Come l’Islam mi ha cambiato

Antonio Mariani
Le Bistrò
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9 min readNov 23, 2016

Il quattro agosto, durante un pomeriggio torrido, ricevo una chiamata da un numero straniero. Esito a rispondere, non so perché. Dopo tre squilli premo l’icona verde e una voce sicura e imperfettamente inglese mi cambia la vita, o almeno me la illumina.

Tornavo dal mare affaticato dai potenti raggi del Sole, dei veri e propri ostacoli da superare a ogni passo, mentre il sudore mi disidratava il corpo. Squilla il telefono e vedo che è un numero con un prefisso straniero; dopo diversi secondi decido di rispondere e sento parlare un ragazzo, giovane dalla voce, con un inglese molto forte e gutturale che mi invita a prendere un caffè. Il Sole non indebolisce solo il fisico, ma anche la velocità sinaptica e non riconosco chi sia la persona dall’altra parte del telefono; aumenta la preoccupazione drasticamente, finché il ragazzo non interpreta il mio silenzio nel modo giusto e si fa riconoscere: “I’m Mostafa, your basketball player!”

“Hi, Mostafa! How are you?”

“I’m fine, thanks coach! I’d like to see you soon for a coffee”

“Nice, monday at 6pm, in front of the gym!”

“Great! Bye”

“Bye!”

Sono stupito dalla richiesta, ma anche curioso di sapere cosa quell'incontro mi avrebbe riservato. Una chiamata veloce, diretta e senza domande di cortesia che noi siamo soliti fare per abitudine. Intanto arrivo assorto sulla porta di casa, finché il rumore degli ingranaggi della serratura mi fa ricordare la necessità di fare una doccia per togliere il sudore di dosso e riposarmi.

Lunedì arriva in un baleno, portato da un fine settimana senza giorno né notte che termina bruscamente come l’irrompere delle nuvole nere nella distesa azzurra di una giornata di agosto. Devo incontrare Mostafa e davvero non so cosa aspettarmi, ma la curiosità è talmente tanta da paralizzarmi per tutta la mattinata e lasciarmi scandire il tempo dalle canzoni del mio iPod e dal rumore costante e soporifero della pioggia che si abbatte sulla città. Arrivano le cinque del pomeriggio e sono totalmente astenico, anche se inizia a salire l’adrenalina di un incontro atipico che si sarebbe verificato un’ora dopo. Alle sei in punto trovo il ragazzo egiziano di fronte la palestra, con un abbigliamento bizzarro e una busta di plastica in mano, visibilmente pesante per i tendini tesi dei suoi polsi. L’acqua continua a scorrere velocemente sui rilievi di via Merulana, mentre ci incamminiamo verso Il Pasticciaccio che ci offre un riparo in cambio di un caffè.

Quelle domande di cortesia che non mi ero sentito porre durante la chiamata arrivano a raffica una volta seduti attorno a un tavolo; tutte le risposte diventano lo spunto per nuove domande e velocemente dimentico di provare a capire perché quel ragazzo volesse vedermi. Dopo una mezz'ora la conversazione incontra un punto di stallo dal quale il silenzio ha la meglio e vedo il mio interlocutore abbassare lo sguardo, palesemente afflitto da un qualcosa che teneva dentro da tempo. Gli chiedo cosa stia succedendo e il suo volto manifesta imbarazzo e tristezza, ma lentamente inizia ad articolare le prime parole di un discorso molto lungo.

La mia famiglia è venuta qui a Roma per il lavoro di mio padre e non volevo lasciare il mio Paese, i miei amici, la ragazza e il Sole che tutti i giorni era tanto maledetto quanto amato. Non volevo, ma l’ho fatto per conoscere una nuova cultura, per vivere nella città dalla storia più bella e gloriosa che esista e per vedere che vita bella e divertente fosse quella degli italiani, tra spaghetti, feste e discorsi ad alta voce. Da quando sono qui ho visto solo tanti monumenti bellissimi, visitati e mantenuti da persone fredde e sciatte, indegne di mostrare la storia italiana al mondo. La cultura sto provando a conoscerla e a viverla, ma non ci riesco perché in classe mi evitano, nessuno si interessa alla mia storia e a cosa io pensi di questo paese così diverso da mio. Le poche volte che interagiscono con me le fanno per insultare l’Islam e per chiedermi quando mi arruolerò nell’ISIS. Non ne posso più di stare qui e ho bisogno di un amico col quale condividere Roma e rendere la permanenza qui il più piacevole possibile. Sono diverso e me ne rendo conto, ma ti assicuro che sono buono e non ho niente a che fare con quella brutta gente, fanno del male anche a me e a noi veri musulmani perché rovinano il sacro Corano.

Sulla parola Corano si arresta e sembra essere indeciso sul fare o non fare un gesto. Dopo qualche secondo di impaccio Mostafa prende uno dei 4 libri presenti nella busta di plastica e me lo porge, affidando quella bella raccolta di pagine rilegate meticolosamente nelle mie mani. Il Nobile Corano era quanto inciso in oro nella copertina blu che toccavo. Non ci parliamo, non so bene cosa possa dirgli, perché non so come potrebbe interpretarlo, ma un suo cenno mi fa intendere che mi sta dando fiducia.

“Leggilo, per favore. Questo è il mio libro preferito, il libro dei miracoli. Non essere rigido e prevenuto, io credo in ognuna di queste parole e posso dire che sono la trama della mia vita. Quando l’avrai finito, vorrei ci vedessimo di nuovo e mi dicessi cosa ha di tanto diverso dalla vostra religione, così che posso capire perché qui non ho amici.”

Su questa esclamazione mi stringe forte la mano e mi saluta. Non segue nessun canone della cultura occidentale che ormai lo sta avvolgendo da mesi e, uscito dalla porta, affronta la pioggia che si abbatte su via Merulana.

Rimango seduto al mio posto per diversi minuti, osservando sconcertato quel libro importante che mi era stato affidato e con il quale non sapevo bene cosa fare. Perché dovevo fare un confronto?! Cosa me ne sarebbe venuto?! Continuando a fissare il libro, sovrastato dai pensieri, il cielo inizia a schiarirsi e il rumore della pioggia lascia spazio a quello delle tazzine che si urtano nei pressi del bancone. Torno a casa sempre più curioso di capire il diverso, colui che viene accusato, pregiudicato perché è musulmano, perché venera Allah e perché si definiscono musulmani coloro che negli ultimi anni hanno seminato terrore nella nostra civiltà.

Scopro dopo diversi minuti che il libro va letto da destra verso sinistra, ma non importa perché prendo un bel ritmo e la lettura scorre velocemente. Non passa molto tempo che trovo molte analogie con la nostra religione, leggendo i nomi di Adamo, Abramo e Isacco; volgendole pagine vedo anche il nome di Gesù, figlio di una Maria vergine affidata da Allah a Zaccaria.

Forse -penso- avrei dovuto saperle già queste cose, ma la mia totale ignoranza sulla materia mi permette di trovare ogni frase nuova e ogni concetto curioso, rendendomi come un bambino curioso che vuole trovare risposte a tutte le domande che pone e che si pone.

Continuando la lettura avverto sempre di più una sensazione di sottomissione nei confronti di un Dio sempre pronto a puntare il dito per punire, punire e punire ancora. L’impressione è che l’azione religiosa sia il frutto di un gesto doveroso; è qui che credo che la religione possa davvero essere l’oppio dei popoli, influenzando quantità difficili da stimare di esseri umani sotto un’entità impercettibile. Chiamo Mostafa per entrare nel vivo di questo libro, per comprenderne a fondo il significato, almeno di ciò che- macroscopicamente- mi risulta inspiegabile. Voglio interpretare quanto ho letto con il filtro di chi vive di quelle parole e- fortunatamente- la disponibilità del mio amico mi permette di saziare la curiosità il giorno successivo.

Siamo ormai giunti a settembre inoltrato e le foglie iniziano a cadere dagli alberi, secche, come corpi che cedono all'ultimo caldo della stagione dopo aver resistito per un’estate intera. In una via Merulana tappezzata da foglie mi vedo con Mostafa in quello che è ormai divenuto il bar di discussione del Libro: il Pasticciaccio. Oltretutto, ironia della sorte, Il Pasticciaccio prende nome da un romanzo di Gadda, intitolato “Quel pasticciaccio di via Merulana”. Ho con me il Corano, ma anche se non lo avessi sarebbe la stessa cosa, perché il ragazzo musulmano conosce a memoria ogni verso del libro che ho in mano. Gli pongo subito i miei principali dubbi sull'aggressività del Dio e Mostafa inizia un discorso, mentre il suo volto assume un atteggiamento serio, con tutti i muscoli del corpo che cercano di interagire con la sua mente, affinché possa farmi arrivare il suo messaggio.

Lo so bene. Ti capisco. Tu, voi siete liberi di fare ciò che volete, lo sto vedendo; non c’è Dio che vi limiti, non ci sono neanche le leggi che riescono a farlo. Ti parlo così, ma non voglio generalizzare il discorso a tutti, sia chiaro! Dicevo, vedo le mie compagne di classe venire a scuola senza rispetto del proprio corpo, dei genitori e degli amici. Vedo i ragazzi preoccuparsi di vivere una vita di divertimento, senza pensare a responsabilità da adempiere o a sviluppare un senso del rispetto nei confronti delle ragazze, degli amici, dei genitori. La vedresti come sottomissione obbedire a qualcuno che ti insegna a vivere? Forse lo è, ma la catena dei valori non si interrompe e nasce una tradizione, quella per la quale le persone possono sentire un’appartenenza della quale si prova orgoglio. Parlando con i miei compagni di classe sento costantemente che nessuno è orgoglioso di niente, nessuno si sente parte di qualcosa, tutti vogliono divertirsi e ribellarsi al sistema che, forse, vuole sovvertire se stesso. C’è molta confusione, lo vedo. Sia chiaro, non voglio dire che dove regna l’Islam la vita sia migliore, anzi, è forse peggiore lo stile di vita. Però noi siamo sottomessi ad Allah, noi non facciamo ciò che lui non vuole, rispettiamo il padre e la madre. La cultura occidentale ha stigmatizzato la figura della donna islamica e questo mi fa sorridere, perché non è così brutta come la raffigurate. La donna viene rispettata da noi, il marito la rispetta e sono pochi i casi in cui è considerata un mero oggetto; la nostra società non prevede che possa fare carriera, il suo compito principale è quello di curare la famiglia, fare la moglie e la mamma. Ci sono ragazzi occidentali che ho conosciuto che non vedono mai la mamma, se non a cena. So che siamo obsoleti, lo vedo come siete più “avanzati”, ma non vorrei che la mia vita prenda una piega “occidentale”, perché c’è una forte crisi di valori che vi fa sentire soli, persi nel tutto e nel niente. Spero che tu capisca ciò che voglio dire e che mi stringa la mano in segno di amicizia.

Avrei tutto e niente da dirgli: da una parte vorrei difendere la mia cultura, d’altra parte trovo vere le parole di Mostafa, quindi gli stringo dignitosamente la mano e lo guardo come per dirgli: “Grazie! Ho capito ciò che volevi trasmettermi!”. Repentinamente alleggerisco la discussione, portandola sul basket, una passione che oltrepassa barriere di pensiero e cultura. Dopo un paio d’ore ci salutiamo ed esco dalla porta del Pasticciaccio, immergendomi in una via Merulana nuova, proiettata da un mio sguardo forse più cupo, serio o ferito.

Sono immerso nella mia solitudine, disturbata dal traffico dei pensieri che sfrecciano attraverso i tessuti del mio corpo. Al di fuori ci sono persone di ogni tipo che mi camminano di fianco, davanti e dietro, ognuna con un odore diverso, un umore diverso e con un’emissione di suoni diversi; eppure le percepisco come figure indistinte, sbiadite in profondità da una sorta di crisi di identità. Mi fermo, arrabbiato per la labilità del mio pensiero, per essere entrato troppo dentro quelle semplici parole e per non credere con tutto me stesso a qualcosa (o qualcuno) come fa Mostafa.

Dopo poco riprendo possesso del mio IO, scuoto la testa con un ghigno sul volto e mi incammino verso la macchina, arrivando a una conclusione:

Non voglio essere diverso da come sono, non voglio neanche appartenere ad altra cultura, non voglio giudicare negativamente la fede del mio amico. Voglio, però, credere. Non serve un Dio, non servono minacce e non serve niente che sia al di fuori di me. Basta guardarsi, analizzarsi e capire cosa va e cosa non va. E cambiarlo, credendo e ripartendo dal motore più potente di tutti, che dovrebbe rinnovarsi col tempo e non arrugginirsi: l’amore, corroborato dal rispetto per se stessi, per la famiglia e per il prossimo.
Forse io avevo perso tutto ciò, travolto dalla frenesia di una vita che corre e non ti aspetta, trascinandoti sulla strada dell’oblio, dove devi correre velocemente e da solo per arrivare primo nel deserto dell’avidità. I valori dell’Islam che mi ha trasmesso- quasi osmoticamente- Mostafa mi hanno fatto comprendere quanto si possa trovare nella semplicità. E glie ne sono grato!

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Antonio Mariani
Le Bistrò

Un sognatore che non smette mai di sognare. Social Media manager @IQUII Co-fondatore di lebistrò.it e appassionato di sport, basket soprattutto.