Sel, la finzione dei due diversi PD e la contraddizione dell’avversario che è anche alleato (*)

Giuseppe D'Elia
Lavoro, lavori e coscienza di classe
8 min readOct 30, 2015
https://urbanpost.it/nicola-fratoianni-primo-segretario-sinistra-italiana/

Nei giorni scorsi Sel ha prodotto un documento politico che è stato approvato dall’Assemblea nazionale a larga maggioranza (nessun contrario; 2 astenuti).

Questo documento si fonda su una contraddizione di fondo che può essere evidenziata al meglio attraverso un raffronto diretto tra quattro passaggi chiave, che risultano fondamentali per una sua corretta interpretazione:

[1] «come già deciso nella assemblea di luglio, impegniamo Sel ad ogni livello nella costruzione di un soggetto politico che abbia l’ambizione di presentare al Paese una proposta di governo autonoma, e per questo alternativa e competitiva a quella di Matteo Renzi».

[2] «Oggi, sul piano politico, un’alleanza col Pd di Matteo Renzi non è neppure immaginabile, perché sarebbe la sconfessione delle nostre battaglie e proposte».

[3] «Vogliamo evitare gli errori del passato, il minoritarismo, il meccanicismo e la riproposizione di una equazione che accompagna, da una decina di anni, i fallimentari tentativi di riaggregazione a sinistra, quella fondata sulla idea di costruire un progetto politico per contrarietà, a partire da vicinanze o lontananze dal PD, come se, per battere la vocazione maggioritaria bastasse enunciare una sorta di predisposizione minoritaria. E vogliamo altresì batterci contro le derive opportunistiche e trasformistiche di quel governismo che non è cultura di governo ma solo ansia, spesso scomposta, di potere».

[4] «Il voto in molte città tra le quali alcune delle più grandi e importanti del Paese rappresenta un passaggio di particolare importanza. In quelle elezioni si deciderà della vita delle città e di chi le abita ma contemporaneamente un voto di queste dimensioni assumerà il senso di un voto sulle politiche di governo della crisi e sulle loro conseguenze locali e nazionali. Per noi non si tratta di stabilire regole astratte che da Roma calino sui territori in modo automatico e meccanicistico. Consideriamo necessario difendere e lavorare per dare continuità a quelle esperienze che nel governo concreto delle città hanno saputo guadagnare le caratteristiche di laboratori politici e amministrativi. Proprio per questo però è necessario che, ovunque non si verifichino queste condizioni, l’impegno di Sel sia rivolto alla costruzione di percorsi innovativi e autonomi che, a partire da qualificate proposte di governo locale e dalla definizione partecipata di percorsi plurali, mettano in campo un punto di vista alternativo e competitivo».

Come è evidente, Sel ha scelto di creare una finzione narrativa: da un lato, ci sono Renzi, le politiche del governo Renzi e il PD di Renzi a cui fare ferma opposizione; dall’altro, contemporaneamente, c’è la necessità di dare continuità alle esperienze di governo locali col PD.

«Il PD non è il nostro destino: il PD è, dove è possibile, un alleato… Dove non è possibile, un avversario», chiosa il leader storico Nichi Vendola.

Si finge insomma che tutto quello che è successo nel PD, da quando Matteo Renzi è diventato segretario del partito e poi capo del governo, non sia ascrivibile al PD in quanto tale. Si finge insomma che esista un PD buono col quale sia possibile lavorare bene sui territori e, al tempo stesso un PD responsabile di politiche regressive tali da sconfessare le battaglie storiche e le proposte politiche della sinistra.

Il carattere di questa finzione, a ben vedere, emerge nelle pieghe stesse del documento, esplicitamente, laddove si fa testuale riferimento alle «conseguenze locali» delle «politiche di governo della crisi», ma anche in maniera implicita, se solo si considera quanto peso si dà (giustamente) alla necessità di costruire un coordinamento europeo delle forze che si oppongono ai dogmi dell’austerità e del mercato come la misura di tutte le cose.

Quando si cita «l’orizzonte europeo» nel quale occorre «continuare a battersi», poiché è «l’unico che può determinare una qualche inversione di tendenza di lunga durata», si ha ben presente l’esperienza drammatica del governo di Syriza: l’imposizione delle ragioni dei creditori (e dei loro dogmi politici) sul programma di cambiamento con cui Tsipras aveva vinto le elezioni, prima di essere letteralmente costretto a firmare un nuovo memorandum all’insegna dell’austerità.

Il fatto che, nonostante tutto, Tsipras riesca, subito dopo, a rivincere le elezioni potrebbe essere positivo e potrebbe anche portare a una rinegoziazione degli impegni presi, ma questo può avvenire solo in un contesto politico europeo in cui la sinistra non resti al governo solamente in un Paese, costretto quindi a lottare da solo contro tutti gli altri.

«È necessario rimettere radicalmente in discussione i trattati che hanno condannato l’Europa ad un puro spazio mercantile e contabile, incapace di uscire dalla crisi con politiche espansive e redistributive».

Un passaggio molto condivisibile del documento. Ma per fare questo occorre appunto invertire i rapporti di forza politici e sociali rispetto al contesto attuale.

E, per quel che più direttamente interessa il ragionamento che stavamo cercando di sviluppare, così come le politiche comunitarie possono condizionare e di fatto condizionano le politiche di governo nazionale, allo stesso modo, e a cascata, questo quadro normativo condiziona e limita le politiche nazionali e, conseguentemente, il quadro normativo nazionale condiziona e limita quello locale.

In altre parole, in questa fase storica, è necessario che in tutti gli ambiti, da quello territoriale a quello sovranazionale, passando per i livelli di governo intermedio, ci si coordini e si lavori con tutti i soggetti e le realtà politiche e sociali che siano realmente interessati a opporsi alle politiche recessive e regressive che sono attualmente dominanti: è necessario, insomma, che, attraverso una coerente opposizione a queste politiche, si elaborino proposte di governo credibili e concretamente attuabili.

E allora, per essere ancora più espliciti: con quale credibilità, nelle varie città in cui si governa col PD locale, si può poi andare a chiedere un voto per opporsi al PD nazionale? Idem per il versante europeo: il PD, con tutto il rinnegato socialismo europeo delle larghe intese, è protagonista attivo e convinto di quelle politiche che la sinistra europea si propone, invece, di contrastare a ogni livello. Il PD tutto, non il PD di Renzi.

Renzi non è un usurpatore: è il segretario eletto del Partito Democratico. È il capo di un governo nazionale in cui il PD è il partito di maggioranza e gode tuttora di vasto consenso e del fermo appoggio del proprio elettorato. Ha una opposizione interna, certo, ma come la tratta? Cosa concede il PD alla sua opposizione e alle ragioni politiche della sinistra? Quali politiche concretamente sta realizzando il PD in questi anni?

La risposta più chiara a queste domande la si legge nello stesso documento di Sel, una volta che si è compreso il carattere della finzione narrativa che qui stiamo denunciando:

«il governo Renzi porta a conclusione un primo imponente processo di controriforme, a partire da quella della scuola, dove l’etichetta ‘buona’ suona come un beffardo ossimoro, in un Paese in cui i processi di dequalificazione degli apparati formativi producono lo scandalo del sistematico definanziamento della ricerca e dell’università; il Job Act, dove l’ultimo presidio di lavoro tutelato trova un crepuscolo lungo tre anni o la recentissima approvazione del DDL Boschi che marginalizza il Senato e nel combinato disposto con l’Italicum fa saltare gli equilibri democratici e affida ogni decisione al premier.

Inoltre l’interruzione da parte di Confindustria delle trattative sul nuovo modello contrattuale sono un vero e proprio invito al governo ad intervenire unilateralmente sulla materia . Tale intervento non solo produrrebbe un taglio drammatico delle retribuzioni, ma renderebbe il ruolo sindacale del tutto irrilevante. Muterebbe la natura del conflitto sociale nel paese fino a renderlo marginale ed ininfluente.

La legge di stabilità,al di là della becera propaganda, non inverte la tendenza alla svalorizzazione del lavoro. Abbiamo il dovere, in sintonia con le organizzazioni sindacali, di promuovere una mobilitazione democratica al fine di provare a mutarne l’indirizzo. Si regalano risorse ingenti ai proprietari di grandi e lussuose abitazioni, ville e castelli e si nega la flessibilità pensionistica necessaria dopo le ingiuste misure della Fornero. Una miseria destinata ai rinnovi contrattuali del pubblico impiego dopo anni di blocco dei salari e nessun investimento pubblico in grado di dare lavoro stabile e qualificato e magari mettere in sicurezza il territorio devastato dalle conseguenze dei mutamenti climatici. Si taglia sulla sanità pubblica e si porta incredibilmente, nel paese con il più alto livello di evasione e corruzione, la possibilità di utilizzo del contante da 1000 a 3000 euro in controtendenza rispetto a tutti i tentativi di contrasto dei fenomeni illegali e malavitosi. Non si sfugge all’odiosa considerazione che si privilegia la rendita immobiliare e finanziaria in danno del lavoro.

Dunque, il nostro giudizio sull’azione del governo Renzi rimane drasticamente negativo».

Tutto vero e condivisibile. Basta solo intendersi sul fatto che il governo Renzi e il governo del PD sono la stessa identica cosa, non due cose differenti.

E, forse, a questo punto sarebbe anche il caso di riflettere a fondo su quanto il rifiuto di una coerente definizione dei rapporti col PD incida e abbia già inciso sul minoritarismo della sinistra tutta, nelle sue divisioni, e della stessa Sel, visto che Sel, oggi, nei sondaggi è quotata al 3–4%: percentuali che, del resto, sono perfettamente in linea con quelle che il partito ha avuto nelle ultime tornate elettorali su scala nazionale (3,13% alle europee 2009; 3,2% alle politiche del 2013).

Una ragione in più per eliminare tutte le acrobazie verbali contraddittorie e offrire agli elettori una proposta politica chiara, precisa e coerente, fondata sulla regola aurea secondo cui è solo passando attraverso una fase di ferma opposizione e di radicamento sociale nei territori e nelle lotte del Paese che si può costruire il consenso necessario per essere un giorno maggioranza di governo.

Sarebbe bastato cancellare pochi passaggi per ottenere questo risultato:

  • Come già deciso nella assemblea di luglio, impegniamo Sel ad ogni livello nella costruzione di un soggetto politico che abbia l’ambizione di presentare al Paese una proposta di governo autonoma, e per questo alternativa e competitiva a quella di Matteo Renzi.
  • Oggi, sul piano politico, un’alleanza col Pd di Matteo Renzi non è neppure immaginabile, perché sarebbe la sconfessione delle nostre battaglie e proposte.
  • Il voto in molte città tra le quali alcune delle più grandi e importanti del Paese rappresenta un passaggio di particolare importanza. In quelle elezioni si deciderà della vita delle città e di chi le abita ma contemporaneamente un voto di queste dimensioni assumerà il senso di un voto sulle politiche di governo della crisi e sulle loro conseguenze locali e nazionali.
  • Proprio per questo è necessario che l’impegno di Sel sia rivolto alla costruzione di percorsi innovativi e autonomi che, a partire da qualificate proposte di governo locale e dalla definizione partecipata di percorsi plurali, mettano in campo un punto di vista alternativo e competitivo.

Una proposta politica coerente e chiaramente alternativa a quella del PD (e di Renzi) che renderebbe anche molto più semplici le campagne referendarie che vedranno impegnate tutte le forze di opposizione in questo 2016, a cominciare dalla battaglia per il NO al referendum confermativo sulla riforma costituzionale, vero e proprio spartiacque di questa stagione politica.

(*) Articolo uscito anche su Essere Sinistra.

--

--

Giuseppe D'Elia
Lavoro, lavori e coscienza di classe

Giornalista e avvocato. Segue da oltre vent’anni le tematiche politiche legate ai diritti dei lavoratori. Musicista nel poco tempo che resta