Ma Renzi, Hollande e Merkel lo hanno mai letto il manifesto di Ventotene?

Giuseppe D'Elia
Lavoro, lavori e coscienza di classe
16 min readAug 23, 2016

Le immagini che hanno riempito le prime pagine dei giornali e che sono andate in onda in tutti i TG hanno mostrato al mondo intero i tre leader dell’Europa che vorrebbe ripartire da Ventotene, con l’isola ferma lì, in bella mostra sullo sfondo, nello splendore di una bella giornata estiva, dietro ad un palco montato su una portaerei, vero centro nevralgico del vertice tra capi di governo e dei suoi contenuti.

Hollande, Renzi e Merkel sulla portaerei Garibaldi, con l’isola di Ventotene sullo sfondo (Ansa)

Se è vero che «il mezzo è il messaggio», forse, non è per nulla casuale, insomma, né il fatto che l’isola rimanga sullo sfondo, né il formale e fugace omaggio alla tomba di Altiero Spinelli, seguito, poi, giusto da qualche breve e assai neutro cenno al suo lavoro, come vedremo.

L’omaggio a Spinelli, fatto su Facebook dal presidente della Toscana, Enrico Rossi

I contenuti del vertice, dicevamo. Leggiamoli.

RENZI — “Vorrei spendere una parola sul senso dell’incontro qui. Dietro di noi l’isola di Ventotene, alla destra l’isola di Santo Stefano, luoghi simbolici della grandezza dell’Europa. Siamo abituati ai palazzi delle istituzioni di Bruxelles, ma anche questa è Europa” ha detto Renzi, aprendo la conferenza stampa congiunta. Il premier ha poi ricordato i luoghi dove è nato ‘’l’ideale più grande’’, i luoghi che videro Spinelli e i suoi compagni esiliati “ma capaci di scrivere il manifesto per gli Stati uniti d’Europa”.

“Molti pensavano che dopo la Brexit, l’Europa fosse finita. Non è così. Rispettiamo la scelta dei cittadini britannici, ma vogliamo scrivere una pagina di futuro”, ha continuato Renzi. “È il momento di gettar via vecchi fardelli e tenersi pronti al nuovo”, ha continuato il premier citando Altiero Spinelli.

“Noi pensiamo — ha continuato — che l’Europa sia la soluzione ai nostri problemi, per i populisti è la madre di tutti i mali. Non è così. Quel che vorremmo dire è che l’Europa è la più grande opportunità per le nuove generazioni, non ci lasciamo scoraggiare dalla Brexit. O dall’emergenza immigrazione”.

Il presidente del Consiglio ha poi toccato il tema dei migranti: “Nell’area del Mediterraneo — ha spiegato Renzi — a oggi sono arrivati sulle coste italiane 102mila migranti, lo scorso anno al 20 di agosto erano stati 105mila. Credo che l’Unione europea possa fare meglio e di più per bloccare le partenze e aiutare chi ha davvero bisogno”.

La portaerei Garibaldi (Adnkronos)

HOLLANDE — “Abbiamo voluto riunirci qui per dare un nuovo impulso” all’Europa dopo la Brexit, ha sottolineato il presidente francese Hollande. “Chi si discosta dall’ideale dell’Europa “non rende un servizio alla Francia”, ha continuato Hollande sottolineando l’impegno di fare dell’Europa una potenza politica rivolta verso l’esterno, una “potenza politica al servizio della pace”.

“È grazie a uomini come Altiero Spinelli” che dopo la guerra è nata l’idea dell’Europa unita, ha detto. Spinelli, ha proseguito Hollande, ha avuto anche una “fortissima intuizione”, immaginando che affinché l’Europa unita potesse veramente essere accettata dai popoli “dovesse rispondere alle esigenze di prosperità e di sicurezza”. L’idea di una difesa europea, ha ricordato Hollande, all’epoca “non ebbe grande fortuna”, ma oggi assume un aspetto “cruciale” a causa delle guerre e del terrorismo. “L’Europa — ha detto il presidente francese — deve garantire meglio la propria difesa e la Francia farà la propria parte”.

Hollande ha quindi evocato la necessità di un “maggiore coordinamento” nella lotta al terrorismo “all’interno dello Spazio Schengen” e di un “maggiore controllo su alcuni canali della propaganda jihadista”. Inoltre, ha aggiunto, “vogliamo un maggiore coordinamento anche a livello di difesa”.

La sicurezza, ha proseguito Hollande, si garantisce anche attraverso “meccanismi di finanziamento” e politiche di sviluppo nei confronti dei Paesi interessati dai fenomeni migratori o soggetti al rischio di radicalizzazione jihadista, “soprattutto i Paesi del Sahel”.

MERKEL — “Onorando le radici dell’Europa davanti alla tomba di Altiero Spinelli abbiamo detto chiaramente da dove viene Europa, è venuta da momenti bui ed è diventata realtà” ha affermato poi la cancelliera tedesca Merkel, sottolineando l’importanza del compito “di garantire un’Europa sicura” ma anche di vivere secondo “i nostri principi”, di offrire “accoglienza”, ma anche di “difendere i confini” e “garantire la libera circolazione all’interno dell’Europa”.

Renzi ha realizzato riforme “coraggiose” che hanno creato le basi per un’Italia “sostenibile” e che “possa avere un futuro”, ha poi sottolineato la cancelliera tedesca. “Vogliamo che Italia, Francia e Germania possano crescere per creare posti di lavoro”, ha aggiunto.

“Sono convinta — ha poi affermando parlando di migranti — che la cooperazione con la Turchia in tema di immigrazione sia una cosa giusta”.

Supportato da un ammiraglio della Marina Militare, il presidente del Consiglio Matteo Renzi, subito dopo la conferenza stampa, ha illustrato al presidente francese Francois Hollande e alla cancelliera tedesca Angela Merkel le attività della portaerei Garibaldi nell’ambito della operazione Sophia nel mar Mediterraneo. Lo stesso Renzi, nel corso della conferenza stampa, ha rivendicato in più riprese la scelta di salvare vite umane, ringraziando le forze militari impegnate in tal senso.

Tutti i leader, dunque, hanno fatto, almeno una volta, il nome di Spinelli.

Renzi, in particolare, ne cita espressamente il lavoro, utilizzando una sua breve frase, tratta dalle conclusioni del manifesto scritto da quest’ultimo, ma firmato anche da Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, nell’agosto del 1941, in quell’isola di Ventotene nella quel i tre antifascisti erano stati confinati dal regime.

Ma le parole chiave di Renzi, Hollande e Merkel sono principalmente queste: sicurezza, confini, terrorismo jihadista, contenimento delle migrazioni. Con uno scontato richiamo agli Stati Uniti d’Europa — progetto da rilanciare e che, a loro dire, non verrà indebolito dall’abbandono britannico — senza che, però, vi sia nulla, nei discorsi ufficiali di questo vertice, che risulti minimamente ricollegabile a quel respiro internazionalista, socialista e rivoluzionario che si poteva (e si può ancora oggi) leggere nel testo del 1941.

Il manifesto di Ventotene, “Per un’Europa libera e unita”, in realtà, è uno scritto relativamente breve e di agevole lettura.

Ne offriamo qui un’ampia sintesi, giusto per rimarcare la differenza sul piano contenutistico tra l’Europa reale e quello che invece avrebbe potuto essere (e non si sa se mai sarà) una federazione europea di impianto marcatamente progressista ed egalitario.

I - LA CRISI DELLA CIVILTÀ MODERNA

Nella prima parte, storicamente, si riflette sul passaggio da quel nazionalismo «potente lievito di progresso», che «ha fatto superare i meschini campanilismi in un senso di più vasta solidarietà contro l’oppressione degli stranieri dominatori», al nazionalismo imperialista che è poi sfociato, inevitabilmente, nel totalitarismo nazi-fascista.

«Questa volontà di dominio non potrebbe acquietarsi che nell’egemonia dello stato più forte su tutti gli altri asserviti.

In conseguenza lo stato, da tutelatore della libertà dei cittadini, si è trasformato in padrone di sudditi, tenuti a servirlo con tutte le facoltà per rendere massima l’efficienza bellica. Anche nei periodi di pace, considerati come soste per la preparazione alle inevitabili guerre successive, la volontà dei ceti militari predomina ormai, in molti paesi, su quella dei ceti civili, rendendo sempre più difficile il funzionamento di ordinamenti politici liberi; la scuola, la scienza, la produzione, l’organismo amministrativo sono principalmente diretti ad aumentare il potenziale bellico; le madri vengono considerate come fattrici di soldati, ed in conseguenza premiate con gli stessi criteri con i quali alle mostre si premiano le bestie prolifiche; i bambini vengono educati fin dalla più tenera età al mestiere delle armi e dell’odio per gli stranieri; le libertà individuali si riducono a nulla dal momento che tutti sono militarizzati e continuamente chiamati a prestar servizio militare; le guerre a ripetizione costringono ad abbandonare la famiglia, l’impiego, gli averi ed a sacrificare la vita stessa per obiettivi di cui nessuno capisce veramente il valore, ed in poche giornate distruggono i risultati di decenni di sforzi compiuti per aumentare il benessere collettivo».

Nella ricostruzione di questa genesi del totalitarismo si individua, tra l’altro, molto esplicitamente il ruolo svolto dalla classe dominante e dalla sua paura di perdere i privilegi precedentemente acquisiti, in una prospettiva analitica che è chiaramente marxiana:

«ceti privilegiati che avevano consentito all’uguaglianza dei diritti politici non potevano ammettere che le classi diseredate se ne valessero per cercare di realizzare quell’uguaglianza di fatto che avrebbe dato a tali diritti un contenuto concreto di effettiva libertà. Quando, dopo la fine della prima guerra mondiale, la minaccia divenne troppo forte, fu naturale che tali ceti applaudissero calorosamente ed appoggiassero le instaurazioni delle dittature che toglievano le armi legali di mano ai loro avversari».

In particolare, si sottolinea come nel totalitarismo si riaffermi un dogmatismo autoritario che non ammette alcuna possibilità di critica e prova ad ammantare di valenza scientifica anche dottrine discutibilissime come quella sulle razze e sulla pretesa superiorità di una su tutte le altre:

«Nuovi dogmi da accettare per fede o da accettare ipocritamente si stanno accampando in tutte le scienze. Quantunque nessuno sappia che cosa sia una razza e le più elementari nozioni storiche ne facciano risultare l’assurdità, si esige dai fisiologi di credere di mostrare e convincere che si appartiene ad una razza eletta, solo perché l’imperialismo ha bisogno di questo mito per esaltare nelle masse l’odio e l’orgoglio. I più evidenti concetti della scienza economica debbono essere considerati anatema per presentare la politica autarchica, gli scambi bilanciati e gli altri ferravecchi del mercantilismo, come straordinarie scoperte dei nostri tempi. A causa della interdipendenza economica di tutte le parti del mondo, spazio vitale per ogni popolo che voglia conservare il livello di vita corrispondente alla civiltà moderna, è tutto il globo; ma si è creata la pseudo scienza della geopolitica che vuol dimostrare la consistenza della teoria degli spazi vitali, per dare veste teorica alla volontà di sopraffazione dell’imperialismo. La storia viene falsificata nei suoi dati essenziali, nell’interesse della classe governante. Le biblioteche e le librerie vengono purificate di tutte le opere non considerate ortodosse. Le tenebre dell’oscurantismo di nuovo minacciano di soffocare lo spirito umano».

II - I COMPITI DEL DOPO GUERRA — L’UNITÀ EUROPEA

Una volta chiarito perché le forze della reazione andassero sconfitte e non fosse possibile alcuna tregua o compromesso con loro, la critica del nazionalismo viene sviluppata in chiave internazionalista, proponendo la federazione europea come primo embrione di una futura e auspicabile comunità federata su base planetaria.

Tra le forze della reazione e della conservazione, si indicano in particolare le varie dinastie monarchiche, invero alquanto indebolite dal conflitto, con una chiara ed esplicita preferenza, quindi, per un ordinamento europeo di natura repubblicana:

«Va tenuto conto, infatti, che le dinastie, considerando i diversi paesi come tradizionale appannaggio proprio, rappresentavano, con i poderosi interessi di cui erano l’appoggio, un serio ostacolo alla organizzazione razionale degli Stati Uniti d’Europa, la quale non può poggiare che sulle costituzioni repubblicane di tutti i paesi federati.

E quando, superando l’orizzonte del vecchio continente, si abbracci in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità, bisogna pur riconoscere che la federazione europea è l’unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo.

La linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai, non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme del potere politico nazionale, e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale».

III - I COMPITI DEL DOPO GUERRA — LA RIFORMA DELLA SOCIETÀ

Questo approccio internazionalista — di cui la federazione degli Stati Uniti d’Europa rappresentava solo il primo passo di un lungo cammino che avrebbe dovuto portare all’unità di tutti i Paesi del globo, come si è visto — è considerato come la premessa necessaria per un futuro di sviluppo e di progresso sociale, in cui il riformismo socialista è visto indiscutibilmente come strumento per la realizzazione di quella eguaglianza sostanziale che è traduzione in fatti di quegli ideali egalitari già dichiarati nelle carte costituzionali di diverse nazioni europee, senza però mai essere concretamente attuate.

«Un’Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna, di cui l’era totalitaria rappresenta un arresto. La fine di questa era sarà riprendere immediatamente in pieno il processo storico contro la disuguaglianza ed i privilegi sociali. Tutte le vecchie istituzioni conservatrici che ne impedivano l’attuazione saranno crollanti o crollate, e questa loro crisi dovrà essere sfruttata con coraggio e decisione. La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita.

La bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere in tale direzione non può essere però il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione deve essere in linea di principio abolita, e tollerata solo in linea provvisoria, quando non se ne possa proprio fare a meno. La statizzazione generale dell’economia è stata la prima forma utopistica in cui le classi operaie si sono rappresentate la loro liberazione dal giogo capitalista, ma, una volta realizzata a pieno, non porta allo scopo sognato, bensì alla costituzione di un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori dell’economia, come è avvenuto in Russia.

Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della collettivizzazione generale non è stato che una affrettata ed erronea deduzione, è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma — come avviene per forze naturali — essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime. Le gigantesche forze di progresso, che scaturiscono dall’interesse individuale, non vanno spente nella morta gora della pratica “routinière” per trovarsi poi di fronte all’insolubile problema di resuscitare lo spirito d’iniziativa con le differenziazioni dei salari, e con gli altri provvedimenti del genere dello stachenovismo dell’U.R.S.S., col solo risultato di uno sgobbamento più diligente. Quelle forze vanno invece esaltate ed estese offrendo loro una maggiore possibilità di sviluppo ed impiego, e contemporaneamente vanno perfezionati e consolidati gli argini che le convogliano verso gli obiettivi di maggiore utilità per tutta la collettività.

La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio».

Qui, siamo chiaramente di fronte ad un socialismo europeo che è ben consapevole dei limiti del modello sovietico e che, tuttavia, non svuota di senso la parola e l’obiettivo programmatico, come purtroppo è accaduto con quel tipo di socialismo riformista che si è affermato in Europa dal 1990 a tutt’oggi , dopo il crollo e la dissoluzione di tutto il blocco del socialismo reale che gravitava attorno all’URSS.

Questo progetto di Europa federale e socialista — che cerca di non sacrificare troppo gli elementi positivi che possono svilupparsi partendo dall’iniziativa individuale, senza però ripiegare sull’esaltazione dell’individualismo, della concorrenza e di tutti i principi del liberalismo economico classico — emerge con chiarezza nell’individuazione dei punti programmatici di questo grande progetto di emancipazione delle masse:

«a. non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un’attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei consumatori (ad esempio le industrie elettriche); le imprese che si vogliono mantenere in vita per ragioni di interesse collettivo, ma che per reggersi hanno bisogno di dazi protettivi, sussidi, ordinazioni di favore ecc. (l’esempio più notevole di questo tipo di industrie sono in Italia ora le industrie siderurgiche); e le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l’importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato imponendo la politica per loro più vantaggiosa (es. industrie minerarie, grandi istituti bancari, industrie degli armamenti). È questo il campo in cui si dovrà procedere senz’altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti;

b. le caratteristiche che hanno avuto in passato il diritto di proprietà e il diritto di successione hanno permesso di accumulare nelle mani di pochi privilegiati ricchezze che converrà distribuire, durante una crisi rivoluzionaria in senso egualitario, per eliminare i ceti parassitari e per dare ai lavoratori gli strumenti di produzione di cui abbisognano, onde migliorare le condizioni economiche e far loro raggiungere una maggiore indipendenza di vita. Pensiamo cioè ad una riforma agraria che, passando la terra a chi coltiva, aumenti enormemente il numero dei proprietari, e ad una riforma industriale che estenda la proprietà dei lavoratori, nei settori non statizzati, con le gestioni cooperative, l’azionariato operaio ecc.;

c. i giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre al minimo le distanze fra le posizioni di partenza nella lotta per la vita. In particolare la scuola pubblica dovrà dare la possibilità effettiva di perseguire gli studi fino ai gradi superiori ai più idonei, invece che ai più ricchi; e dovrà preparare, in ogni branca di studi per l’avviamento ai diversi mestieri e alla diverse attività liberali e scientifiche, un numero di individui corrispondente alla domanda del mercato, in modo che le rimunerazioni medie risultino poi pressappoco eguali, per tutte le categorie professionali, qualunque possano essere le divergenze tra le rimunerazioni nell’interno di ciascuna categoria, a seconda delle diverse capacità individuali;

d. la potenzialità quasi senza limiti della produzione in massa dei generi di prima necessità con la tecnica moderna permette ormai di assicurare a tutti, con un costo sociale relativamente piccolo, il vitto, l’alloggio e il vestiario col minimo di conforto necessario per conservare la dignità umana. La solidarietà sociale verso coloro che riescono soccombenti nella lotta economica dovrà perciò manifestarsi non con le forme caritative, sempre avvilenti, e produttrici degli stessi mali alle cui conseguenze cercano di riparare, ma con una serie di provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare, un tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e al risparmio. Così nessuno sarà più costretto dalla miseria ad accettare contratti di lavoro iugulatori».

Nazionalizzazione di settori strategici dell’economia; redistribuzione in senso egalitario delle proprietà accumulate nelle generazioni per diritto ereditario; istruzione pubblica che permetta anche ai più poveri di accedere ai saperi e alle professionalità più qualificate, in un sistema che coordina e indirizza le attività di studio e di formazione professionale in maniera tale da ridurre gli squilibri sul piano retributivo; reddito di base incondizionato per sconfiggere il ricatto occupazionale e garantire comunque a tutti i cittadini europei un’esistenza libera e dignitosa.

Come è evidente, di tutto questo impianto di riforme — absit iniuria verbis — genuinamente “rivoluzionarie”, mirando esse alla ricerca del migliore equilibrio tra libertà ed eguaglianza, non solo non vi è traccia significativa nella costruzione dell’Europa comunitaria, ma addirittura sono letteralmente sparite persino dai programmi di governo di quei partiti socialisti di cui Renzi e Hollande sono, senz’altro, i due principali esponenti nell’Unione Europea post Brexit.

Ed è questo il più clamoroso disconoscimento del lavoro di Spinelli e dei suoi compagni. Un disconoscimento ed una ipocrisia di fondo di questa Europa reale che, ora, dovrebbero essere chiari a tutti, nota la politica comunitaria all’insegna di un intervento pubblico minimo e tutt’altro che perequativo — politica acuitasi poi con la crisi economica e la stagione dell’austerità — e letti in particolare i temi specifici del vertice a tre dello scorso 22 agosto.

IV - LA SITUAZIONE RIVOLUZIONARIA: VECCHIE E NUOVE CORRENTI

La parte conclusiva del manifesto è probabilmente quella più debole, sul piano dell’elaborazione concettuale. Qui la critica del processo rivoluzionario sovietico si svolge comunque mantenendosi nel solco della teoria di una fase transitoria di dittatura rivoluzionaria popolare per evitare che le forze della reazione si possano riorganizzare, minacciando così di rovesciare l’ordine nuovo che si è finalmente venuto a costituire.

Si confida, in sostanza, nella possibilità di realizzare l’unità dei ceti lavoratori e di quelli intellettuali in un partito rivoluzionario che sia in grado, così, di evitare che la dittatura da transitoria si trasformi in dispotismo senza vie d’uscita.

«Qualsiasi movimento che fallisca nel compito di alleanza di queste forze è condannato alla sterilità, poiché, se è movimento di soli intellettuali, sarà privo di quella forza di massa necessaria per travolgere le resistenze reazionarie, sarà diffidente e diffidato rispetto alla classe operaia; ed anche se animato da sentimenti democratici, sarà proclive a scivolare, di fronte alle difficoltà, sul terreno della reazione di tutte le altre classi contro gli operai, cioè verso una restaurazione.

Se poggerà solo sulla classe operaia sarà privo di quella chiarezza di pensiero che non può venire che dagli intellettuali, e che è necessaria per ben distinguere i nuovi compiti e le nuove vie: rimarrà prigioniero del vecchio classismo, vedrà nemici dappertutto, e sdrucciolerà sulla dottrinaria soluzione comunista.

Durante la crisi rivoluzionaria spetta a questo partito organizzare e dirigere le forze progressiste, utilizzando tutti quegli organi popolari che si formano spontaneamente come crogioli ardenti in cui vanno a mischiarsi le forze rivoluzionarie, non per emettere plebisciti, ma in attesa di essere guidate.

Esso attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto, non da una preventiva consacrazione da parte della ancora inesistente volontà popolare, ma nella sua coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle nuove masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato e attorno ad esso la nuova democrazia.

Non è da temere che un tale regime rivoluzionario debba necessariamente sbocciare in un nuovo dispotismo. Vi sbocca se è venuto modellando un tipo di società servile. Ma se il partito rivoluzionario andrà creando con polso fermo fin dai primissimi passi le condizioni per una vita libera, in cui tutti i cittadini possano veramente partecipare alla vita dello stato, la sua evoluzione sarà, anche se attraverso eventuali secondarie crisi politiche, nel senso di una progressiva comprensione ed accettazione da parte di tutti del nuovo ordine, e perciò nel senso di una crescente possibilità di funzionamento di istituzioni politiche libere.

Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie tra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell’attuale crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l’eredità di tutti i movimenti di elevazione dell’umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo.

La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà».

Nondimeno, per quanto si possa legittimamente dubitare che questo schema di dittatura transitoria del partito rivoluzionario possa riprodurre esiti diversi da quelli che si sono avuti nel blocco sovietico, come abbiamo visto l’Europa di oggi non ha solo disconosciuto il metodo rivoluzionario proposto conclusivamente nel manifesto di Ventotene, ma anche tutta la parte di merito, con i suoi contenuti programmatici di socialismo egalitario.

Ed è da lì, quindi, che si dovrà ripartire, prima o poi, se si vuole che questa costruzione europea abbia anche un’anima e un diffuso apprezzamento popolare da parte delle masse dei suoi cittadini.

Libertà, eguaglianza, internazionalismo e pacifismo: sono questi i valori europei da attuare e promuovere nel mondo.

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Giuseppe D'Elia
Lavoro, lavori e coscienza di classe

Giornalista e avvocato. Segue da oltre vent’anni le tematiche politiche legate ai diritti dei lavoratori. Musicista nel poco tempo che resta