Il PD di Renzi e l’elefante disoccupazione nella stanza del Jobs Act

L’impatto dell’esplosione dei voucher sulla crescita degli occupati e la conseguente mancanza di corrispondenza sul versante disoccupazione

Giuseppe D'Elia
Lavoro, lavori e coscienza di classe
6 min readAug 3, 2016

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Photo credit: http://espresso.repubblica.it/opinioni/il-colore-dei-soldi/2015/09/29/news/ma-quale-jobs-act-bisogna-investire-1.231843

La settimana scorsa l’Istat ha diffuso i dati mensili sull’andamento del mercato del lavoro relativi a giugno 2016.

Questi dati, con riferimento al secondo trimestre di quest’anno, evidenziano un incremento del numero degli occupati che si riconnette al corrispondente calo degli inattivi, mentre al contempo si registra anche una lieve crescita della disoccupazione.

Segnatamente:

«Nel trimestre aprile-giugno l’aumento degli occupati (+0,6%, pari a +145 mila) è associato ad un calo degli inattivi (-1,3%, pari a -181 mila), mentre i disoccupati sono in lieve aumento (+0,2%, +7 mila)».

Il presidente del consiglio dei ministri, nonché segretario del partito di maggioranza relativa (PD), non si sa bene in quale delle due vesti, commenta così:

Ignora, quindi, il dato trimestrale sul lieve aumento della disoccupazione e si concentra invece sul consolidato aumento del numero di occupati (che, su base annua, in parte pesca tra gli inattivi e in parte anche sul numero di disoccupati).

Qualcosa in più su questo singolare fenomeno la dice il ministro del lavoro Giuliano Poletti.

Queste, nello specifico, le sue dichiarazioni:

«Vorrei esprimere soddisfazione per questi risultati. Siamo a 600mila occupati in più da quando siamo al governo. Disoccupazione in aumento? È un segnale paradossalmente positivo, è aumentata la disoccupazione ma sono saliti molti di più quelli che prima non cercavano lavoro e adesso lo stanno facendo».

A questo punto, per provare a capire qualcosa di più di questo giochino comunicativo che va avanti da più di un anno, occorre fare un po’ di chiarezza sui termini della questione.

Innanzi tutto bisogna capire bene che i 600mila nuovi occupati, che la comunicazione del PD esalta, non vanno a incidere in maniera significativa sul versante della disoccupazione.

Esattamente i dati sono questi:

Istat. Occupati e disoccupati -Serie storiche. Tab. 2

Com’è evidente, i circa 3,2 milioni di disoccupati di febbraio 2014 oggi sono diminuiti, ma stiamo parlando di un dato che è leggermente inferiore a quota 3 milioni.

Certo, come dice Renzi, ci sono quasi 300mila disoccupati — 286 mila, per l’esattezza — che oggi lavorano e a febbraio 2014 non riuscivano a trovare lavoro. Ma è del tutto evidente che sono molti di più quelli che oggi non riescono a trovare lavoro, esattamente come non ci riuscivano a febbraio 2014: in un rapporto di circa uno a dieci, tra l’altro.

Ma il dato qui evidenziato mostra anche che un po’ più della metà dei 600mila nuovi occupati sono, in realtà, inattivi che in quest’ultimo anno e mezzo hanno avuto modo di lavorare. Anche solo per un’ora alla settimana, però. E su questo aspetto della vicenda bisognerà, poi, ritornare più in dettaglio.

Quello che, però, emerge con chiarezza, già a questo punto della nostra riflessione, è che tutti quelli che riportano in maniera acritica il dato dei 600mila nuovi occupati, di fatto, scelgono di amplificare un’informazione che è equivoca e, soprattutto, in questo momento, fuorviante, essendosi registrata, da ultimo, su base trimestrale, una (seppur lieve) ripresa della crescita del numero complessivo dei disoccupati, in un quadro complessivo dove la disoccupazione resta sostanzialmente bloccata intorno al muro dei 3 milioni (che è circa il doppio del livello che si registrava prima della crisi del 2007-2008).

Istat. Occupati e disoccupati -Serie storiche. Tab. 2

In particolare, è interessante notare come, a gennaio 2007, il numero degli occupati (22,745 milioni) risulti sostanzialmente coincidente col numero degli occupati del dato ultimo registrato nel 2016 (22,781 milioni): sono quasi raddoppiati, invece, i disoccupati (1,503 vs 2,983 milioni), in un quadro in cui la forza lavoro — l’insieme dei disoccupati e degli occupati — è cresciuta di circa un milione e mezzo di unità (24,248 vs 25,764 milioni).

Dunque gli effetti della crisi nel mercato del lavoro italiano non solo hanno spinto una quota molto rilevante degli inattivi a cercare un’occupazione, ma — ed è questo il fenomeno maggiormente rilevante — non c’è stata una crescita complessiva del numero degli occupati, essendo invece accaduto l’esatto contrario, con in aggiunta un peggioramento diffuso della qualità dell’occupazione, se si considera che le varie riforme del lavoro che si sono susseguite negli ultimi anni, tendenzialmente, hanno continuato a inseguire la chimera della flessibilità, nell’illusione che una riduzione dei diritti e delle garanzie dei lavoratori potesse rilanciare la domanda di lavoro da parte delle imprese, anche in assenza di una crescita stabile e consistente a livello macroeconomico.

Giova qui ricordare che nel novero statistico degli occupati rientrano anche i lavoratori ‘occasionali’ senza contratto, retribuiti con i buoni lavoro o voucher.

www.istat.it/it/files/2016/07/CS_Occupati-e-disoccupati_giugno_2016.pdf

Questa tipologia di lavoro, in origine marginale, con la crisi economica ha visto un’improvvisa crescita che ha fatto registrare una vera e propria esplosione a seguito degli interventi normativi che, a partire dal 2012, ne hanno promosso la diffusione, estendendo in sostanza il lavoro a voucher ad ogni tipo di attività, con l’unico limite dell’ammontare annuo complessivo della cifra erogata (da ultimo il processo di agevolazione normativa si è concluso con «l’innalzamento da 5000 a 7000 euro del compenso massimo che il prestatore di lavoro accessorio può percepire su base annua dalla totalità dei suoi committenti» mentre «rimane invece fermo a 2000 euro il compenso massimo percepibile da parte di ciascun singolo committente»).

I dati registrati dall’INPS sono chiarissimi in proposito:

INPS_rapporto_2016.pdf

Piaccia o non piaccia a Renzi, Poletti e a tutti i turbo-comunicatori del PD renziano, tesserati e non, è chiaro che, se oggi in Italia ci sono 1,38 milioni di lavoratori retribuiti con i voucher e anche una sola ora di lavoro retribuito consente di registrare un nuovo occupato, è più che verosimile considerare che l’aumento statistico degli occupati che non impatta sul monte disoccupazione — dato sceso di poco sotto quota 3 milioni, ma che purtroppo non riesce a discostarsi più di tanto da questa cifra — sia appunto riferibile a questa tipologia di lavoro tutt’altro che stabile.

E non va, da ultimo, dimenticato che le riforme del lavoro che il governo Renzi ha messo in campo a partire dal 2014 non solo hanno un tratto normativo che rende complessivamente più precaria la condizione del lavoratore italiano — in estrema sintesi: il c.d. decreto Poletti ha esteso la possibilità di assumere con contratti a termine senza causale giustificativa e il Jobs Act in senso stretto ha ulteriormente ridotto l’operatività dell’art. 18 St. Lav., cancellando quasi del tutto la possibilità di ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro a seguito di un licenziamento ingiusto — ma hanno avuto anche un costo abbastanza elevato, stante la decontribuzione triennale che si è garantita alle imprese che decidessero di assumere a partire dal 2015 con il nuovo contratto con l’art. 18 depotenziato (quello che con una formula abbastanza equivoca si è definito comunemente come contratto a tutele crescenti).

Le stime del costo complessivo della decontribuzione sono variabili:

Costo della decontribuzione nei diversi scenari relativi a diverse ipotesi sulla durata dei contratti - Tabella 3

Il dato della stima più prudente prevede un costo triennale netto di poco meno di 11 miliardi di euro per un intervento che, nel 2015, ha impattato sulla disoccupazione per 159mila unità (3,134 vs 2,975 milioni): è come se il governo Renzi avesse speso (almeno) 68mila euro per ciascuna di queste unità, nella corrispondente riduzione del monte disoccupazione.

Ma, al di là del costo effettivo dell’operazione, resta l’elefante disoccupazione nella stanza del Jobs Act, grosso e coriaceo come quella quota 3 milioni di disoccupati dalla quale non ci si riesce a discostare più di tanto.

Il tutto, ovviamente, in un quadro normativo generale che, alla luce di quanto si è visto fin qui, purtroppo, risulta precario come non mai.

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Giuseppe D'Elia
Lavoro, lavori e coscienza di classe

Giornalista e avvocato. Segue da oltre vent’anni le tematiche politiche legate ai diritti dei lavoratori. Musicista nel poco tempo che resta