Westworld — Dolores nel Paese delle Meraviglie
Di come Alice nel Paese delle Meraviglie ha influenzato la realtà (e il sogno) del nuovo successo HBO
“Alice cominciava a non poterne più di stare seduta sulla sponda accanto alla sorella, senza far niente”.
E se una volta tanto una fiaba non cominciasse con il solito “C’era una volta”? Se tutto avesse inizio nella noia della quotidianità presente e l’avventura dirompesse nella storia senza seguire i consueti canoni fiabeschi? Se tutto partisse da noi, non da cause esterne, non da ordini impartiti, ma dal nostro inconscio? Bastano un po’ di noia, un velo di sonno sulle palpebre ed ecco un coniglio bianco provvisto di panciotto e orologio da taschino schiaffeggiare la realtà con la forza di un gorilla. Così Lewis Carroll catapulta la piccola Alice in un mondo intessuto di sogno, Wonderland. Ma Wonder-Land, è tanto il paese delle meraviglie (wonder = meraviglia), quanto quello dell’auto-riflessione (to wonder = chiedersi, domandarsi). Tra una corsa dietro a un coniglio in ritardo e una conversazione psico-filosofica con un bruco gigante — adagiato su un fungo altrettanto gigante — , Alice nel Paese delle Meraviglie ci lascia con quel sapore un po’ vago di angoscia esistenziale e di disturbi multipli dell’identità che non ci si aspetterebbe da un libro “per bambini”.
Beh, cosa c’entra questo con la bella Dolores, la pallida, biondissima Dolores, Dolores col vestito che, guarda un po’, è proprio azzurro, l’ingenua Dolores tra le meraviglie di Westworld? Jonathan Nolan e Michael Crichton ci offrono un indizio durante la terza puntata, quando Bernard chiede alla ragazza di leggere un passo tratto da, sì, Alice nel Paese delle Meraviglie. Discreti.
“Le Avventure di Dolores in Westworld” raccontano la storia di una giovane donna, inconsapevole della propria natura artificiale, che, per svegliarsi da un sogno che assume gradualmente le ombre dell’incubo, si lancia in una cavalcata sfrenata «per vedere quant’è profonda la tana del bianconiglio». Viene in mente nulla? Ecco: negli occhiali neri a specchio di Morpheus si riflette la scelta di Neo. E se con la pillola rossa si sprofonda nella tana del batuffolo bianco, con l’azzurra «ti sveglierai in camera tua e crederai a quello che vorrai».
«Vuoi svegliarti da questo sogno, Dolores?». «Sì».
È facile dire “svegliarsi”. Qui la questione si complica perché, come per Alice (e per Neo), quello che la ragazza del West crede essere un sogno, è in realtà la realtà, mentre quella che crede essere la realtà è in realtà un “sogno”; ma, se per Alice risvegliarsi significa far ritorno nel proprio mondo, che significato ha per Dolores? In sostanza, è il suicidio involontario della coscienza. Dunque, Westworld ci presenta un risveglio fisico (pillola azzurra) e un risveglio metafisico (pillola rossa). Se siete confusi, immaginate come si sente Dolores.
«Povera me! Com’è tutto strano oggi! [..] Chissà che non sia stata scambiata questa notte! Fammi pensare: ero la stessa quando mi sono alzata stamattina? Mi pare quasi di ricordare di essermi sentita un po’ diversa. Ma se non sono la stessa, la domanda è, “Chi sono mai?”» (si chiede Alice).
Il dubbio assale la bambina: è il mondo a esser storto, o sono io? «Mi sembra ci sia qualcosa di sbagliato in questo mondo — confessa Dolores — qualcosa di nascosto. O questo, oppure c’è qualcosa di sbagliato in me». La ragazza del West si fa strada, puntata dopo puntata, in un mondo di incongruenze, di sogni ricorrenti, di false-memorie-vere e di significati nascosti che vanno cercati tra i granelli di sabbia della frontiera americana e i capelli di uno scalpo. Il Labirinto nel quale Dolores si perde è quello dell’autocoscienza, raggiungibile solo attraverso il recupero della propria memoria. Westworld dunque non è una serie tv “di formazione”, non c’è nulla da costruire ex novo, ma tutto da ricordare.
Ora, la scelta di mostrare Alice, pardon, Dolores mentre osserva confusa la propria immagine riflessa su specchi, vetri e vetrine, come se non riuscisse a riconoscersi, o come se, forse, avesse iniziato a riconoscersi per la prima volta, non è certo una trovata particolarmente originale.
E soprattutto, anche in questo caso, Alice precede Dolores in quanto a superfici riflettenti. In Attraverso lo Specchio (una sorta di sequel delle prime avventure di Alice), la povera bambina riesce, di nuovo grazie a un viaggio onirico, a varcare la soglia evanescente dello specchio di casa. Ancora un’avventura, ancora personaggi strambi e un mondo-scacchiera che va letteralmente alla rovescia. Il desiderio di Alice di esplorare questa terra ignota e di raggiungere la meta finale — la sua incoronazione come Regina del gioco di scacchi — sovrasta qualsiasi timore:
«Non ho intenzione di tornare indietro di già. Mi toccherebbe attraversare di nuovo lo specchio […] e sarebbe la fine di tutte le mie avventure!», dichiara Alice. Dolores, nella quarta puntata, le fa eco con il suo sguardo di ghiaccio: «Non ho intenzione di tornare indietro!»
Ma a un’incoronazione di Alice ne corrisponderà una di Dolores? Certamente il cappello, quello che trasforma William in un vero cowboy e che Dolores riceve da El Lazo in persona, sembra aver avuto per la ragazza lo stesso valore simbolico di una corona, capace di tramutare la giovane, ingenua “bambina” in una cowgirl, una Indiana Jones alla ricerca della realtà perduta, «da qualche parte al di là di tutto questo».
Se non avete visto l’ultimo episodio, godetevelo, perché, se anche Dolores non si è rivelata una vera e propria “reginetta” (confesso che il terrore di una protagonista soavemente passiva aleggiava minaccioso tra i miei pensieri dopo le primissime puntate), gli ultimi sviluppi fanno certo supporre che la sua figura sarà essenziale per lo scioglimento del gioco-Westworld.
Perché Westworld, d’altra parte, è il gioco di molti: il gioco è il Labirinto, il gioco è il divertimento degenerato dei visitatori, il gioco è quello del dottor Ford che si arrischia nel ruolo di Dio. Ford: altro personaggio, altro rimando ad Alice. Proprio nei panni del misterioso dottore dall’accento meravigliosamente british (e interpretato da un superlativo Anthony Hopkins), infatti, sembra reincarnarsi la figura buffa del Re Rosso che Alice vede ronfare profondamente in tenuta da notte. Cosa pensate stia sognando il Re? Ovviamente Alice stessa, rispondono Tweedledum e Tweedledee, i bizzarri fratelli del romanzo. Ma è possibile? E se il Re si svegliasse, cosa ne sarebbe di Alice? «Se quel Re si dovesse svegliare…ti spegneresti — bang! — come una candela!», la informano i due. «Sei solo una delle cose dei suoi sogni. Sai benissimo di non essere reale!».
«Non mi piace far parte del sogno di qualcun altro» (piagnucola Alice).
E Dolores? Anche lei è una delle cose di un sogno altrui. «Sei una di loro, non sei reale», continua a sentirsi dire la ragazza.
Ford: «Sai dove ti trovi, Dolores?».
Dolores: «Sono in un sogno».
Ford: «Sì, Dolores. Sei nel MIO sogno».
E «i sogni significano tutto», continua questo Frankenstein dell’Intelligenza Artificiale. In questo gioco Ford pare essere il Re, arroccato nella surrealtà del suo laboratorio, avviluppato in una nebbia di misteri e ricordi cancellati che sembrano irretire tanto la realtà quanto il sogno. Ma nel romanzo, Carroll ci gioca un brutto scherzo: chi sta davvero sognando Wonderland? Il Re, Alice o qualcun altro ancora? (vedo un sorrisino nascere sulle labbra di chi ha visto l’ultima puntata?) «Dobbiamo essere stati o io o il Re Rosso — riflette la bambina — Di certo lui faceva parte del mio sogno — però, anche io ero parte del suo!».
Maligno come non mai, Carroll spedisce il lettore a letto senza una risposta (e io, per ora, mi accodo):
«Voi chi pensate sia stato?»