Il crollo dell’Afghanistan

Il 15 agosto i talebani entrano a Kabul, dopo vent’anni di assenza. Come è successo? Cosa succederà al popolo afghano?

Simona Paonessa
Lagrangia Independent
6 min readAug 22, 2021

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Il 14 aprile 2021 il presidente degli Stati Uniti Joe Biden annuncia il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan entro l’11 settembre, ventesimo anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle che fece iniziare la guerra più lunga della storia americana. Dopo l’annuncio anche l’Italia e gli altri paesi NATO ordinano il ritiro dei propri soldati.

La guerra è costata oltre 1 trilione di dollari, più di 2300 militari USA hanno perso la vita e 20 mila sono rimasti feriti. Più di 100 mila civili afghani sono stati uccisi. L’Italia ha contribuito con oltre 8,4 miliardi in 20 anni e 53 militari hanno perso la vita.

Dopo l’annuncio del presidente USA, i talebani iniziano ad avanzare per riconquistare l’Afghanistan.

Ma chi sono i talebani?

I talebani sono un gruppo armato islamista, fondato da mullah Omar nel 1994. Praticano una versione estrema della sharia.
Presero il potere nel 1996, proclamarono l’Emirato islamico dell’Afghanistan, introdussero punizioni pubbliche per chi violava la legge della sharia e l’obbligo per gli uomini di farsi crescere la barba.
Le restrizioni peggiori erano rivolte alle donne che dovevano indossare il burqa, non potevano studiare, lavorare, guidare, ridere, parlare ad alta voce, usciere di casa senza la presenza di un uomo della famiglia. Potevano essere lapidate per adulterio, uccise o frustate per non aver rispettato la legge della sharia.

Il regime venne riconosciuto dagli Emirati Arabi Uniti, dall’Arabia Saudita e soprattuto dal Pakistan, ancora oggi il suo più grande alleato.

Diedero sostegno all’organizzazione terroristica più potente al mondo, Al Qaida, guidata da Osama Bin Laden.

Dopo l’attentato dell’11 settembre alle Torri Gemelle, gli Stati Uniti decisero di distruggere Al Qaida e per farlo dovettero togliere il potere ai talebani.

Il regime cadde in fretta ma i leader scapparono in Pakistan, dal quale continuarono a organizzare attentati contro i soldati occidentali, i civili e le scuole per ragazze.

Nel 2003 gli Stati Uniti iniziarono l’invasione dell’Iraq e questo spostò risorse e destabilizzò ancora di più la zona.

Nel 2004 si svolsero le prime elezioni a suffragio universale, ma furono imperfette e portarono alla creazione di un governo corrotto.

La presenza degli occidentali permise la progressione del paese: l’aspettativa di vita salì da 56 a 64 anni e il tasso di accesso all’acqua potabile crebbe dal 16 al 89%. Le donne iniziarono ad andare a scuola, a lavorare, a truccarsi, smisero di indossare il burqa, il tasso di spose bambine diminuì del 17% e calò il numero di violenze sulle donne, se pur ancora molto elevato.

Agli americani divenne chiaro che la guerra non poteva essere vinta, così si focalizzarono sull’eliminazione di Al Qaida e Bin Laden.

Cercarono un accordo con i talebani basato sulla fine delle violenze in cambio di una rappresentanza all’interno del governo. I talebani trattarono con gli americani ma continuarono a compiere attentati contro i civili e i soldati occidentali.
I negoziati non andarono da nessuna parte.

Il presidente Trump riaprì le trattative e firmò un accordo che prevedeva la resa degli Stati Uniti e il ritiro delle truppe entro il 1 maggio.

I talebani erano diventati sempre più forti. Al contrario degli occidentali, i fondamentalisti avevano dalla loro parte il tempo e capirono che dovevano conquistare prima il nord del paese dove risiedevano i loro oppositori ed estendere le loro alleanze con Russia e Cina.

Subentrò l’amministrazione Biden e decise di rinviare il ritiro a settembre, poi cambiò idea e annunciò che sarebbe avvenuto entro agosto, insistendo sul fatto che sarebbe stato un ritiro ordinato, che Kabul avrebbe resistito all’avanzata talebana e l’ambasciata americana sarebbe rimasta aperta.

Non fu così.

Secondo il Washington Post, che nel 2019 venne in possesso degli “Afghanistan Papers” rapporti riservati dell’intelligence e delle forze armate statunitensi, per anni diversi membri del governo avevano consapevolmente diffuso informazioni false sull’andamento della guerra in Afghanistan per evitare di ammettere il fallimento. I soldi provenienti dagli Stati Uniti venivano spesi male: il 90% dei fondi venne versato in eccesso e molti andarono sprecati.

Agli Afghani veniva detto di arruolare quante più persone possibili. Così le liste dell’esercito si riempivano di nomi di persone che non esistevano e i capi intascavano le paghe dei soldati immaginari. Il governo afghano e americano si vantavano di avere un esercito afghano che contava più di 300.000 soldati.

Il presidente Ashraf Ghani dichiarò che non avrebbe lasciato il paese, ma appena la presa di Kabul da parte dei talebani sembrò essere imminente, scappò insieme alla sua famiglia negli Emirati Arabi Uniti.

Dopo la fuga del presidente e il ritiro dei soldati americani, che davano sostegno aereo e politico, l’esercito afghano non aveva più un motivo per combattere, così si arrese ai talebani.

Il 15 agosto, in meno di 7 giorni, i talebani entrano a Kabul e proclamano il nuovo Emirato Islamico.

I fondamentalisti prendono possesso di centinaia di migliaia di armi americane come visori notturni, aerei, elicotteri, droni e fucili d’assalto, dati in dotazione all’esercito afghano. C’è il rischio che vengano cedute all’ISIS o usate contro la popolazione.

Gli uomini tornano a farsi crescere la barba e le donne a indossare il burqa.
I talebani cercano di dimostrare al mondo di essere cambiati: si fanno intervistare da una giornalista donna, promettono di rispettare i diritti delle donne se queste rispetteranno la sharia e i collaboratori occidentali non verranno puniti. Le repressioni però non si fermano e in provincia sono più violente.

La gente si accalca all’aeroporto di Kabul, i talebani creano posti di blocco e sparano sulla folla. In provincia stanno continuando ad arrestare e uccidere chi in questi anni ha aiutato gli occidentali, che non riescono a raggiungere l’aeroporto e fuggire dal paese. La governatrice del distretto di Charkint, Salima Mazari, è stata rapita. Da mesi era impegnata a organizzare la resistenza armata contro i talebani. Gli Afghani continuano a manifestare con la bandiera nazionale e i talebani sparano contro i manifestanti.

Il mio pensiero va a tutte le mie coetanee afghane, a tutte quelle ragazze che non hanno mai conosciuto il terrore della vita sotto i talebani, a tutte quelle donne che hanno potuto studiare, laurearsi, uscire con le amiche, truccarsi, lavorare, sognare e da quel 15 agosto non potranno più farlo.

I talebani non sono cambiati.

Stanno impedendo alle ragazze di recarsi a scuola o al lavoro. Molte sono state prese con la forza e costrette a sposare miliziani talebani. Non hanno diritto a cure, visto che non possono essere visitate da medici uomini e le donne non hanno la possibilità di esercitare la professione. Non possono fare altro che ubbidire e temere il loro marito-padrone.

Sono di nuovo sole, nelle mani dei talebani.

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