Gli 80 euro e la distorsione del concetto di redistribuzione, nonché dell’idea stessa di giustizia sociale

Giuseppe D'Elia
Lavoro, lavori e coscienza di classe
4 min readMar 2, 2017
Photo credit: http://thefielder.net/11/02/2015/giustizia-sociale-diseguaglianza-e-ordine-di-mercato/

La fase calante del renzismo, a quanto pare, si manifesta anche con le prime crepe nella meravigliosa narrazione della favola degli 80 euro.

Adnkronos, lancia la notizia in questo modo:

Bonus 80 euro è costato 9 miliardi. Quasi 2 milioni devono restituirlo

Altre testate non amiche riprendono con una certa enfasi — Fisco, bonus-beffa per due milioni: devono restituire gli 80 euro — e gli avversari politici, ovviamente, cavalcano l’onda:

Agi, il giorno dopo, verifica il tutto così:

Quanti hanno preso il bonus 80 euro, chi lo ha restituito e perché

Renzi prende la parola e sobriamente dice la sua con questo tweet che rilancia il relativo post, ospitato da questa stessa piattaforma:

Qui ci interessa riflettere in particolar modo su questa singolare affermazione dell’ex premier:

«Noi pensiamo che questa sia stata la più grande opera di redistribuzione salariale mai fatta in Italia. Quindi una scelta di giustizia sociale».

Verifichiamo rapidamente insieme.

La misura è un credito d’imposta contabilizzato a bilancio come “Spesa sociale per la funzione di assistenza”.

http://www.istat.it/it/files/2016/04/Cap_5_Ra2016.pdf (pp. 10 ss.)

Riguarda, in sostanza, soprattutto le fasce di reddito tra i 24mila e i 26mila euro.

Con tendenza a privilegiare il margine alto — A famiglie medio-ricche la metà della spesa del Bonus da 80 euro — e l’incomprensibile esclusione di un adeguato beneficio per chi guadagna meno e/o non guadagna perché non trova lavoro.

http://www.agi.it/economia/2016/11/08/news/a_famiglie_medio-ricche_la_met_della_spesa_del_bonus_da_80_euro-1234975/

Restano, quindi, evidentemente esclusi dalla pretesa grande manovra redistributiva e di giustizia sociale: a) i 3 milioni di disoccupati ( = persone che non percepiscono reddito) e i cosiddetti incapienti ( = redditi sotto gli 8.174 euro), che non hanno diritto ad alcun bonus; b) il grosso dei lavoratori con redditi fino ai 24mila euro, che percepiscono tutti lo stesso identico bonus, senza alcuna distinzione tra le diverse fasce di reddito.

https://www.informazionefiscale.it/bonus-renzi-80-euro-come-funziona

A questo punto, non dovrebbe essere particolarmente difficile capire perché è assolutamente irragionevole la pretesa natura redistributiva della misura, che lo può essere solo mediante un sofisma puro e semplice che, però, di certo non c’entra nulla con la giustizia sociale.

Tecnicamente se vuoi attuare una redistribuzione del carico fiscale all’insegna della giustizia sociale (e in perfetta coerenza con gli artt. 2, 3 e 53 Cost.), abbassi le tasse sulle linee medio basse e le alzi su quelle alte.

Ma non è questa la misura realizzata: gli 80 euro, come si è visto, interessano sostanzialmente il ceto medio (come credito d’imposta) e funzionano in concreto con una premialità che predilige quelli che guadagnano di più anche nelle fasce di reddito interessate dal provvedimento.

https://www.senato.it/1024

Se vuoi aiutare il ceto medio in una manovra redistributiva e di giustizia sociale, lo dovresti fare in maniera tale da garantire benefici crescenti al decrescere del reddito per tutti: chi più si impoverisce più gode del sostegno pubblico (= il sostegno sociale parte dalla mediana ma va comunque, progressivamente, in misura maggiore ai più poveri).

L’Istat, invece, come si è visto, rileva che:

Metà della spesa per il bonus da 80 euro va a favore di famiglie con reddito complessivo medio-alto, solo un terzo va a nuclei più poveri.

E se perdi il lavoro ( = la fonte di reddito), secondo il modello di giustizia sociale propagandato dal PD di Renzi, non devi nemmeno poter contare su uno strumento di sicurezza sociale quale può essere un reddito garantito.

Ma questa è un’altra triste storia

p.s. L’Italia viene da una lunga stagione di flessibilizzazione e precarizzazione del lavoro. Quello che manca urgentemente è il cosiddetto pilastro della sicurezza sociale che dovrebbe garantire l’equilibrio tra le ragioni delle imprese e quelle dei lavoratori. Flexicurity era la parola chiave, comparsa anche nei nostri vocabolari, per poi essere rapidamente occultata. Il fatto che un intervento che incide per svariati miliardi di euro sul bilancio pubblico alla voce sicurezza sociale non riguardi appunto una misura di reddito minimo di tipo universalistico ( = a protezione di tutti quelli che hanno bisogno di lavorare ma restano fuori, a vario titolo, dal mercato del lavoro), ma tocchi solo una parte della fascia mediana è di per sé fattore di ingiustizia sociale. Il fatto che si arrivi a sostenere convintamente il contrario è appunto un tristissimo segno dei tempi.

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Giuseppe D'Elia
Lavoro, lavori e coscienza di classe

Giornalista e avvocato. Segue da oltre vent’anni le tematiche politiche legate ai diritti dei lavoratori. Musicista nel poco tempo che resta