Siamo davvero libere di scegliere?

In Italia, l’aborto è stato reso legale dalla legge 194 del 1978. Il 70% dei ginecologi sono obiettori di coscienza, causando una limitazione del diritto all’aborto.

Simona Paonessa
Lagrangia Independent
4 min readJun 16, 2021

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Prima del 1978, l’interruzione volontaria di gravidanza era considerata un reato. Veniva regolata da un codice in vigore dai tempi del fascismo, che la puniva come “delitto contro l’integrità e la sanità della stirpe”. Ogni anno gli aborti svolti in contesti non sicuri causavano la morte di 47.000 donne e 5 milioni di ricoveri ospedalieri.

Negli anni ’70 nacquero numerosi movimenti femministi che rivendicavano la libertà di scelta. Fu soprattutto l’UDI, Unione Donne italiane, a mobilitarsi e organizzare manifestazioni in favore della depenalizzazione dell’aborto.

Nel 1973 il deputato socialista Loris Fortuna presentò un progetto per l’abrogazione della legislazione fascista. Nel luglio del 1975 vennero istituiti i consultori di maternità, con funzione di prevenire l’aborto, diffondendo la conoscenza dei metodi contraccettivi e aiutando a programmare la maternità.
La legge sull’aborto venne approvata solo il 22 maggio del 1978, dopo un lungo dibattito parlamentare.

La 194 prevede la richiesta dell’interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari e descrive le procedure da seguire. L’interruzione può avvenire con metodo chirurgico o farmacologico, introdotto solo nel 2009.

Inoltre, prevede l’obiezione di coscienza per i professionisti sanitari. L’obiezione di coscienza permette di rifiutarsi di adempiere a un dovere imposto dalla legge per motivi legati alle proprie convinzioni morali, etiche o religiose. Il personale sanitario può rifiutarsi di effettuare un’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) a eccezione dei casi in cui è presente una condizione di pericolo per la vita della donna.

Secondo i dati ISTAT, in Italia gli obiettori di coscienza sono il 70% dei ginecologi. In alcune regioni questa percentuale aumenta, soprattutto al Sud, arrivando addirittura al 93,3% in Molise. Secondo alcune ricerche, i ginecologi obiettori sono così tanti perché questo facilita la carriera, crea situazioni di consenso maggiori e condizioni lavorative migliori. In Germania gli obiettori sono il 6%, in Francia il 3% e in Svizzera non esistono proprio.

I ginecologi che si rifiutano di effettuare un aborto causano l’aumento dei tempi di attesa, costringendo molte donne a spostarsi in un’altra regione o all’estero o far ricorso all’aborto illegale. A causa della pandemia molte strutture hanno sospeso i servizi sanitari dedicati all’IVG, all’inizio ritenuti non essenziali.

Nel 2009 è stato introdotto l’aborto farmacologico, che consiste nell’assunzione della pillola RU486, solo in ambito ospedaliero ed entro la settima settimane di gestazione.

Il 12 agosto del 2020 il Ministero della Salute ha aggiornato le linee guida sull’utilizzo della RU486: inalzando il termine entro la nona settimana, annullando l’obbligo di ricovero in ospedale, favorendo l’assunzione presso “strutture ambulatoriali pubbliche adeguatamente attrezzate, funzionalmente collegate all’ospedale ed autorizzate dalla Regione, nonché consultori, oppure day hospital”.

Il Piemonte, l’Abruzzo, l’Umbria e le Marche si sono opposti alle nuove linee guida, cercando di limitare l’accesso all’aborto.

L’assessore piemontese di Fratelli d’Italia, Maurizio Marrone, ha presentato un testo in cui propone di finanziare con soldi pubblici l’apertura di sportelli gestiti dalle associazioni pro-life. Le ASL piemontesi hanno ricevuto una nota nella quale venivano aggiornati gli elenchi delle associazioni con le quali collaborare, con il requisito della presenza nello statuto “della finalità di tutela della vita fin dal concepimento”.
Un provvedimento simile è stato proposto anche dalla consigliera umbra della Lega Nord, Paola Fioroni. La consigliera ha presentato un progetto di legge regionale che modifica il “Testo unico in materia di sanità e servizi sociali” e introduce una serie di iniziative per favorire la natalità, come l’accesso nei consultori pubblici dei movimenti per la vita.

Sono ancora molti i paesi al mondo che vietano il diritto all’aborto. Secondo un rapporto del 2017 del Guttmacher Institute solo 60 Stati consentono l’accesso libero e legale all’aborto, mentre 26 lo proibiscono totalmente. Il 37% delle donne in età fertile vive in paesi in cui l’aborto è permesso senza divieti, eccetto quelli legati al limite massimo di settimane entro il quale è consentito effettuare l’IVG.

L’Italia gode di una delle leggi migliori al mondo, ottenuta grazie alle numerose manifestazioni di migliaia di donne che rivendicavano la libertà di scelta. La 194 permette di eseguire interruzioni volontarie di gravidanza in modo sicuro. La legalizzazione dell’aborto ha portato a effettuare un numero minore di interruzioni rispetto a paesi in cui è ancora proibito.

Purtroppo in alcuni contesti la 194 non è pienamente applicata. In Italia è ancora presente una mentalità patriarcale e misogina che cerca di “combattere l’aborto” limitando la libertà di scelta della donna, piuttosto che finanziando politiche sociali adeguate.

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