Cronaca_abbandonata.mp3

Paola Licari
Le Bistrò
Published in
7 min readJun 14, 2020
Immagine rielaborata da Antonio Tripodo e Paolo Licari

Ricordo il mese di luglio 2010 con particolare nostalgia. Avevo 12 anni e, per la prima volta, stavo per avere una stanza solo per me. Quando ci trasferimmo, la mia unica condizione fu quella di separare la stanza, anche a costo di avere uno spazio minuscolo. Le differenze di 7 anni e di genere sono difficili da far convivere, soprattutto nel pieno dell’esplosione ormonale che stavo vivendo. Due giorni senza masturbarmi sembravano un’eternità.

Nonostante la sua riluttanza, regalai a mia sorella un lettore mp3, rigorosamente rosa. Credo fosse modellato a mo’ di bambola, ma non ricordo esattamente. Di qualità pessima senza dubbio, probabilmente acquistato ad un negozio cinese di elettrodomestici e vari con una paghetta. Mi sembrava una decisione da bravo fratello, considerando che il mio mp3 Sony da 20 euro era ed è tuttora probabilmente il miglior pezzo di tecnologia che io abbia mai posseduto, eccetto l’iPod nano, ma quello mi durò pochissimo. Lo lasciai su un aereo, come al solito, un disastro. Forse la mia memoria mi inganna e non glielo regalai io, la verità è che non mi ricordo, ma se lo racconto cosí alimenta la nostalgia della storia e riesco a farti simpatizzare con me, cosí mi metti un bel mi piace e mi condividi, perché ne ho bisogno, questo periodo solitario chiuso in quattro pareti londinesi è stressante e penso di aver allucinato già un paio di volte. Ieri sera per esempio non ho preso sonno fino alle 4, per questo stamattina mi sono svegliato con voglia di scrivere, ma scrivere quello che mi passa per la testa, perché questi esami sono uno scherzo, perché penso di non avere la forza d’animo sufficiente per resistere fino alla fine della quarantena senza uno schizzo di mania.

La nostalgia è una strada cosí facile da percorrere. Ti svegli, ti fai un caffè. Già solo quest’atto possiede quella sensazione di ordine che un giorno rimpiangerai. Una mattina in cui tu ti debba svegliare alle sei per andare ad una riunione con un pezzo di merda in centro, sulla metro in ora di punta, con la sensazione di avere gli sguardi puntati addosso. Chiuderai gli occhi ascoltando il tuo hardcore punk preferito, o qualcosa di Rancore, e ti ricorderai di quando avevi 15 anni e correvi con le lacrime agli occhi per le strade di periferia perché nessuno ti capiva. Adesso nemmeno ti capiscono, ma almeno puoi fingere. “Yeah man, definitely”. Ma cosa ne deve sapere, lei.

L’incredibile natura della globalizzazione è la sua forza di ingurgitare l’esperienza individuale e collettiva, per ridefinirla a base di individualismo dietro una bandiera di accettazione e somiglianza. Nonostante l’intento di creare una società mondiale organizzata con gli stessi valori morali, la realtà è ben diversa. Siamo chiusi in casa e sembra quasi una vittoria dello stato sociale. Lavora da casa, fai riunioni via Skype mentre ti fai la colazione, vai al supermercato tranquillamente a raccogliere i frutti dell’albero, il 5G ti porta a casa le migliori creazioni artistiche dell’ultimo secolo.

Era cosí tanto meglio quando non avevamo tutto ciò. Almeno le epidemie arrivavano in orario.

Io però volevo parlare della vaporwave, di cui tutti ci siamo dimenticati ormai. Un po’ fuori moda forse, ma un genere musicale che mi ricorda quando i miei genitori uscivano e io mi attaccavo per sei ore di fila alla Play, vivendo in uno spazio virtuale sognante, sentendo quelle colonne sonore spaziali. La questione è che l’anno scorso avevo da scrivere un lavoro per l’università su “La relazione fra musica popolare e cultura”. E io tutto contento perché dico “alla fine tutta la musica è popolare”, e a seconda delle lenti che ti metti addosso puoi analizzarne un fenomeno sociale o un altro.

Scelsi la vaporwave per ragioni emotive, mi ricordava l’infanzia e tutta la roba citata sopra, il trasloco, l’mp3. Quell’mp3 marcio ogni tanto impazziva e suonava i pezzi a un sample rate diverso, rallentandoli e quindi facendoli suonare piu’ gravi, come in slow-motion. Ma a quella roba faceva impazzire, passavo 20 minuti per ascoltare Sweet Child O’ Mine come se fosse suonata dentro una navicella spaziale. Quando scoprii che esisteva un sottogenere dell’internet che riproponeva canzoni degli anni 80 in questa vena, e che era addirittura cool, figurati l’emozione nei miei occhi.

Ricercando la storia del genere e le variabili culturali, finii, necessariamente, in Giappone. I videogiochi a cui si riferisce pesantemente la scena vaporwave sono essenzialmente una scoperta nipponica, cosí come gli anime, i manga e gran parte della cultura con cui è cresciuta una generazione di bambini negli anni ’90–2000. Sembra quasi che la generazione Z sia cresciuta con un japanese dream, invece del solito american dream. In tal caso, allora, andrebbe chiamato 日本の夢 (nihon no yume) — Google assistimi.

Effettivamente il Giappone ebbe un periodo di gran crescita dopo la Seconda guerra mondiale, spinto soprattutto dal progresso tecnologico. La dissonanza però, è che a partire dagli anni ’90 mentre noi vedevamo la terra promessa nipponica loro incorrevano in una crisi economica profonda. Il cosidetto “decennio perso”, causato da una bolla immobiliare.

Crisi evidenziata dalla letteratura di Kenzaburō Ōe, o dai film dello Studio Ghibli: La città incantata, per esempio, si svolge in “una terra di gloria abbandonata dopo la crisi”. Una crisi post-capitalista, dove le persone non morivano di fame. Invece erano rinchiuse in casa senza lavoro, seppur con tutti i comfort e l’interconnettività esistente.

In quegli anni si venne a creare in Giappone un fenomeno sociale chiamato 引きこもり (hikikomori) — ovvero “ritiro sociale”. Il termine fu coniato da Tamaki Saito, un giovane psichiatra che fu contattato da un gran numero di famiglie che chiedevano aiuto per i propri figli, che avevano lasciato la scuola e si erano nascosti ed isolati per mesi, addirittura anni. Un gran numero di giovani adulti si ritrovarono chiusi dentro casa, ridotti a un isolamento volontario e un costante allontanamento dalla società e dalle proprie famiglie.

Un hikikomori.

Sembra essere un paradosso, il contrasto tra come vediamo noi occidentali il Giappone (la terra dell’onore, del rispetto, e delle scoperte tecnologiche), e come è realmente.

Ōe esplorò la sua identità nazionale nelle sue conferenze per il Premio Nobel. Secondo Ōe, “il popolo giapponese ha scelto il principio di pace eterna come la base morale per la nostra ripresa dopo la guerra”. Lo scrittore ipotizza che l’identità nazionale nipponica si basa sull’ambiguità, dato che la sua ricerca per la pace, la decenza e la prosperità economica è accompagnata dalla decostruzione dell’economia mondiale, e la tendenza al conservatorismo ambientale. “Esiste una discrepanza ampia ed ironica fra come sembra il popolo giapponese quando visto da fuori, e quello che esso aspira a sembrare”. Il mondo occidentale sembra vedere il Giappone come una sorta di nuovo paradiso. Ci è stato presentato nei suoi film, cartoni animati, e la sua musica come un posto tranquillo, immaginativo e futuristico. Questa però non è la realtà. Il Giappone ha sofferto dagli anni ’90 una delle epidemie di suicidi piú crudeli. Secondo la OECD, al 2008 il Giappone ha un tasso di suicidi pari a 20 ogni 100 mila abitanti.

La natura sociale della vaporwave è interessante nella sua natura globale. La genetica del genere si basa sulla recontestualizzazione di musiche pop anni ’80 di indole afroamericana (l’evento piú chiaro quello di Diana Ross attraverso Macintosh Plus in Floral Shoppe) attraverso le tecniche di sampling e warping per raggiungere un ideale estetico proposto dalla cultura giapponese.

La situazione dell’hikikomori è incredibilmente simile al ritiro sociale che la situazione COVID ci ha imposto. Nelle arti giapponesi esiste un concetto chiamato Ma (), il cosiddetto “spazio negativo”. Ha connotazioni ben piú profonde e filosofiche che semplicemente lo spazio vuoto contenente un ente, ma mi limiterò a usare questo significato per spiegare l’importanza del distacco. L’importanza della nostalgia e della mancanza di qualcosa, come quell’mp3. La verità è che non mi manca ascoltare Sweet Child O’ Mine rallentata, mi manca quella sensazione di scoperta musicale, quella sorpresa che mi lasciava sbalordito. Forse per questo la vaporwave non sarà mai musica pop e per questo presi una sufficienza scarna in quel lavoro. La nostalgia va descritta, non va disegnata. Scrivere un pezzo nostalgico spiega piú universalmente il senso di nostalgia che rallentare una canzone degli anni ’80, perché non è di interesse ciò che non è sottoscrivibile nelle nostre forme prestabilite di moralità e forma.

Il contatto umano ci viene offerto come una comodità ormai, sembra un plus dopo due mesi rinchiusi in casa. Un lusso per chi se lo possa permettere. La crisi a tutto tondo, che ci ha costretto a chiudere gli avvenimenti culturali a meno che non si limitino al 30 percento di capacità, avrà un impatto sociale importante. I prezzi sembrano essere destinati a salire, se solo un terzo della sala può essere riempita. Ciò significa che, sebbene l’arte digitale sia diventata ormai disponibile a quasi tutti, l’arte vissuta come esperienza sociale diventerà un lusso, come secoli fa. Tra le persone regna lo spazio negativo.

Allo stesso tempo, lo spazio virtuale si continua ad estendere, ancor piú controllato da entità private. Altrettanto sembra succedere nello spazio fisico, dove la NASA e SpaceX ci sembrano promettere la colonizzazione interplanetaria. L’incertezza del futuro, il Ma. Un “vuoto pieno di possibilità, come una promessa ancora incompiuta”. Una promessa di futuro che sembra solo allontanarsi.

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