Quanto stiamo investendo nell’istruzione e nella formazione delle nuove generazioni?

La spesa per l’istruzione in Italia rimane tra le più basse d’Europa.

Simona Paonessa
Lagrangia Independent
6 min readFeb 2, 2021

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Il 12 novembre 2020 la Commissione Europea ha pubblicato la relazione annuale di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione. L’Italia investe l’8,2% della spesa pubblica totale nell’istruzione, contro i 9,9% della media europea, affermandosi all’ultimo posto nella classifica dei 27. Inoltre il nostro paese stanzia il 7,7% della spesa pubblica per l’istruzione terziaria, contro il 16,4% della media europea, e nel periodo 2010–2018 la spesa per l’istruzione superiore è stata ridotta del 19%.

La percentuale maggiore della spesa per l’istruzione è destinata agli stipendi dei docenti: il 76% dei soldi del bilancio sono stati spesi per la retribuzione dei dipendenti contro il 65% della media europea. Secondo i dati OCSE un insegnante di scuola pubblica in Italia dopo quindici anni di esperienza guadagna meno di un collega tedesco, danese o spagnolo che è appena entrato nel mondo del lavoro. I risultati dei sistemi di istruzione dipendono dalla qualità dell’insegnamento: in Italia ma anche nel resto d’Europa i docenti stanno invecchiando, oltre la metà degli insegnanti ha superato i 50 anni e possiedono scarse competenze digitali. La bassa retribuzione e il difficile accesso ai corsi di formazione, solo il 50% dei docenti partecipa ai programmi di aggiornamento professionale, ha reso la professione poco attrattiva. Per questo motivo molti paesi europei stanno cercando di adottare riforme per far fronte alla carenza di personale docente. In Lettonia si stanno introducendo programmi di formazione rapida per i neo-laureati e i comuni stanno offrendo bonus agli insegnanti che vi si trasferiscono da un’altra regione. In Lituania si stanno adottando programmi di sviluppo professionale continuo più adeguati alle necessità degli insegnanti.

Tabella della FLC: CGIL

Il tasso più preoccupante è l’elevata dispersione scolastica, che dal 2020 è in calo ma continua ad essere tra i più alti d’Europa (13,5% contro il 10,2 della media EU). Il dato è maggiore al sud Italia, intorno al 16,7%, rispetto alle regioni del nord-est che si afferma al 9,6%. I ragazzi hanno più probabilità delle ragazze di abbandonare la scuola prima del tempo (il 15,4 % contro l’11,3 %). Purtroppo anche gli stereotipi di genere sono diffusi a scuola e possono incidere sulle scelte di carriera: i ragazzi ottengono risultati migliori in matematica e scienze e hanno più probabilità di lavorare in campo scientifico e ingegneristico, mentre le ragazze traggono risultati migliori nelle discipline umanistiche e hanno più possibilità di ricoprire professioni sanitarie. La scuola è la migliore risorsa per consentire l’integrazione, ma in Italia il tasso di abbandono scolastico per i giovani nati all’estero è del 32,5%, quasi il triplo rispetto a quello di chi è nato nella penisola ed è notevolmente superiore alla media UE del 22,2 %. Inoltre, gli studenti stranieri tendono a iscriversi a istituti professionali che offrono poche prospettive di proseguire gli studi a livello terziario, a differenza dei licei e degli istituti tecnici, e questo riduce la mobilità sociale e la possibilità di creare disparità di opportunità. In Italia sono più di 2 milioni i NEET, cioè i giovani tra i 15 e 29 anni che non lavorano e non studiano. Sono il 23,8% del totale, ricoprendo così il primato europeo.

Il tasso dei NEET in Italia, dati ISTAT del 2018

Il diploma di istruzione terziaria costituisce un vantaggio sul mercato del lavoro, ma per i giovani è molto difficile trovare un impiego. Il tasso di occupazione dei neolaureati è al 64,9%, ben al di sotto della media europea dell’85%. L’Italia ha uno dei tassi di disoccupazione giovanile più alti d’Europa, a causa della pandemia da Covid-19 il tasso è arrivato oltre il 29%. Le difficoltà riscontrate dai giovani nell’entrare nel mondo del lavoro sono anche dovute alle scarse possibilità di acquisizione di abilità per lo sviluppo personale e professionale. Secondo OCSE la Germania ha il tasso di disoccupazione giovanile più basso d’Europa e il quarto più basso al mondo, dovuto a un forte tessuto industriale e un rigido sistema d’istruzione diviso in due indirizzi: i primi sono gli indirizzi accademici che corrispondono ai nostri licei e istituti tecnici che consentono il proseguimento del percorso formativo all’università, e i secondi sono i corsi professionali che permettono agli studenti di firmare contratti di alternanza scuola-lavoro. Gli studenti tedeschi hanno la possibilità di svolgere periodi di apprendistato della durata di due e di quattro anni. Questo permette a loro di redigere, fin dalle superiori, un curriculum di competenze basato sui bisogni del mondo del lavoro. Anche le aziende traggono beneficio dall’apprendistato, assumendo i ragazzi che hanno formato e che possiedono già le competenze necessarie per ricoprire un determinato impiego. Il modello tedesco rimane però molto difficile da attuare: serve una coordinazione tra datori di lavoro che assumono, lo stato che finanzia formazioni adeguate ai bisogni delle aziende, i sindacati che supervisionano i diritti dei lavoratori e le camere di commercio che assicurano la validità degli esami. L’Italia dovrebbe iniziare a promuovere l’apprendistato per consentire ai giovani studenti di integrarsi al meglio nel mondo del lavoro. Le scarse possibilità di trovare un impiego costringono molti giovani laureati a lasciare il paese e trasferirsi all’estero. Secondo l’ISTAT nel 2018 117 000 persone altamente qualificate sono espatriate e questi allarmanti dati indicano che il sistema di incentivi fiscali introdotto nel 2017 per incoraggiare il ritorno di professionisti non riesce a fermare il deflusso.

Tabella della Commissione Europea

Il Covid-19 ha evidenziato un altro problema riguardante il nostro sistema d’istruzione: l’arretratezza digitale nelle scuole. Il problema non riguarda la dotazione di strumenti digitali che sono in linea con gli altri paesi europei, ma il livello e la velocità di connessione. Secondo il MIUR il 94,4% delle scuole italiane dispone di un collegamento a internet, ma solo il 26,9% ha una connessione ad alta velocità contro il 47% della media europea. Da un’indagine nazionale condotta dal ministero dell’Istruzione è emerso che tutte le scuole sono riuscite a realizzare attività di didattica digitale. Solo il 2,6% degli studenti non aveva accesso ad alcuna forma di apprendimento a distanza. Secondo i dati ISTAT però il 12,3% dei ragazzi tra i 6 e i 17 anni non ha un PC o un tablet a casa e il 57% deve condividerlo con la famiglia. La più allarmante conseguenza è che solo 3 ragazzi su 10 hanno competenze digitali elevate.

Uno studio della Brown University ha fatto una stima della perdita di capitale umano se non si fornisce un’adeguata istruzione. La discontinuità dovuta alla pandemia può portare a una perdita nell’apprendimento di circa 32–37% per la lettura e del 50–63% per la matematica, rispetto a un anno scolastico normale. Il capitale umano che si costituisce nelle scuole nei primi decenni di vita è la maggior fonte di crescita di un Paese nel lungo periodo. Lo studio ha calcolato una perdita totale di circa 178 miliardi di euro, circa il 10% del PIL del 2019.

Il governo italiano ha stanziato 16,72 miliardi di euro del piano Next Generation EU all’istruzione e alla ricerca. Solo l’1% dei 196 miliardi è destinato ai giovani. Un paese che non investe nelle nuove generazioni, è un paese senza futuro.

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