In Argentina durante il Coronavirus aumentano i femminicidi

Luca Capponi
Le Bistrò
Published in
4 min readApr 11, 2020
Artwork di Antonio Tripodo

Se dai balconi italiani si cantano le canzoni, da quelli argentini si protesta contro la violenza di genere. L’orario è lo stesso, le sei della sera, ma cambiano temi e repertorio. L’hanno chiamato ruidazo (da ruido, rumore) ed è l’iniziativa lanciata dai movimenti femministi argentini per la sera del 30 marzo: uscire fuori al balcone con mestoli, pentole e qualsiasi oggetto possa aiutare a far più baccano possibile per alzare la voce contro le violenze. Che in tempi di quarantena e di convivenza forzata, in Argentina, sono aumentate paurosamente.

L’emergenza argentina è dunque in formato doppio. Al bollettino relativo all’epidemia di coronavirus, ancora lontana dal raggiungere il suo picco, si aggiunge quello dei femminicidi. L’associazione MuMaLa (Mujeres Matria Latinoamericana) fornisce ogni giorno i suoi dati, sul suo sito e sulla pagina Facebook. I numeri fanno paura. Nei primi 100 giorni del 2020, le donne uccise dalla violenza machista sono state 96. Con un incremento esponenziale dal 20 marzo, cioè dal primo giorno di quarantena. Da quel giorno, le denunce al 114, il numero nazionale dedicato al problema, sono aumentate del 60%. Per molte donne argentine, rimanere in casa per sfuggire al contagio significa andare incontro a un altro pericolo, altrettanto mortale.

Un episodio ha particolarmente scosso l’opinione pubblica, tanto da invocare un nuovo ruidazo per la giornata di ieri, 10 aprile. È quello che ha visto vittime Cristina Iglesias e sua figlia, la piccolissima Ada di 7 anni. Entrambe sono state uccise a coltellate dal compagno di Cristina, incensurato. Il governo ha escogitato le prime misure, attivando un numero a cui mandare messaggi e vocali su Whatsapp, che è stato subito preso d’assalto.

Un altro escamotage è stato lanciato con la collaborazione della Confederazione farmaceutica. L’iniziativa si chiama barbijo rojo, la mascherina rossa. È un nome in codice: chiedendo in farmacia — di persona o per telefono — se sono disponibili mascherine rosse, il responsabile è tenuto a registrare i dati della donna e subito dopo allertare le forze dell’ordine.

«La violenza di genere non va in quarantena» è lo slogan di Ni una menos, il movimento femminista che dal 2015 e fino al lockdown ha riempito le strade del paese per combattere la violenza machista. Un movimento nato in Argentina ma che si è espanso nel resto del Sudamerica — dove la situazione è altrettanto preoccupante — fino a arrivare anche in Europa. Grazie alle loro battaglie e alle magliette e bandiere verdi (il loro colore) con cui invadono le piazze di Buenos Aires, Ni una menos ha svegliato le coscienze del paese sul tema dell’aborto. Una legge per la sua legalizzazione non era mai stata tanto vicino alla sua approvazione come l’anno scorso: anche se il Senato, dopo un dibattito di 16 ore, l’ha infine bocciata. Una delle tante macchie del governo Macri, che infatti la festeggiò come una vittoria.

Proprio Macri, ormai ex presidente, è tra i più accusati dai movimenti femministi. E non solo per la recessione economica in cui ha condotto il paese, che ha comportato tagli ai finanziamenti degli enti che dovrebbero combattere la violenza di genere. Aveva promesso la costruzione di 36 hogares, sostanzialmente delle case famiglia per donne. Ne sono state portate a termine 3. In Argentina, le donne che denunciano comportamenti aggressivi o minacciosi dei loro partner ma che non possono permettersi abitazioni alternative, vengono spesso ospitate in queste case. Una soluzione che dovrebbe essere solo di emergenza, ma oggi quelle 36 case promesse farebbero molto comodo.

Lo scorso ottobre alle elezioni ha trionfato il peronista Alberto Fernandéz. Subito ha dovuto fare i conti con un debito pubblico quasi insostenibile e con i ripetuti allarmi del Fondo monetario internazionale. Il rischio default, che gli argentini hanno già vissuto nel 2001, continua a essere dietro l’angolo. Ma i malumori sono anche interni, con il presidente Fernandéz costretto a gestire una maggioranza di governo spesso instabile e con frizioni ancora più accentuate dalla gestione dell’emergenza coronavirus. Insomma, non manca nulla: un’epidemia, un debito pubblico e una classe politica che litiga. Sembra l’Italia, è l’Argentina.

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