Ogni maledetta estate

Ugo Ciracì
Le Storie Brevi
Published in
6 min readSep 6, 2020

Agosto. L’aria è ferma. Si muovono solo le gocce di sudore, lentamente.
Il calore torbido africano.

E anche l’aria è surriscaldata. Nel mio palazzo i muri sono spessi come fette di pane. Tu stai zitto e non commenti, ma potresti fare un rosario con quello che senti: bestemmie e ceffoni.

La tivù ne parla sporadicamente, stagionalmente. Hanno paura i figli di puttana. Raccontano solo i fatti di cronaca. Se qualcuno si schiaccia in auto — in fondo — non è colpa di nessuno, ma delle “bestie” non parlano mai seriamente. Questo fanno i giornalisti: cacano sugli spazi bianchi intorno alla pubblicità.

Ogni tanto si sentono notizie che devono rassicurarci. Eh sì, rassicurare il popolo con le favole. Dice che hanno fatto una certa “di-sin-fe-sta-zio-ne”. L’intervento dello Stato. Armi chimiche sparpagliate dall’alto che neanche Pearl Harbor. Ordinanze in tutti i Comuni. E ogni tanto anche tra i civili scappa un morto in queste retate. Alla fine il popolo non si salva mai, ma lo Stato ha fatto il suo dovere.

Provano a stanarli dai ghetti. Tipo pozzanghere, stagni e laghetti di merda. L’alluvione del 2000 gli ha fatto pure guadagnare uno stagno di tutto rispetto alla Pellerina. Soliti giochi d’appalti sporchi. Le bestie non ci perdono mai.

Quegli animali stanno lì ed è in quel fango che fanno girare i loro sporchi affari. Gozzovigliano nella melma ma lo Stato trova sempre poca roba.

Pure a fare i blitz per riempire colonne di giornale, agli agenti dello Stato non conviene: quelle bestie sono troppe, sono armate e prenderne una manciata alla volta è una minchiata da perderci la testa, il guadagno non ripaga del lavoro.

Da qualche anno cerco di attrezzarmi anche io. Cazzo, alla fine hanno ragione i verdi. E mica posso veramente farmi mangiare vivo da ‘sti stronzi. Allora mi armo in casa. La chiamano “di-fe-sa per-so-na-le”.

Dormo con la mazza sotto il cuscino. Evviva la Provvidenza, ma aiutati che Dio t’aiuta. Voglio dormire notti tranquille.
Facile dirlo, poi pensi che i bambini sono a letto in un’altra stanza e tu sei l’unico con un’arma a portata di mano.

Qui il pericolo si sente sulla pelle. Possono entrarti in casa quelle tigri. C’hanno i cappotti striati e sono sempre pronti a leccarsi i baffi. La tensione si sente come un Petit che in equilibro sbarella su un filo di lana tra le torri gemelle.

Se quelli entrano sono cazzi per tutti. Sono alcolizzati, ti sucano come una latta di birra. Ogni anno, vengono, prendono e se ne vanno. E basta un attimo che ti lasciano zeppo di bozzi sul corpo, perché no amico, quelli non scherzano mai.

E vedessi ogni anno cosa mollano in giro. Pensi bene tu di rinchiuderti in casa. Le peggio botte, pareti sgommate di sangue, i santi che scendono dal cielo come un acquazzone estivo e qualche piastrella rotta. Ti lasciano i bugni sul ginocchio come cicche spente sulla carne. La situazione fa prurito dal nervoso. E come diavolo ci si difende quando tu hai armi da appartamento e loro possono succhiarti il sangue dalla zucca e sparire prima che tu te ne renda conto.

Sono stanco. Vado a letto. Mia moglie gravita intorno a me alla velocità di una rottura di cazzo. Sono convinto che tra quando mi alzo dal divano e quando raggiungo il letto avrà già scovato tre cose sbagliate che ho fatto. Non la sto a sentire. C’è aria di baruffa nell’aria e l’unica cosa a cui penso è che il legno è al suo posto.
Anche lei viene a dormire, mentre i bambini ronfano già come in tutte le case dei bravi cristiani.

Dormo un occhio sì e l’altro no. Il silenzio della città, sai? una frizione lasciata in ritardo, qualche ubriacone che urla, auto che tagliano il vento, poco stanotte..a dirla tutta.
Forse ho esagerato, sembra tutto tranquillo. Faccio per voltarmi e aggrapparmi a un po’ di serenità. Sarà che in Italia ormai puzza qualsiasi cosa, pure quando gira tutto liscio.

Decido che è ora di dormire sul serio e getto l’àncora verso questa bella donna nel mio letto. Inizio ad ormeggiare ma proprio quando stavo per mettere a mollo le palpebre: silenzio muto, li sento entrare.

Accendo l’abat-jour e tiro fuori il mio asso di bastoni da sotto la branda, ne avevo sentito uno solo, ma sono in tre i bastardi. Comincio a sventolare l’arma come un forsennato ma quelli sono veloci e schivano i colpi. Non me l’aspettavo, ma forse non se l’aspettavano neanche loro. Mi ronzano intorno alla velocità della luce, ma mica è facile se sei in uno contro tre.

Ammollo un colpo alla Barry Bonds che al primo cornuto gli faccio sentire tutto lo swing. Stramazza a terra claudicante e dentro di me sento che oggi non metto a segno solo il primo inning. Niente male per un tifoso dei Grizzlies. Paolo “Panino” Barbera in confronto a me è un cazzo di pivello. Essere nato lo stesso giorno di Gordon Stanley “Mickey” Cochrane non lo aiuterà ad uscire fuori dal circondario.

Intanto cornuto-due passa all’attacco alle mie spalle, mia moglie si è svegliata d’improvviso e ha cominciato ad urlare “PER FAVORE, TI PREGO!”, preso dalla concitazione del momento mi volto verso di lei con tutto uno slancio che quasi la prendo in faccia per sbaglio, ma la manco: “Sta tranquilla baby, tra un attimo è tutto finito”.
E carico il braccio pronto per il prossimo stride. BAM, il secondo è riverso sul muro, mi sento Al Capone quando qualcuno piscia fuori dall’orinale, ho il fiato grosso e le gambe tremolanti. Adrenalina pura. M’avvicino e scaravento il legno più forte che posso contro quella testa di cazzo. Sangue amico, tanto sangue. Sento nelle vene i Detroit Tigers, Black Mike mi sale nel cervello.

Il terzo aveva preso le misure e ora che ha visto di cosa sono capace s’è nascosto. Mia moglie è terrorizzata, mi spiace piccola, ma dalla prossima estate ci dovranno pensare due volte prima di rientrare in questa casa. Strappo il lenzuolo dal letto e comincio a sbandierarlo con il braccio sinistro tenendo nell’altro pugno il bastone.

Esco dalla camera. Mi accorgo che i miei figli sono giù dal letto, in piedi e fermi come pali. Occhi stropicciati ed una fottuta paura annodata in gola.
Li guardo con gli occhi infuocati, faccio cenno con lo sguardo di rientrare in camera. I mie scagnozzi filano, senza fiatare.

Scandaglio il fondale come un radar. Nessun movimento, l’abisso è fermo immobile. Solo le mie pupille furiose in cerca di un’ombra a mio favore. E alla fine lo vedo: il terzo cornuto è dietro la tenda della finestra sui fornelli. Così mollo il lenzuolo e mi precipito in cucina, mi cade il bastone ma ho abbandonato la base e sono più determinato che mai. Te lo senti dentro quando ti cresce l’uomo, cazzo. In quel momento sferro un pugno dritto verso il vetro attraverso la tenda.

Ancora sangue, stavolta in parte è mio, i vetri sulle nocche fanno male, ma la soddisfazione ripaga. Ho la mano sbucciata e l’ultimo gradasso non ronza più, te la sei cercata stronzo.

Lei, mia moglie, è in piedi e ha le braccia incrociate. Mi guarda come se fossi un altro ed è incazzata. Ma incazzata sul serio. Tutto ad un tratto l’aria si fa gelida. Sento il freddo da sotto i piedi che si propaga come un treno fino alla testa e parte in automatico una cervicale. Raccolgo l’asso di bastoni, ho lasciato qualche bozzo qui e là per la casa. La guardo ma senza fissarla troppo a lungo. Credetemi, in questi momenti il gioco si fa pericoloso come in una bisca quando il grosso caccia dalla manica dello zoppo un asso di picche e si finisce ai coltelli. Le passo davanti e mentre cammino mi sequestra l’arma. D’istinto ho un moto di timore e mi scanso.

Gli infissi delle vecchie finestre hanno appiccicate delle zanzariere da quattro soldi, di quelle che le attacchi con uno sputo e le stacchi con una scoreggia. Tutto troppo vecchio per aggiustare qualcosa.

Prometto che l’anno prossimo o cambia casa o sistemo tutto.

Lo dico sempre. Ogni maledetta estate.

L’Autan sul comodino. Non me la spalmo questa roba da checche. Finalmente si dorme.

Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione — Non commerciale — Non opere derivate 4.0 Internazionale.

--

--

Ugo Ciracì
Le Storie Brevi

“Once you figure this out, young Bill, you will be well on your way toward understanding the Three Ways” From: Kim, Gene. “The Phoenix Project“