch: un incubo ereditato dal passato

L’esordio alla regia di Eggers è sicuramente uno degli horror più suggestivi degli ultimi anni. Una storia che scava nel passato per portare sullo schermo paure ataviche legate alla superstizione

Michele Bellantuono
La Caduta 2016–18

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Ci voleva proprio l’arrivo nelle sale di questa “New England folk tale”, essenziale carta d’identità di una delle pellicole horror più discusse di questa stagione: The witch, opera prima del regista statunitense Robert Eggers. Una ventata di aria fresca all’interno di un genere, l’horror, che negli ultimi anni (almeno in linea generale) sembra crogiolarsi nella stantia tendenza a ricercare lo spavento più scontato, “facile” possibile, a basso costo e piuttosto banale dal punto di vista formale e visivo. Una tendenza che sicuramente retribuisce bene (come dimostra il successo dei vari Paranormal activity, indubbiamente tra i peggiori risultati di questo genere), ma che evidentemente non permette di riscontrare un buon successo presso i festival cinematografici, dove l’horror tradizionalmente stenta da sempre a farsi rispettare. Le cose sono cambiate in tempi recenti, con alcune preziose pellicole dalle sceneggiature accattivanti: Babadook e It follows hanno fatto parecchio parlare di sé. Al pari di questo The witch che, come da (sotto)titolo, si rifà ad una tradizione del genere un po’ diversa e decisamente trascurata, il folk horror, il cui più celebre esempio è costituito da The wicker man di Robin Hardy.

(ATTENZIONE: la recensione che segue contiene SPOILER riguardanti la trama del film)

La novità proposta da Eggers, vincitrice nella sua categoria al Sundance festival, non può che sorprendere e affascinare. Si tratta appunto di un horror, nonostante il regista abbia confessato la sua poca considerazione nei confronti di questo genere. Eggers ammette l’amore per Shining e per il Nosferatu espressionista, ma in tema di film dedicati al terrore scomoda un nome che non ci saremmo aspettati, uno dei suoi registi più amati: Bergman. Dichiara invece di non amare l’horror contemporaneo. Una serie di caratteristiche che ci portano a comprendere il netto distacco stilistico dall’odierno canone del suo film, un’opera che, scena dopo scena, sembra volerci raccontare e trasmettere una paura evidentemente a noi ormai estranea, forse poco efficace, ma assolutamente concreta dentro altri cuori e in un’altra epoca storica.

Robert Eggers, regista e sceneggiatore di The witch

Indaghiamo un po’ alla radice di questo progetto. Eggers è originario del New Hampshire, stato americano confinante col Canada. Questa coordinata anagrafica è importante ai fini della comprensione di The witch, spiega con enfasi lo stesso Eggers, sottolineando la natura personale del suo film; il New Hampshire (parte di quel New England colonizzato dai Puritani inglesi, arrivati in America nel ‘600) è una terra il cui paesaggio è ancora in grado di raccontare il proprio passato, secondo Eggers. Il regista spiega come questo passato faccia parte della coscienza collettiva degli abitanti del New England: quelle terre sono infatti caratterizzate dalla presenza di case coloniali in rovina, edifici abbandonati e remoti cimiteri rurali. Elementi che hanno stimolato la fantasia di Eggers fin da bambino, quando la paura dei “mostri delle foreste” faceva da padrona.

Torniamo al film. Infatti è proprio da queste paure d’infanzia che nasce l’idea per The witch, descritto dal suo autore come «a nightmare from the past, a puritan family’s nightmare». Un incubo sottratto al passato, sia quello legato allo stesso Eggers (che da bambino aveva terrore delle streghe, suggestionato anche dalle storie legate ai processi di Salem) che quello dei Puritani, accecati a tal punto dal loro credo religioso da cader vittime di forme di paranoia, causate da una superstizione particolarmente radicata nella loro cultura.

Anya Taylor-Joy nel ruolo di Thomasin, primogenita della famiglia puritana protagonista del film

La trama è essenziale e ricorda più la struttura di un dramma storico che non quella di un horror tradizionale. La vicenda ruota attorno ad un nucleo famigliare, costituito dai genitori, William e Katherine, e i quattro figli minorenni, Thomasin (interpretata dalla talentuosa Anya Taylor-Joy, nel suo ruolo di debutto) ovvero la primogenita, il maschio maggiore Caleb e i due gemelli, Mercy e Jonas, ai quali si aggiunge il neonato Samuel. Dopo essere stata cacciata dalla comunità di coloni inglesi, per un non meglio chiarito peccato d’orgoglio commesso dal padre, la famiglia è costretta a ritirarsi in una remota fattoria, nei pressi di una vasta foresta. Il film racconta il tentativo della famiglia di affrontare le difficoltà quotidiane, conseguenza dell’esilio e della scarsa fertilità della terra, aggravate da inquietanti avvenimenti che si accaniscono su di loro come una maledizione. Il piccolo Samuel, sorvegliato da Thomasin, scompare misteriosamente sotto gli occhi della ragazza. Avvenuto il fatto, allo spettatore è concesso il privilegio di venire a conoscenza della presenza di una misteriosa donna dall’aspetto grottesco, abitante della foresta.

Quando il figlio Caleb va in cerca del bambino, si perde nel bosco e incontra una donna di aspetto completamente diverso, dalle belle forme e dall’atteggiamento lascivo: una perfetta incarnazione del peccato. Dopo l’incontro con la donna, Caleb viene trovato nudo e stordito nella fattoria: William e Katherine iniziano a sospettare l’intervento di forze malefiche provenienti dalla natura circostante. L’ambiente diventa loro ostile, il raccolto marcisce e gli animali agiscono in modo inquieto, specialmente Black Phillip, la capra dal manto nero posseduta dalla famiglia, uno di tanti simboli satanici contenuti nel film. Thomasin, dopo una serie di sparizioni e morti violente, resta l’unica sopravvissuta, e infine, interpellata dal Male stesso, accetta volontariamente di vendere la propria anima e unirsi al mondo delle streghe.

I due ambienti nei quali si svolge la vicenda: la fattoria e la foresta circostante

Eggers costruisce una sceneggiatura con pochi elementi, ma li mette assieme col sostegno di una bravura tecnica che non lascia indifferenti (ricordiamo che si tratta del suo primo lungometraggio) e con una scenografia altamente suggestiva, capace di immergere questa storia in un’atmosfera di diabolico mistero, che finisce per vincolare i personaggi in una condizione di delirio e paranoia. A livello della fotografia, la scarsa saturazione cromatica, l’utilizzo di fievoli luci naturali, la preferenza per campi lunghi (nei quali la minacciosa natura circostante sembra significativamente dominare le figure umane) e inquadrature statiche contribuiscono a fornire al film una caratteristica atmosfera di stasi e atemporalità, quasi come in una parabola, ed una qualità visiva che potremmo definire pittorica, assolutamente suggestiva (il Goya delle Pinturas negras è stato citato da Eggers come modello): sono pochi i film dell’orrore, recenti e del passato, ad avere lo stesso gelido fascino satanico di The witch.

Se l’intenzione di Eggers era quella di dare forma a quello che poteva essere l’incubo di un gruppo di uomini timorati di Dio alle prese con un caso di possessione demoniaca, il risultato si può considerare veramente ottimo: la fiaba nera che sta alla base di The witch è visivamente accattivante ma anche piuttosto realistica, se la consideriamo in questo contesto storico, nel quale l’operato di Satana era tanto credibile quanto quello di Dio. Va notato che, per rendere il più realistico possibile il suo film, Eggers ha consultato vari testi scritti nell’inglese dell’epoca, inclusi molti libri contenenti preghiere e frasi comuni utilizzate dai protestanti nel ‘600, frasi che sono poi finite senza ritocchi in sceneggiatura. Motivo per il quale consigliamo vivamente la visione del film in lingua originale: aggiunge veramente molto all’esperienza cinematografica e aiuta lo spettatore ad immergersi nella cupa favola cesellata nel dettaglio dal regista.

Da quanto è stato detto, si capisce che The witch è un’opera che trova i suoi punti di forza nel fascino dell’immagine e nei cupi risvolti di una trama comunque piuttosto prevedibile; Eggers ha chiarito in molte interviste come non gli interessasse costruire un film dalla struttura complessa, o che incutesse particolare paura (per questo motivo chi si aspetta un’alta dose di “jump scares” resterà deluso). L’obiettivo del regista era ricreare un’atmosfera che comprendesse cieca superstizione, ottusa religiosità e conflitti familiari, unendo questi elementi per formare un dramma nel quale infine irrompe il cruciale elemento soprannaturale, la presenza del Male, costantemente rievocato da una attenta simbologia (ad esempio la capra, che nell’iconologia medioevale è animale legato alla stregoneria e al diavolo).

Il caprone Black Phillip è uno di diversi simboli satanici presenti nel film

Ma nonostante la trama sia elementare, sono emerse alcune profonde interpretazioni del film. Tra le più interessanti e coerenti vi è la chiave di lettura “femminista”. Una interpretazione portata avanti ad esempio dai membri del Satanic Temple di New York; questa organizzazione di natura non-teistica (che niente ha a che vedere con la Chiesa di Satana) attraverso attivismo politico e satira porta avanti battaglie sul piano sociale e religioso, predicando la libertà di gestione del proprio corpo. Questo comandamento ha portato il gruppo ad appoggiare manifestazioni femministe, invitando le donne a proteggere i propri diritti contro forme di bigottismo, specialmente in merito a questioni come l’aborto. The witch è stato molto elogiato poiché, in questa ottica, costituisce un ottimo esempio di riscatto della donna nei confronti della società. Secondo Jax Blackmore, portavoce del Satanic Temple, il film «indaga su piccola scala la società patriarcale teocratica, documentando quella patologia che è l’isteria religiosa, ancora presente nella politica odierna». Consiglia quindi la visione del film, poiché contiene una «dichiarazione di indipendenza femminile» e quindi «ispira una tradizione di trasgressione spirituale».

In chiave femminista, la strega è letta come figura di donna forte, che ha il potere di far valere la propria volontà

Una lettura decisamente suggestiva e oltretutto nemmeno troppo lontana da una concezione presa in considerazione dallo stesso regista. Come Eggers spiega in questa intervista, dopo essere stato interpellato riguardo il suo concetto di feminine darkness in rapporto al film, la strega può essere vista, nel contesto puritano e rigidamente patriarcale dell’epoca, come una sorta di incarnazione del potere represso della donna, incanalato nella pratica della magia nera. La vicenda della perdizione ultima di Thomasin, ammette, può essere letta come una storia di riscatto femminile. La strega è prima di tutto donna ed è stata concepita come figura malefica proprio perché nasce all’interno di una società, già di per sé vittima di forme di fanatismo religioso, nella quale i diritti sono principalmente prerogativa degli uomini. La scelta di Thomasin, in questo senso, può essere interpretata come un atto di ribellione, le cui avvisaglie si fanno sentire lungo l’intera durata del film nel quale la ragazza è incompresa e subisce soprusi. La conclusione assume allora una connotazione positiva e rappresenta la finale liberazione della ragazza/strega dalla società (che include la famiglia) che ha fatto di lei un oggetto, privandola della volontà.

The witch compie un tuffo negli incubi di una società del passato, ma sembra contenere un messaggio che appartiene alla modernità. Salem è simbolo dell’ignoranza di chi è accecato dal proprio credo al punto di cadere nel fanatismo. Ma Eggers non condanna alle fiamme la sua giovane strega: la ragazza, invigorita di nuova linfa vitale, sceglie la strada del piacere e s’innalza nel cielo notturno, maledetta ma non sconfitta.

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