Videogame e violenza: una questione di discriminazione

Di come l’industria videoludica continui a essere vittima di polemiche strumentali e gogne mediatiche.

Riccardo Liberati
La Caduta 2016–18
9 min readMar 14, 2018

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Capro espiatorio: l’essere animato (animale o uomo), o anche inanimato, capace di accogliere sopra di sé i mali e le colpe della comunità, la quale per questo processo di trasferimento ne viene liberata (Enciclopedia Treccani)

Quello del capro espiatorio è un concetto antico quanto l’umanità stessa, poiché è propria dell’umana stirpe la capacità di non riconoscere gli errori causati dalla negligenza o semplicemente dal volere del caso. Spesso, di fronte alle terrificanti immagini di una realtà indecifrabile, non possiamo far altro che rimanere ammutoliti, e altre volte, invece, tendiamo a chiamare in causa un capro espiatorio. E da quasi due decenni a questa parte, il capro espiatorio per eccellenza per violenza giovanile, degrado sociale e shooting made in USA è sempre quello: il medium videoludico.

In The Not So Distant Past

Gli anni ‘90 delinearono la Golden Age del medium videoludico: software house, console, generi, interi concetti nacquero nell’ultima decade del secondo millennio, gettando le basi per quella che diventerà una delle industrie più redditizie di sempre. Amate da parecchi Millenials e da alcuni buongustai della Gen X, l’avvento delle home consoles segnò anche l’apertura di nuove ostilità da parte dei mass media nei confronti della decima arte.

In particolare, l’attenzione del mondo ricadde sul suolo americano il 20 aprile 1999, quando nella Columbine High School nei pressi di Denver due giovani liceali, tali Eric Harris e Dylan Klebold, armati di esplosivi, pistole, fucili a pompa e fucili automatici, misero a ferro e fuoco la loro scuola uccidendo 13 persone, ferendone 24 e infine suicidandosi prima dell’irruzione degli SWAT all’interno della biblioteca scolastica.

Frame dal film Elephant di Gus Van Sant, che narra con degli intissimi e cruenti piani sequenza la strage della Columbine dal punto di vista di alcuni studenti

Nonostante gli atroci eventi del passato americano, la strage della Columbine fu un evento che scosse come mai prima di allora l’America antecedente al 9/11. Ciò è dovuto al fatto che a commettere questo gesto non furono dei terroristi, degli agenti segreti stranieri o degli psicopatici, ma dei semplici ragazzi incensurati. Nell’aftermath del massacro, la polizia setacciò le camere dei due carnefici rinvenendo, oltre a dei dettagliatissimi diari utili per inquadrare le motivazioni e l’equilibrio psicologico dei due ragazzi, anche una copia di uno dei videogiochi più scaricati dell’epoca: DOOM.

L’enorme importanza storica del titolo è risaputa a chiunque bazzichi da più di qualche anno negli ambienti videoludici: un titolo che ha gettato le basi per i primi movimenti e controlli in uno spazio tridimensionale, che ha amplificato e sottolineato l’importanza del level design anche in un gioco d’azione e, soprattutto, che ha influenzato l’intero genere dei first person shooter — tanto che gli anni successivi alla sua uscita hanno visto il proliferare di veri e propri cloni del titolo di id Software.

Una schermata innocente e inconfondibile

Inoltre DOOM ebbe il (de)merito di aver contributo alla nascita dell’ESRB (Entertainment Software Rating Board) alla fine del 1993, ovvero il primo sistema di classificazione in varie fasce d’età dei software videoludici in base al loro contenuto. Grazie anche alle nuove potenzialità grafiche, molti sviluppatori riuscirono a dar vita a scenari sempre più dettagliati e realistici. Questo traguardo tecnologico, in particolare in videogiochi come DOOM o Mortal Kombat, significò l’esplosione di una violenza mai vista prima, che eccitò non poco i videogiocatori dell’epoca ma scioccò allo stesso modo chi, di videogiochi, non era molto avvezzo. Ben presto, come in una Roma Antica che si affacciava per la prima volta all’Ellenismo, alcuni iniziarono a temere le nuove tecnologie accusandole di corrompere le menti dei giocatori più giovani con la loro violenza e immoralità. Inutile dire che, dopo gli eventi della Columbine, questa mentalità bigotta (prima di allora dedicata a contrastare solo nuovi generi musicali e i cartoni animati) produsse una vera e propria caccia alle streghe mista ad isteria di massa che tutt’ora affligge il mercato videoludico.

La Crociata del Terzo Millennio

Tempesta D’Ossa”, la parodia simpsoniana di Mortal Kombat, fa la sua comparsa nel celeberrimo episodio 11 della Settima Stagione. Nonostante l’intento non fosse quello, l’episodio mise in cattiva luce l’intero media videoludico.

Dal 1997 in poi non c’è più stato un caso di violenza giovanile in cui i mass media non si siano scagliati sui videogiochi più violenti ed estremi, additandoli come motivo scatenante di tali eventi. Quest’accanimento mediatico mise sotto i riflettori alcune delle possibili colpe legate ai videogiochi, tra cui la presunta desensibilizzazione del grande pubblico nei confronti della violenza e l’aggiramento dell’ESRB da parte di numerosi retailer per poter vendere giochi +18 anche ai minori (forse l’unica verità in quella panoplia di accuse).

Anche molte personalità di spicco della società americana iniziarono ad assumere il ruolo di portavoce di questa battaglia contro la corruzione dei costumi. Come l’ostinato avvocato Jack Thompson, che per primo portò in tribunale l’industria videoludica nel 1999, accusando Sony, Sega e Nintendo di aver corrotto la mente di un quattordicenne spingendolo ad aprire il fuoco su di un liceo uccidendo tre studenti. La corte liquidò la questione con rapidità, annunciando che tali accuse non avevano senso di esistere poiché non potevano essere attribuite all’aspetto comunicativo del medium videoludico. Questa sconfitta non demoralizzò Thompson, il quale continuò a battersi ardentemente in tribunale e nei telegiornali per difendere la moralità e l’innocenza della società contro “il male dell’industria videoludica, che si annida in America come qualunque altro male”.

Un vero eroe della società e della moralità, anche se spesso usava il ricatto sessuale o il terrore psicologico per convincere i suoi clienti a non licenziarlo

Purtroppo le cose non andarono a buon fine per il vecchio Thompson: nessun giudice volle dar ragione ai suoi sproloqui e ai suoi vani collegamenti tra violenza criminale e violenza videoludica. Infine, a causa dei suoi strafalcioni e della sua sgangherata condotta morale, fu ritenuto colpevole di numerosi reati (legati per lo più alle sue modalità d’esercizio della professione) e nel 2008 venne radiato dall’albo, concludendo di fatto anche la sua crociata contro il medium videoludico.

Ma Jack Thompson è stato solo un militante in mezzo a una battaglia ben più vasta di quel che si possa pensare: le accuse secondo cui la violenza dei giorni nostri sia collegata ai videogiochi sono sempre attuali, specialmente tra la maggioranza dei cittadini americani. A niente sembrano esser serviti i numerosi studi scientifici che hanno dimostrato l’esatto contrario o la decisione della Corte Suprema di far rientrare la decima arte sotto la protezione del Primo Emendamento Americano. In fondo, se ci si riflette un attimo, è sempre stato difficile aprire la mente di una società nei confronti delle novità, e i videogiochi stanno affrontando le stesse difficoltà che la musica rock, la beat generation o qualunque altra forma d’arte ed espressione innovativa hanno dovuto sopportare per essere accettati dalla società della loro epoca. O almeno così è sembrato fino a poco tempo fa.

Benzina sul fuoco

Il 14 febbraio 2018 arriva la notizia di una nuova school shooting. E questa volta le controversie e la violenza dell’evento ci stupiscono ancora di più. Anche qui il perpetratore della sparatoria è un giovane ragazzo con problemi mentali e il pallino per i videogiochi violenti. Uno scenario che, per quanto macabro e orribile, agli occhi mediatici risulta come già visto… se non fosse per il fatto che un’altra voce, oltre alle solite, si è alzata dal coro non solo per dichiarare l’esistenza di un enorme problema che riguarda la gioventù d’oggi e la società in generale, ma anche per indicarne la causa: il presidente americano Donald Trump ha apertamente accusato i videogiochi di esser l’origine di questa violenza giovanile.

Ai più questa posizione, introdotta in passato da Trump e ribadita con meno vigore in questi giorni, potrebbe sembrare solo uno dei tanti vaneggiamenti del presidente, una delle “provocazioni alla Trump” che tanto hanno caratterizzato l’anno passato. Ma è anche vero che qui si sta parlando di videogiochi e, come dimostrato sopra, quest’argomento è più scomodo di quanto sembri. La figura politica più importante e più rappresentativa di una nazione che si scaglia apertamente contro un medium è un evento molto significativo.

Il famoso tweet di 6 anni fa che ora sta facendo il giro dell’Internet. Molto più odierno e comprensibile è invece il breve discorso che il presidente rilascia davanti alle telecamere della CNN, dove allarga il discorso ai film non adatti ai minori

Descritta così la situazione attuale sembra un’apocalisse vera e propria, quando invece la realtà è leggermente diversa: lo scorso Giovedì 8 marzo, infatti, Trump ha indetto un meeting tra il suo staff, l’ESA (Entertainment Software Association), alcuni big dell’industria videoludica (tra cui il CEO di Rockstar, la software house di Grand Theft Auto), e molti detrattori e personalità anti-videogame.

Il risultato è stato un mezzo buco nell’acqua: non sono state prese decisioni concrete, ma si è unicamente parlato di restrizioni e modifiche da applicare all’ESRB e sono stati discussi i vari studi riguardo la correlazione tra videogiochi e violenza criminale. Entrambi gli schieramenti sono usciti dal meeting scettici e contrariati, senza aver raggiunto un punto in comune. Fa comunque piacere vedere come Donald Trump si sia reso conto di aver esagerato e abbia cercato con questo incontro una sorta di compromesso tra le due parti.

L’internet dimostra di aver preso molto bene il pedigree di alcuni dei partecipanti del meeting

Gli analisti politici ed economici indicano questa mossa come un avvicinamento dell’egemonia presidenziale all’industria videoludica, forse per centralizzare e nazionalizzare i profitti con dazi e sanzioni più esigenti, assecondando le correnti arraffa profitti della politica contemporanea. Cionondimeno questo incontro sui videogiochi non sembra far trasparire molto se non un senso di confusione e isteria generale che pervade chi assiste impotente a una strage e cerca di trovare un colpevole. In tutto questo, perché i videogiochi sembrano sempre più vincolati alle etichette bigotte affibbiategli nel corso degli anni?

“And the unique Art Form, so easily Forgotten”

Il medium videoludico è unico nel suo genere: non ha avuto secoli e secoli di evoluzione, non ha una vera e propria identità e un attaccamento culturale come può averlo la letteratura italiana o l’arte impressionista francese; è legato indissolubilmente alla tecnologia moderna e soprattutto è nato, a differenza delle altre nove arti, come mero intrattenimento a scopo lucrativo anziché come una modalità d’espressione per tramandare idee e sensazioni (almeno inizialmente). Ed è a questo che la maggior parte delle persone pensa quando sente parlare di videogiochi.

Tuttavia, in quasi cinquant’anni di storia, dai primi cabinati fino alle console di ultima generazione, è stato dimostrato in diverse occasione come un videogioco possa reggere un confronto artistico con gli altri media, anche perché all’interno del codice di un videogioco possono confluire tutti gli aspetti artistici immaginabili (arte visiva, musicale, letteraria, recitativa e così via). L’unicità del videogioco rispetto agli altri media risiede nella sensazione di controllo e interazione sul “proprio” mondo virtuale — un concetto che neanche i vecchi libri-game riuscivano a trasmettere del tutto. Un recente e perfetto rappresentate dell’unicità del medium videoludico è senza dubbio NieR:Automata. I motivi dietro a tale affermazione si possono comprendere solo giocando (appunto) al titolo.

Una schermata che non dirà niente a molti, ma potrebbe far commuovere alcuni (soprattutto con questa in sottofondo)

Nonostante questi riconoscimenti, il medium videoludico si trova a dover ancora abbattere quel gigantesco muro del bigottismo (prodotto naturale di un contrasto tra reazione ed innovazione) per essere compreso e rispettato. Ed è per questo motivo, infatti, che fino a pochi anni fa era la prassi associare alla figura del videogiocatore quella del sociopatico incapace di relazionarsi normalmente con gli altri esseri umani, quindi “legittimo” oggetto di scherno e di isolamento.

Questo stereotipo è probabilmente stato sconfitto definitivamente grazie anche all’avvento di nuovi titoli sempre più accessibili e a un’industria capace di evolversi e abbellirsi, raggiungendo anche chi bistrattava videogames e videogiocatori. Ma tutti questi traguardi svaniscono miseramente quando qualcuno, dal capo di famiglia al bar sotto casa fino al presidente di una nazione in un meeting internazionale, accusa apertamente l’intero medium di corrompere le menti dei giovani.

Alla fine la realtà dei fatti è una sola: ciò che è diverso spaventa; ciò che è unico, nuovo e imprevedibile terrorizza; se ci si libera dall’unicità, ci si libera dal terrore. Il concetto di capro espiatorio si collega indissolubilmente a quello della paura e della colpa — questo spiega il meccanismo catartico nel voler attribuire a un solo imputato tutto il male del mondo.

La colpa, infatti, non è del controllo delle armi inesistente tra i giovanissimi americani, la colpa non è dell’assoluta mancanza di educazione sociale e civile e spesso anche etica negli ambienti sociali, la colpa non è dell’inadeguatezza nell’affrontare depressione e patologie psichiche da parte di medici, famiglia e comunità, ma è di un mezzo comunicativo che non può comunicare quello che vuole e deve quindi essere regolato, censurato e/o abolito. La colpa non è interna alla società, interna all’uomo, ma è fuori, nei suoi strumenti che, presi da soli, non possono comunicare niente. Come dei perfetti agnelli sacrificali.

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Riccardo Liberati
La Caduta 2016–18

Vagabondo ed incerto di natura, appassionato d’arte e vita a tempo perso