Illustrazione di Alessandro Lanfrancotti

Walter Siti — L’importanza del Male nelle grandi mutazioni sociali

Bruciare tutto, edito per Rizzoli, è l’ultimo libro di Walter Siti, in cui il protagonista è un prete pedofilo

Andrea Capodimonte
La Caduta 2016–18
11 min readMay 22, 2017

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Appena uscito Bruciare tutto, a causa del tema trattato, si sono scatenate forti polemiche sui social e su diversi giornali.
Nel 2006, quando uscì Troppi Paradisi, si ebbero le stesse contestazioni e vennero mosse più o meno le stesse accuse di oggi: Siti, stai giustificando la pedofilia! Ti stai spingendo troppo oltre!
Le polemiche furono forse ancora più forti , ma differenti; complice forse il periodo storico, le accuse rimasero confinate tra le riviste letterarie, poiché internet non era ancora uno strumento così diffuso.
Bruciare tutto è dedicato a Don Lorenzo Milani, il che ha acuito le polemiche. Siti non vorrai proprio dire che Don Lorenzo Milani fosse un pedofilo?

Siti gioca con le strutture del libro, con testo e paratesto, da sempre, mischiandoli e confondendo il lettore su ciò che c’è di vero e ciò che c’è di falso; è forse uno dei migliori illusionisti della contemporaneità, capace di ricreare nel lettore le stesse difficoltà che provano i protagonisti, capace di mimetizzare la struttura del romanzo con la struttura della realtà, così da creare quegli equivochi di cui è pregna la sua scrittura sempre dettagliata e minuziosa. Lo sguardo di Siti è come una fotocamera che riesce a spostare lo zoom con la semplice pressione su di un tasto; si passa dal dettaglio al generale con una incredibile fluidità, e in un attimo vediamo incrociato il destino dell’Occidente con quello dei borgatari, l’alta finanza con l’immigrato sub-sahariano.
Le polemiche sull’ambiguità della dedica non sono così fuori luogo come alcuni indignati degli indignati hanno proposto; ma basta chiedere all’autore per comprendere le intenzioni. Questo è quello che ha detto a Repubblica:

Tutto nasce, mentre stavo covando il libro, dall’aver letto in un vecchio e quasi introvabile libro di Santoni Rugiu (Il buio della libertà, De Donato-Lerici 2002) alcune frasi dell’epistolario di don Milani, che ora dovrebbero figurare nel Meridiano di prossima uscita: “E so che se un rischio corro per l’anima mia non è certo di aver poco amato, piuttosto di amare troppo (cioè di portarmeli anche a letto!)” — e poco più avanti, in una lettera a un giornalista poi suo biografo: “E chi potrà amare i ragazzi fino all’osso senza finire di metterglielo anche in culo, se non un maestro che insieme a loro ami anche Dio e tema l’Inferno ?” — già anni prima in una lettera a un amico, aveva scritto: “Vita spirituale? Ma sai in che consiste oggi per me? Nel tenere le mani a posto”. Forse forzando l’interpretazione, mi è parso che don Milani ammettesse di provare attrazione fisica per i ragazzi, e ho trovato eroica la sua capacità di tenersi tutto dentro il cuore e i nervi, senza mai scandalizzarne nessuno. La dedica è un modo per dichiarare la mia stima e la mia ammirazione profonda per lui.

La dedica è, come ha detto anche a La Stampa, «un omaggio alla forza che [Don Milani] ha avuto nel trasformare le sue possibili pulsioni in un’impresa pedagogica».

Queste pulsioni rispondono al desiderio, ed il desiderio è il tema cardine e ricorrente di ogni libro di Siti, fin dal 1994 con Scuola di Nudo. La sua intera produzione «è come se fosse una specie di diagramma del desiderio nell’età di oggi»; ogni romanzo è l’insieme di tutto il pensiero di Siti, che di volta in volta si confronta e modella con gli abitanti dell’attualità che decide di trattare.

Come dicevo, anche Troppi Paradisi, appena uscito, provocò scandali; ed è proprio da uno squarcio di quel romanzo, ripreso e rielaborato, che si forma l’intreccio di Bruciare tutto. In TP compare un personaggio che si chiama Alfredo, descritto dal protagonista del romanzo come un «pover’uomo terrorizzato», che compie periodicamente dei viaggi nei paesi del Sud-America per dedicarsi alla prostituzione minorile. Walter Siti, che è anche il nome del personaggio protagonista del romanzo, pensa che il desiderio pedofilo di Alfredo sia legittimo in quanto desiderio. «Ogni desiderio è legittimo se non danneggia altre persone». Non si può condannare un uomo perché desidera, poiché questo non dipende da lui.
Questo Alfredo, all’interno del romanzo, non è altro che uno dei tantissimi uomini che affollano le pagine; ma proprio sul tema pedofilia, in queste pagine dedicate ad Alfredo, il personaggio Walter Siti racconta un aneddoto della sua infanzia, narrando che quando era bambino si sentiva fortemente attratto da un giovane meccanico che ogni giorno si metteva a dormire nella rimessa; un giorno, dopo mille progetti, si decide ad avvicinarglisi e gli bacia il pene mentre lui sta dormendo; quando l’adulto destandosi si rende conto di quello che è successo, lo minaccia di dirlo alla madre, così Walter Siti bambino scappa sentendosi «perduto, convinto che la mia vita da quel momento in poi sarebbe stata quella della selvaggina, inseguita e stanata da chiunque ». Continuando poi che, se il meccanico si fosse lasciato andare, in quel caso «un atto pedofilo sarebbe stata la scelta giusta, la scelta di carità, un’opera del bene e non del male».

La trama di Bruciare tutto si muove proprio su questo paradosso, sull’atto pedofilo che può essere un bene; e proprio questa incomprensione, questa perversa situazione che la finzione sitiana realizza come caso narrativo, ha fatto di Walter Siti un bersaglio per le critiche.

Don Leo Bassoli, protagonista del libro, è un prete che fin da ragazzino si rende conto di provare una forte attrazione per i bambini; arrivato a vent’anni decide di iniziare il seminario e si trasferisce a Roma, dove conosce un ragazzino borgataro, Massimino, che ha una famiglia che lo maltratta e lo picchia dalla mattina alla sera — ispirato ai Ragazzi di vita di Pasolini; Leo Bassoli non è ancora prete, ma solo un ragazzo tormentato da questo suo desiderio che sa essere implacabile come tutti i desideri; Dio non gli parla, è assente, Dio è l’Assoluto desiderato, ma che perversamente si incarna in un bambino, «vedere nudo un ragazzino per toccare Te, mio Dio».

Succede però che Don Leo sia dominato da questo impulso inarrestabile che lo spinge all’azione, e alla prima occasione ceda al desiderio, superando il confine con Massimino, già avvezzo al sesso, che si concede senza troppo stupore. Don Leo Bassoli «si era innamorato» di questo bambino abituato ad essere trattato come una bestia, ma con la consapevolezza che questo amore non possa esistere e che è solo una tentazione di Satana, che può dissumulare sé stesso in qualsiasi forma. Per mesi i due giocano eroticamente, ma ad un tratto si monta una crisi nella testa del prete che decide di andarsi a confessare, sperando di trovare il giusto rimprovero; nel confessionale però si trova di fronte un anziano sacerdote, che si comprenderà solo in seguito essere affetto da demenza senile, che non lo giudica per i suoi atti pedofili, ma anzi si mette a fare un elogio della pedofilia e del Corpo del bambino. Don Leo dopo questo accaduto fugge allora da Roma, senza salutare nessuno; una fuga da questo tipo di chiesa «che si rassegna al peccato perché l’eroismo la spaventa».

Così nasce il Don Leo che ripudia il peccato, ma che lo comprende. Che trasforma gli impulsi in un’opera pedagogica, che non se la prende con i piccoli peccatori, ma con un mondo assediato dalla finanza. Durante le omelie si lascia andare a forti denunce contro la società, riportando volentieri l’episodio di Gesù che prende a calci i banchetti dei mercanti nel tempio; è arrabbiato contro il lassismo della chiesa: va a scuola e organizza scioperi fra i bambini contro le maestre; consiglia alle coppie che si presentano per il servizio prematrimoniale risoluzioni drastiche; auspica un mondo in cui la chiesa torni ad essere eroica, capace di prendere decisioni forti ma giuste. «Non si può ridurre la fede a quel pastone politicamente corretto a cui vorrebbero ridurla i benpensanti privi di fede. Sottomettersi è libertà assoluta, libertà di autopunirsi». Il desiderio pedofilo è sopito, Don Leo si è castrato completamente dei suoi impulsi. Nella struttura narrativa del romanzo il lettore non sa chi sia realmente Don Leo, ma lo viene a scoprire solo dal quinto capitolo, quando l’autore, rivelandosi come tale, annuncia il ribaltamento della prospettiva, a seguito della rivelazione che lo sottoporrà alla gogna pubblica del lettore.

Organizzare contro le ossessioni una caccia per cielo e per mare significherebbe incoronarle regine del mondo, cioè obbedire al mondo — Leo è abbastanza autoironico per figurarsi dentro di sé il Bambino Perfetto come un gigantesco e bianchissimo Moby Dick da arpionare evitando di fare naufragio ai suoi colpi di coda. Morale e religione non coincidono, bisogna obbedire a Dio e non alle opinioni condivise.

Alle ossessioni non va dato seguito, il desiderio va castrato; i protagonisti di Siti sono solitamente l’opposto di questo. Tutti vogliono raggiungere il loro Assoluto, a qualsiasi costo. Don Leo invece no, e sarà proprio questo a dannarlo.

Non sarà Massimino la causa della dannazione — anche se concausa, nella perfetta architettura del romanzo — ma Andrea, altro bambino che vive una situazione familiare di estremo disagio, con una madre alcolizzata e un padre carcerato. Il cortocircuito accade proprio con lui: Don Leo, dopo varie vicissitudini, si rifiuta di concedere l’affetto che il bambino desidera e che è però in grado di richiedere solo con le parole che la sua educazione gli concede ( «posso toccarti il pisello?»). Leo, troppo intimorito dalla vicinanza dell’oggetto del desiderio, non riesce a comprendere la crisi che Andrea sta vivendo, ed anzi, alla domanda risponde con il rimprovero, dicendogli che queste cose sono «una colpa grave che pregiudica tutto il futuro»; sicché Andrea, incompreso e solo, dopo questo grande rifiuto, decide di suicidarsi tagliandosi le vene. E proprio mentre compie il gesto finale ripensa al concetto che Don Leo gli aveva impartito nei giorni precedenti: un martirio è un atto necessario in una società in cui non si muore più per nessuna idea.

Non è l’atto pedofilo mancato ad aver ucciso Andrea, non è questo ad averlo spinto al suicidio. Questo è quello che pensa Don Leo, semmai. Questa risoluzione non significa giustificare la pedofilia. Il finale ammicca a qualcosa di più ampio: Don Leo assomma su di sé i nostri tempi; ogni capitolo, ogni segmento della trama, ha una sua significazione propria e molteplice, che istituisce rapporti con le altre trame e sottotrame e con gli innumerevoli volti che si incontrano tra le pagine. L’impossibilità autoinflittasi da Don Leo è l’impossibilità di una rivoluzione, il dramma è che «la rovina si vede, ma non possiamo invertire il cammino».
Bruciare tutto è il tentativo, come scritto nella post-fazione, di comprendere l’importanza del Male nei grandi mutamenti storici. Quel «Male che nasce sempre dal Bene», che risolve tutto in una grande impossibilità, che è forse tema comprimario della produzione sitiana. L’impossibilità che annichilisce, l’impossibilità di un compromesso equilibrato della nostra società, l’impossiblità di raggiungere l’Assoluto, l’impossibilità del Bene senza il Male.

L’impossibilità di conoscenza, perché bombardati da informazioni inutili e maliziose, che non creano nessun tipo di rapporto, che creano desiderio senza relazione. Aylain e tutti i bambini sono «luogo dell’ipocrisia», dell’indignazione che dura una digestione.

La fascinazioni di Siti per il Male è un metodo di ricerca; è comprendere la società e iniziare l’indagine da ciò che non va, dal punto di vista di chi è infangato dalla testa ai piedi. Ma c’è altro oltre al desiderio pedofilo; c’è la società dell’informazione, la società del bisogno, in cui l’eccesso d’informazioni è l’ennesimo tentativo di confendere le acque. La falsa conoscenza che fornisce il proliferare di notizie.

Di un articolo su «MicroMega» gli è rimasta impressa una definizione, “esoscheletro di storie”; che intendeva l’autore? Forse che gli uomini ormai sono invertebrati, colpiti da troppi messaggi, e i giornalisti gli forniscono dall’esterno (a forza di storie, appunto) l’individualità perduta. Altro che cani da guardia della democrazia, il giornalismo ormai serve per confermare e per distrarre; la voga dei tweet e di altre diavolerie darà sempre di più la parola ai peggiori, e spingerà i migliori a parlare senza riflettere. La riscossa dei ciarlatani. Amo i singoli, come si deve, ma non quello che fanno quando si coagulano in una massa. Le sempre più numerose masse “digitali” sono un mostro che esige una cronaca sempre più esorbitante, frenetica, in una post democrazia irrimediabilmente chiusa a ogni istanza superiore. L’abolizione del segreto non conduce alla correttezza ma alla gogna. Il perbenismo progressista è il “panem et circenses” del nuovo millennio: ora mi alzo, urlo e mi alzo. Dio ti sta troppo addosso per poterlo desiderare; allo stesso modo, troppe informazioni ti impediscono di capire. Le telecamere a circuito chiuso inchiodano dei poveri cristi a un gesto, promosso a icona del malaffare. Scatenano opposti allarmi e non si curano della contraddizione, l’importante è confondere le piste, offuscare il bersaglio: paginate sul lusso e filippiche contro il privilegio, tramonto dell’Occidente e intoccabilità dei suoi aedi più moralisti. I “valori” sono una nebbia euforizzante — ora mi alzo, un attimo ancora che schiumo l’odio, impostori.

Ci sono sempre, nei libri di Siti, anche gli ultimi. Coloro che non partecipano al grande sonno dell’Occidente. C’è il «il dolore vero degli immigrati», che acquistano nelle pagine nome e dignità, che compaiono con le loro storie, con i loro viaggi e con la loro permanenza, più vicini di tutti gli altri al Male, ai bordi delle strade. C’è soprattutto la miseria, «la comunicazione planetaria rende la miseria complementare al consumismo». Ci sono le loro storie terrificanti, di controllo, di assoggettamente, di violenza disumana. C’è lo spaesamento, la “crisi della presenza”. Tra le voci di questo romanzo corale, che sono le voci della nostra società, spunta anche l’ipotesi di controllo di queste masse nuove, da trattare come merci, da usare come forza-lavoro.

La grandezza del romanzo di Walter Siti sta nel suo mimetizzare il nucleo rivelatore dell’intero scritto nella struttura del romanzo; intorno a questo Male c’è la miseria, che è però adombrata dal problema centrale della pedofilia, problema dell’Occidente, che si concentra in Don Leo. Ma tutto intorno c’è un mondo che grida ed urla, e che passa in secondo piano rispetto alla questione dilemmatica della pedofilia; esattamente come è successo nei giornali e nei social.

la quindicenne vergine che si è fatta possedere brutalmente sul barcone per risultare violentata in guerra; il padre costretto a gettare via come una zavorra il figlioletto morto; i prigionieri in Libia che dissimulano le malattie contagiose per non essere scartati nella selezione di chi può affrontare il viaggio. Nessuna sofferenza è pura se vista da vicino.

Disse Siti, nell’intervista con Christian Raimo, che ciò che non viene mai presa in considerazione dalla ragione schietta è la pietà,«la miseria, che è anche l’unica cosa che noi possediamo e che ci rende fratelli»; quella miseria assente nelle descrizioni della madre di Leopardi nello Zibaldone, quando lui la vede gioire della morte dei bambini; quella miseria che manca ad ogni personaggio che vive in queste pagine, in una tragedia umana che sembra sempre più irreversibile, in cui «la società non perdona», e porta inesorabilmente verso la morte.

Per chiudere cito una poesia di Luigi Di Ruscio, che mi sembra appropriata e che mi è venuta in mente a seguito di tutto ciò, anche se non so se poi c’entri niente:

Ti sia lieve la terra
il sottoscritto è fortunato
il passaggio tra la coscienza e il niente sarà brevissimo
non è destinata a noi una lunga e spettacolare agonia
non sarà per noi l’insulto di essere a lungo vivi senza coscienza
i clinici più rinomati non appresteranno a noi lunghe strazianti agonie
la nostra miseria ci salva
dall’insulto di essere vivi senza più lo spirito nostro
ritorneremo tranquillamente nel niente da dove siamo venuti
è già tanto che il miracolo della mia esistenza ci sia stato
riuscendo perfino a testimoniarvi tutti

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