Aleppo (by Craig Jenkins [CC BY 2.0 (http://creativecommons.org/licenses/by/2.0)], via Wikimedia Commons)

Viaggio ad Aleppo “la bianca”

Un reportage virtuale in una città che non c’è più

Chiara Grilli
La Caduta 2016–18
8 min readDec 22, 2016

--

Aleppo si trova nel nord della Siria, conta più di un milione e mezzo di abitanti, ed è, secondo alcune statistiche, ancor più popolosa della splendida capitale, Damasco. Aleppo è una città della quale non si sente molto parlare, poco si sa della sua storia, pressoché nulla conosciamo di quelli che da spocchiosissimi turisti post-moderni chiamiamo “luoghi d’interesse”(pur essendo parte del Patrimonio UNESCO dal 1986). Immaginiamo, generalizziamo, ma conosciamo davvero poco. Nella nostra — nella mia — ignoranza, la città è scomparsa. Aleppo scompare sotto i bombardamenti e compare improvvisamente nella quotidianità occidentale. La polvere, il fumo, le grida si accumulano dentro le nostre case, e tutti (chi più, chi meno) sanno di Aleppo. Aleppo fatta di informazioni, di notizie, di dati e supposizioni, di foto di repertorio, di complotti. Aleppo è virtuale e virtuale rimarrà per la maggior parte di noi, chissà fino a quando. Questo, dunque, è un viaggio fittizio, chiamiamolo pure un reportage virtuale, un tentativo postumo di sopperire a quella mancanza, all’ignoranza di cui mi sento colpevole.

Perché la questione è che Aleppo non è un punto su una cartina, non è un’accozzaglia di “luoghi di interesse”, ma, come tutte le città, è un luogo di abitudini e quotidianità. Come Senigallia d’estate intasata dalle bici, come la birretta al bar di Corinaldo o Passatempo, il traffico di metà agosto per arrivare a Portonovo, il pranzo di Natale da nonna, il “ci vediamo ai cancelli” di Macerata, gli off-licence di Londra e la birra a pochi cents, il caos della tube alle 18, il romano che ti manda a quel paese sulla Flaminia, i carrettini che vendono fragole a Berlino, il jogging con la pioggia di Oxford, le vasche per il corso di Ancona.

Le abitudini aleppine non possono certo essere comprese a distanza, certo non ora che sono seppelite sotto le rovine di ciò che erano. E perciò mi trovo ancora una volta incatenata ai modelli del turismo occidentale, mi divincolo, cerco, tasto, ma invano. Eccomi di nuovo a parlare di arte, storia e “luoghi di interesse”. Tuttavia, un reportage — o una guida, come vi pare più giusto chiamarlo — potrebbe introdurci in questa realtà lontana e, penso, potrebbe cominciare pressappoco così.

Vista della parte antica di Aleppo (by Preacher lad (Own work) [CC BY-SA 3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)]

Giungiamo ad Aleppo in aereo, partendo da Roma-Fiumicino con la Syrian Air. La città è provvista di aeroporto e persino di autobus navetta che ci portano direttamente in centro. Aleppo è una delle città più antiche del mondo, si suppone che i primissimi insediamenti risalgano addirittura al Sesto Millennio a.C. Di Aleppo si scrive in caratteri cuneiformi, in documenti di più di 3000 anni fa che ci raccontano della sua importanza commerciale. Aleppo: mediatrice tra il Mediterraneo e la Mesopotamia prima, conclusione della ricca Via della Seta poi. La città cresce sulla sedimentazione antichissima del tempo, sull’accumularsi di macerie di civiltà morte e di tracce lasciate da popoli di passaggio. Gli Ittiti, Alessandro Magno, poi Pompeo e l’Impero Romano, poi Bisanzio, gli Arabi, poi popoli dai nomi sconosciuti e i Turchi, gli Ottomani, i colonizzatori francesi. Aleppo si accresce sulle sue stesse ceneri, ha subito attacchi, assedi, saccheggi e terremoti devastanti che ne hanno modificato la struttura e gli stili, concedendole però quell’ampio respiro artistico e storico che la contraddistingue.

La cittadella di Aleppo vista dalla piazza antistante (by Ankara (Own work) [CC BY-SA 3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)].

Il nome misterioso di Aleppo, Halab in arabo, deriva forse dal colore dei marmi della sua cittadella: Aleppo “la bianca”. La cittadella svetta e domina su tutto l’altopiano circostante, dalla cima della collina artificiale sulla quale fu edificata migliaia di anni fa. È stata inespugnabile e inespugnata per secoli, fino al passaggio dei mongoli prima e poi di Tamerlano “lo zoppo”, terribile condottiero turco-mongolo (a dispetto del nome). La cittadella fu fortificata più volte, fu stretta da un fossato, e ancora oggi protegge alcuni degli esempi più antichi dello stile architettonico arabo-islamico medioevale. Alta, massiccia, rocciosa e marmorea, la cittadella impone sullo scorrere del tempo la propria millenaria potenza.

L’anfiteatro della cittadella (by Bernard Gagnon (Own work) [GFDL (http://www.gnu.org/copyleft/fdl.html)]

Poco sotto, seguendo via Al Jamaa Al Umawi, ci imbattiamo nella splendida moschea degli Omayyadi, nella quale, secondo la leggenda, è conservata la testa di Zaccaria, padre di San Giovanni Battista e profeta della religione islamica.

Il cortile interno della Moschea degli Omayyadi (by yeowatzup (http://www.flickr.com/photos/yeowatzup/5077279481/) [CC BY 2.0 (http://creativecommons.org/licenses/by/2.0)], via Wikimedia Commons)]

Dalla cima del minareto del 1090 d.C., quarantacinque metri di antichità, si espande cinque volte al giorno la voce del muezzin e, cinque volte al giorno, la parola di Allah conquista il cielo e la terra, il cuore e l’orecchio di ogni fedele. All’interno della moschea si apre un cortile rettangolare, circondato da un porticato luminoso e pavimentato da pietre bianche e nere che geometrizzano, si intrecciano, giocano un rincorrersi modulare di ritmi cadenzati. Chiaro, scuro, scuro, chiaro e lo spazio si apre all’occhio.

A sud della moschea e ancora entro lo sguardo autoritario della cittadella bianca, ci ritroviamo di fronte alle più antiche terme di Aleppo, Hammam Al-Nahhaseen (“il bagno degli artigiani del rame”). Al suo interno tutto fluttua tra i vapori bollenti delle stanze calde e il tepore del chiacchiericcio rilassato e amichevole dei frequentatori, che diffondono il cantilenare arabo nell’aria e ravvivano le tipiche decorazioni in legno dell’hammam.

Bawabet al-Yasmeen, un piccolo vicolo del quartiere cristiano di Jdeydeh (by No machine-readable author provided. Heretiq assumed (based on copyright claims). [CC BY-SA 2.5 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.5)], via Wikimedia Commons)

E ora? Ora infiliamoci nelle stradine interne della città, strette e vive, percorriamo gli antichi quartieri cristiani, dove si raccolgono quasi tutte le sue chiese; a occidente si innalza perfetto palazzo Ghazaleh, ricco di intarsi lignei ottomani e dei loro marmi bianchi; ecco poi le Madrase, le scuole coraniche, e gli ospedali, e i manicomi, splendide strutture concepite secondo i precetti attualissimi dell’antica medicina araba.

Attraversando la grande strada di Bab Antakya, si entra nel labirinto dei mercati coperti più estesi del mondo (in arabo souq): 13 chilometri di passaggi in pietra, bancarelle, odori e grida. Tra i banchetti maleodoranti di bestie, i sensi si risvegliano con gli odori pungenti delle spezie, il piccante, l’acidulo, il delicato, i colori accesi dei tessuti di Damasco, i tappeti lussuosi e i prodotti artigianali, i gioielli, il rame, il legno, i vasi e i metalli, piatti, saponi e cibi. L’economia aleppina è di tipo principalmente artigianale e agricolo, come ci raccontano gli antichi souq e le campagne circostanti, coltivate a ulivi e pistacchi per chilometri, fino a scomparire nel deserto siriano. Sentite il baccano del mercato? Chi grida prezzi, chi lancia offerte, i bambini corrono tra i turisti, chiamano, ridono, chiedono. Abbandoniamo per un attimo la storia. Vorrei perdermi nella quotidianità aleppina, invece, come ci si perde in questo odoroso caos di vite che è il souq, cercando di confondermi il più possibile tra i colori locali, per rendermi conto che, alla fine, com’era ovvio, non è affatto possibile. I venditori colgono il disorientamento nei miei occhi di turista e allora mi prendono per le maniche, mi mostrano il tessuto rosso, quello giallo, il porpora, prendi, tocca! Ottimo, setoso, e il formaggio pungente, assaggia! Arraffa! E le spezie, i nomi arabi sconosciuti, il francese e l’inglese mescolati ai datteri, compra, spingi, assaggia!

Dentro il Souq di Aleppo (Zeledi at the English language Wikipedia [GFDL (http://www.gnu.org/copyleft/fdl.html)]

E allora basta con tutta questa storia, con tutta quest’arte! È ora di riposarsi. E vedere tutto questo ben di Dio, di sicuro, mette una certa fame. Aleppo “la bianca” e anche l’Aleppo del cibo. Così come gli edifici, la cittadella e la sua stessa storia, la cucina aleppina è un miscuglio di sapori antichi e moderni, storicamente e geograficamente distanti.

Spezie e cereali ai mercati di Aleppo

L’arabo dialoga col turco e il libanese con l’armeno, mentre il nostro Mediterraneo canta in sottofondo. Una particolarità della giornata aleppina è il mezze, un pasto che si consuma a metà giornata e che accosta decine e decine di mini-porzioni di piatti diversi, assaggi variegati di una cultura saporita. Ma cosa scegliere? Ritrovo sui menù molte pietanze assaggiate nei ristornati etnici delle grandi capitali europee: il morbido hummus di ceci, la cremosa baba ganoush di melanzane, il prezzemolo invadente del tabbouleh, l’insalata fattoush, i falafel e la pita ormai globalizzati… Se passerete nei vari fawwal disseminati per la città, però, potrete assaporare le vere tipicità aleppine, spesso condite con prezzemolo, aglio e il rosso brillante del peperoncino di Aleppo.

Un esempio di mezze, in questo caso libanese

Tra la carne, raramente cucinata dalle famiglie più povere, si preferisce l’agnello, tra la frutta — i datteri, i fichi e i cocomeri, senza dimenticare le particolari ciliegie asprissime che gli aleppini accostano al kebab, polpette speziate servite col tipico, sottilissimo pane siriano. E per finire, il sapore amaro del caffè arabo al profumo di cardamomo o layran, bevanda allo yogurt di origine turca, salata ma rinfrescante, perfetta dopo la lunga camminata in città. Cercate qualcosa di più intenso? Il consumo di alcool è vietato dalla religione, ma vicino alla torre dell’orologio si trovano alcuni piccoli rivenditori dove poter comprare birre e liquori per pochi centesimi di euro. La birra locale è la Al-Sharq (3,7%), ma se protendete per qualcosa di forte, le guide consigliano il tipicissimo Arak, un distillato all’anice dal colore latteo.

Dunque siamo qui, ad Aleppo “la bianca”, sorseggiando tè, ascoltando la Tarab, la musica classica araba, che con i flauti, la liuta mediorientale e le piccole percussioni coinvolge tanto i turisti, quanto gli aleppini. Sogno quest’atmosfera virtuale da Mille e una Notte, sperando di imbattermi, in qualche cortile, nella danza ascetica e ipnotizante dei Dervisci, e di scoprirmi, persa nel bianco delle loro gonne, non più colpevole.

Ma Aleppo è scomparsa e la cittadella è conquistata. Il minareto antico è stato distrutto tre anni fa, le geometrie della Moschea frantumate. Il mercato è un’ecatombe di silenzio, una cripta controllata dai cecchini nascosti tra le rovine. Le strade sono ingombrate da polvere e detriti di vite, o, forse, non esistono più. Aleppo la bianca, costruita sulle macerie, torna di nuovo alle macerie e vive ora una morte sospesa nei pixel delle foto, nei bit delle informazioni, nelle memorie dei sopravvissuti e in un senso di colpa che spero non si confermi sterile.

I Dervisci Rotanti di Aleppo

--

--