Immagine da knowyourmeme.com

YouTube non capisce YouTube

La vicenda Logan Paul ha messo ancora più in luce le difficoltà dell‘azienda nel relazionarsi con gli youtuber e viceversa.

Marcello Torre
La Caduta 2016–18
6 min readJan 23, 2018

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Ricordo bene gli attimi di sconcerto e delusione quando ho appreso che Anthony Fantano — popolare youtuber americano nonché internet’s busiest music nerd— aveva cancellato il suo secondo canale thatistheplan dedicato a geniali “meme reviews”, di fatto arrendendosi di fronte alla spietatezza di un algoritmo deciso a demonetizzare fino all’ultimo di quei video. Furono attimi di sconcerto perché nessun fan riusciva a spiegarsi cosa ci fosse di tanto controverso in un canale dedicato ai meme (peraltro di un’utilità gigantesca per un normie come me) per far sì che il meccanismo si accanisse così ferocemente su di esso. Non si trattava certo del primo clamoroso passo falso commesso dall’algoritmo: erano le conseguenze della tanto discussa Adpocalypse, arrivata con la prepotenza di un giudizio universale nel 2017 a dividere l’immensità del tubo fra video buoni e cattivi — questi ultimi giudicati immeritevoli di ricevere introiti pubblicitari. Tralasciando le opinioni più ignoranti scaturite da quel singolo caso— come quelle di The Fader, che accusava Fantano di aver contribuito al consolidamento dell’alt-right grazie a quel canale— la controversia ha riscosso clamore in quanto ennesima prova della cocciutaggine di YouTube nel non voler capire il suo stesso mercato, andando pertanto contro moltissimi creators.

La vicenda thatistheplan spiegata accuratamente.

Mentre i creatori di contenuti cercano infatti di sopravvivere a loro modo a questi nuovi standard con ancore di salvataggio come Patreon, i piani di YouTube per diventare la nuova tv passano inevitabilmente per altre figure: i fratelli Paul (Logan e Jake) e PewDiePie (lo svedese Felix Kjellberg) sono solo tre fra i fenomeni più esorbitanti — e forse la più grande valanga di denaro — capitati in mano alla piattaforma di Google. Tra vlog, ore di gameplay, meme review (le loro sembrano non avere problemi), challenge di ogni tipo e stronzate alla Jackass questi ragazzi polarizzano insieme l’attenzione di oltre novanta milioni di iscritti. La parola la conosciamo: viralità. Dopo il caso che ha travolto Kjellberg — scaricato persino dalla Disney dopo essere “inciampato” in battute antisemite e commenti razzisti durante delle live — e i fatti recenti accaduti in Giappone a Logan Paul — che ha caricato su YouTube vlog demenziali in cui fra le tante cose incappa in un cadavere nella celebre foresta di Aokigahara — non è una sorpresa che i dubbi e le critiche nei confronti dell’azienda non abbiano fatto che aumentare. È forse strano incazzarsi se un video è demonetizzato perché magari viene pronunciata la parola “Isis”, mentre lo youtuber di punta di una generazione, idolo dei ragazzini e wannabe star di Hollywood continua a fare i soldoni nonostante un video in cui scherza davanti ad un morto?

Si scrive “uuuuh un uomo morto!”, si legge “sono in un mare di merda”.

Nonostante abbia preso (tardivamente) misure contro Paul, l’imbranataggine con cui YouTube ha agito è sintomo di quanto sia poco chiara la visione che i piani alti hanno della propria creatura. Dove si vuole arrivare premiando solamente la punta dell’iceberg — costituita in questo caso da superstar che mettono in imbarazzo pure i vertici — a discapito di tutti quelli che sanno creare contenuti validi (poco importa che si tratti di infotainment, intrattenimento cazzaro o altro) e restano inevitabilmente sommersi? YouTube, va ricordato, si occupa di business come ogni azienda che si rispetti: se l’obiettivo è guadagnare allora non è sbagliato cavalcare l’onda anomala creata da fenomeni del web nati, o quantomeno cresciuti, sulla sua piattaforma (i Paul vengono dall’ormai defunta Vine); ciò che è assolutamente ingiusto è minare il diritto di chiunque a guadagnare con essa grazie alle proprie idee, per giunta usando un algoritmo impazzito che miete vittime a destra e a manca con l’obiettivo di richiamare investitori perduti.

La coerenza prima di tutto.

YouTube sta già provando a mettere delle pezze ai propri errori, ma nel modo sbagliato: togliere potere di controllo all’algoritmo per ridarlo ai propri impiegati è certamente un passo avanti, ma farlo esclusivamente per passare al setaccio i contenuti dei “migliori creatori” in modo da rendere ancora più difficile l’ingresso nell’élite Google Preferred significa farne altri tre indietro. Alzare gli standard in base ai quali i video possono ammettere pubblicità non risolverà i problemi: certo, forse avremo meno coglioni che vanno in giro vestiti da Pikachu a lanciare poké ball sui giapponesi, ma in cambio l’asimmetria tra le star e i piccoli creatori aumenterà a dismisura, con questi ultimi costretti a soddisfare parametri ancora più severi per vedere qualche soldo. In un paese come l’Italia, in cui vieni deriso anche solo se ti balena in testa l’idea di guadagnarti da vivere con i video — figurarsi se lo fai già— una decisione del genere da parte dell’azienda non solo tarpa ancora di più le ali a chi insegue il proprio sogno di avere successo senza essere per forza il prossimo Favij, ma sporca ancora di più l’idea che la gente ha degli youtuber. YouTube fa una marea di denaro grazie ai video, quindi mi chiedo: quando inizierà a comportarsi come un serio datore di lavoro, che dà a tutti i suoi impiegati le stesse chances di farcela? Quando inizierà a considerare tutti i suoi creatori come lavoratori — perché questo sono, con buona pace degli omarelli che “ah ah ah come no, fai lo youtuber” — senza continuare ad alimentare l’idea che solo pochi possano riuscire a farsi un nome e che sia necessario mettersi le parrucche colorate o scorreggiare sulla gente per far parlare di sé?

A proposito di Favij (minuto 7:54): chi si prende la briga di spiegargli che il suo pubblico è composto in maggioranza da bambini, incapaci in quanto tali di comprendere l’ironia di una battuta?

La situazione odierna vede YouTube urlare “innovazione e cambiamento” mentre, nascondendosi dietro a un dito, sussurra: “due pesi due misure”. La cosa migliore da fare, per il bene di tutti, sarebbe iniziare a istruire formalmente le proprie “star” sul come comportarsi in maniera adeguata nei confronti del loro pubblico, molto spesso composto principalmente da bambini: se vuoi trasformare un vlogger popolare in una macchina da soldi non basta considerarlo un tuo dipendente solo quando ti fa comodo, rifugiandoti invece dietro ad un comodissimo “so’ ragazzi” alla De Sica quando ci scappa la figuraccia; in quanto azienda devi prenderti la responsabilità di stabilire chiaramente dei limiti da non oltrepassare, così da evitare spiacevoli inconvenienti, magari iniziando ad applicare le regole a quelle celebrità che troppo spesso la fanno franca. Un’altra questione da prendere seriamente in considerazione è quella dei contenuti più edgy: come auspicato da molti youtuber (fra i quali anche Fantano nel video qui sotto) bisognerebbe prendere in considerazione l’idea di ritagliare uno spicchio di piattaforma adatto a questo genere di contenuti più borderline non adatti ai più piccoli; tale sezione, chiamando a sé investitori interessati — c’è letteralmente un mondo là fuori che non aspetta altro che avere spazio pubblicitario sotto certi video, non esistono solo Netflix e le automobili— permetterebbe a chi è specializzato in un certo tipo di comedy (sì HowToBasic, mi fai cagare ma vale pure per te), informazioni delicate o humor, di esistere senza ovviamente scadere nel “loganiano”. Come si è chiesto di recente Vice, è interessante capire dove si colloca ora il confine fra tollerabilità e indecenza dopo gli episodi della foresta dei suicidi, sempre che ancora ne esista uno: se l’obiettivo di queste nuove superstar è scalare il monte Olimpo del ridicolo a prendere le redini della situazione deve essere YouTube, con tutto il suo potere. La vera sfida è farlo senza abbandonare per strada il già citato iceberg di creators che l’hanno portata dov’è oggi: senza di loro non sarà mai la nuova tv, ma solo la nuova MTV.

Due pesi, due misure: più chiaro di così…

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