Paolo Moreschi
Le storie di Criature
3 min readMar 25, 2017

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Il rumore degli angeli — Cap. 6 — Si mette male

Sulla conca erbosa, nascosta al panorama dai faggi e dalla cengia a strapiombo, era calato il silenzio. Silenzio amplificato anche dall’assenza di vento nella conca, dovuta al riparo degli alberi. Al centro dello spiazzo, una croce di legno alta un metro rovesciata e conficcata nel terreno; vicino alla croce, per terra, un piatto in legno scuro con dentro dei piccoli pezzetti di ossa, a occhio potevano sembrare costole umane; poi due teschi, quelli certamente umani, e quattro moccoli bianchi spenti. Qualche metro più in là, a ridosso della cengia, i resti freddi di un falò. Gli uomini si guardavano tra loro, e ogni tanto, per pochi istanti, il loro sguardo cascava su uno degli oggetti; ma solo per pochi istanti, quasi a far finta di non averli visti. E invece li avevano visti eccome. Si erano fatte molte ipotesi in quei giorni sulla scomparsa dei ragazzi, inclusa la pista del satanismo; ma il maresciallo si era sempre rifiutato anche di considerare una cosa del genere: più che un’enormità, gli sembrava qualcosa fuori dal mondo di quel villaggio contadino; un posto terragno, concreto e roccioso, dove tutti si conoscevano e coltivavano o pascolavano il bestiame per tirare sera. Più che un reato, lì la messa nera sembrava roba da marziani. La scena che aveva davanti era una bella sberla.

“Lo zaino e il berretto li ho trovati lì”: fu il carabiniere forestale a rompere il silenzio, indicando i resti del falò.

“Ce li rimetta” fece di rimando il capitano Colantuono con una punta di stizza: in effetti, prendere così dei reperti dalla probabile scena di un delitto era da dilettanti. Lo sguardo del maresciallo era sulla stessa lunghezza d’onda. “Abbiamo bisogno della scientifica capitano: analizziamo tutte quelle ossa e cerchiamo di capire quanti erano qui”. Il capitano annuì e si mise a chiamare col cellulare.

Una volta tanto, il vento sulla discesa che dalla cengia portava alle campagnole era parso a tutti liberatorio; sembravano volersi ripulire gli occhi e la testa da quello che avevano appena visto. Il maresciallo fumava mentre scendeva a zig-zag. Nonostante le evidenze, lui continuava a pensare che la soluzione di quel mistero fosse da cercare in qualcos’altro. Viveva a san Cupo da oltre 15 anni, conosceva quasi tutti, e proprio questa pista delle messe nere non gli tornava. Ebbe l’intelligenza di non dire niente subito, per ovvi motivi, ma si ripromise di parlarne a quattro occhi col capitano.

Quel lunedì sera il maresciallo uscì dalla caserma dopo aver telefonato alla moglie per dire che avrebbe rincasato dopo cena. Aveva bisogno di parlare con qualcuno, e sapeva anche con chi. Erano le 7 passate. Con passo lento e dopo aver buttato a terra una cicca, lasciò piazza De Nicola e si avviò in via Bassi, da lì prese a destra per via Italia e la percorse fino alla fine, quando l’asfalto degradava in uno sterrato e da un lato della strada saliva una breve scalinata di gradoni sbreccati. Parodi prese per i gradoni e si avviò a bussare alla casa del pescatore.

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