Eccesso di democrazia e assenza di meritocrazia: due falsi problemi del self management organizzativo

Andrea Faré
Leapfrog team
Published in
6 min readMar 27, 2019

L’abbandono di una struttura organizzativa basata sulla gerarchia di persone genera due macro categorie di preoccupazioni comuni in chi ancora non ha approfondito le possibilità offerte dai più recenti paradigmi organizzativi.

Esaminiamole

  • La prima preoccupazione consiste nel ritenere necessario che l’eliminazione della gerarchia di persone implichi l’adozione di processi decisionali democratici fatti di unanimità e voti a maggioranza, quelli che tanto ci spaventano, per inefficacia, lentezza e tendenza a produrre decisioni sub-ottimali, quando li vediamo applicati alla politica o alle nostre riunioni condominiali…
  • La seconda preoccupazione consiste invece nel ritenere che l’eliminazione dei livelli gerarchici sottragga meritocrazia al sistema privandolo di scaglioni di merito e di fatto inibendo lo stimolo a lavorare per migliorare la propria posizione. Si teme in sostanza che le persone si ritrovino tutte “nella stessa mischia”, e la natura pare insegnarci che quando non abbiamo possibilità di differenziarci, perdiamo sprint.

Le cose stanno realmente così? Si tratta di preoccupazioni fondate o di deduzioni che, per quanto appaiano logiche, non sono radicate nella reale esperienza di ciò che significhi praticare il self management?

Perchè praticare il self management non equivale a trasformare l’organizzazione in una democrazia.

Quando si pratica self management il potere non viene affatto rimosso dal sistema ma distribuito, tutto ciò che veniva prima deciso dal capo viene ancora deciso, semplicemente è probabile che molte decisioni vengano ora prese da altre persone senza il suo coinvolgimento. Presumo osserverete che “Anche prima era così, infatti un buon capo usa lo strumento della delega”.

E’ vero, tuttavia lo step successivo è fare in modo che questa delega passi essa stessa da strumento implicito a elemento organizzativo formale, e che sia attribuita o revocata non dalla volontà di una sola persona, ma attraverso un processo collettivo ed inclusivo di definizione delle autorità decisionali che coinvolge tutti gli attori del team. Il fatto che una sola persona decida sempre chi può decidere, su quali temi e quando, è un grosso limite in un’organizzazione, perchè vincola fortemente il successo collettivo alla prospettiva limitata delle competenze, gli umori, il bagaglio informativo e la psiche di una singola persona.

Da un punto di vista operativo il self management prevede che diverse persone prendano diverse decisioni in differenti ambiti con lo stesso livello d’autorità che avrebbe un capo nel prenderle, la necessità di una figura superiore di raccordo tra loro viene semplicemente eliminata definendo con chiarezza e in modo iterativo l’esatto confine tra questi ambiti.

In una buona pratica di self management organizzativo è quindi molto facile individuare in qualunque momento a chi spetti prendere quale decisione, ci sono gli strumenti per codificare queste responsabilità ed aspettative, e si è coinvolti periodicamente nel modificare tali aspettative rendendole via via più adatte al modificarsi delle condizioni di contesto. Questo rimuove i colli di bottiglia e garantisce che le autorità decisionali vengano assegnate in modo efficace e come prodotto di un’intelligenza collettiva. Ciò non vieta affatto di creare autorità esclusive e meccanismi autocratici su specifici domini decisionali, oppure di codificare dei meccanismi di escalation, ma non sarà il capo a decidere quali sono, semplicemente perchè, per quanto performante, il suo cervello da solo non è in grado di produrre maggiore intelligenza di quella di un intero team.

In Holacracy, ad esempio, la definizione e la revisione delle autorità decisionali hanno luogo all’interno di un momento collettivo, denominato riunione di governance, in cui l’unico aspetto democratico risiede nel vedersi offerta la possibilità di dire la propria se ce la si sente. Nessuna decisione in quel contesto viene infatti presa per votazione o all’unanimità, le decisioni vengono invece prese con un processo decisionale integrativo e facilitato denominato IDM, che garantisce l’individuazione di una “soluzioni minima applicabile” che sia anche “abbastanza sicura da poter essere provata” senza richiedere a nessuno di scendere a compromessi. Quando questa riunione ha prodotto le autorità necessarie, ogni successiva decisione operativa verrà autocraticamente presa dal ruolo deputato a prenderla o dal processo che la stessa riunione di governance ha prodotto e scelto di adottare per prenderla.

Perchè praticare il self management non implica l’eliminazione della meritocrazia

L’appiattimento dell’organizzazione parrebbe togliere possibilità d’espressione ai meccanismi meritocratici: se siamo tutti uguali come distinguiamo i più meritevoli?

Esordirei col dire che la presenza di livelli organizzativi di per sé non ci garantisce che essi vengano allocati in modo meritocratico, e quando questo non succede gli effetti si ripercuotono a cascata sull’intera organizzazione. Al di là di questo aspetto formale il nocciolo del problema sta altrove. Cosa significa occupare un livello che ci differenzia dai nostri colleghi? In una gerarchia di persone questo significa essenzialmente due cose: 1) godere di una fascia di reddito differente 2) Godere di uno span of control più ampio. Ma siamo sicuri che questi siano veramente i driver che coinvolgono e motivano le persone al lavoro? Diversi studi provano il contrario, innanzitutto la correlazione tra aumenti di stipendio e produttività è nulla ed in alcuni casi negativa, l’uomo ha grande capacità d’adattamento, un nuovo status e/o un nuovo stipendio (raggiunti dei livelli minimi) creano velocemente una condizione di “new normal” che non è più motivante di quella da cui si proviene. Le persone sono in realtà motivate da aspetti differenti che sono stati ben delineati da Daniel Pink: Autonomy, Mastery and Purpose. Ciò che ci motiva al lavoro è la possibilità di agire in modo autonomo per mettere skill sempre migliori al servizio di un proposito comune e positivo. Pensiamo al volontario che dedica il suo tempo libero al soccorso in ambulanza, sappiamo che non lo fa per integrare lo stipendio, e questo già dovrebbe farci riflettere, ma davvero crediamo sia la meritocrazia a spingerlo? Ed è proprio in questa direzione di appagamento dell’umano oltre che di miglioramento dell’organizzazione che i paradigmi di self management si sono sviluppati. Ciò non significa che nelle aziende che praticano self management le persone guadagnino tutte la stessa cifra, anzi, semplicemente le formule di calcolo e le eventuali fasce di reddito che determinano, sono comunque oggettive e determinate in modo inclusivo e spesso collettivo senza essere legate ad una posizione gerarchica, non essendovi più alcuno modo di individuare posizioni “preferibili”.

Le retribuzioni e i criteri di premialità sono invece legati a fattori differenti (per citarne alcune spesso utilizzate: badge systems che riconosco il possesso di determinati skill, giudizio di più colleghi sul nostro livello di professionalità, etc etc.). In un’organizzazione che pratica self management sopravvive quindi il tema di differenti retribuzioni ma è accompagnato da una serie di strumenti che riducono notevolmente il peso dello stipendio come determinante di engagement, perchè di fatto lo stipendio non è in grado di svolgere questa funzione.

Conclusione

In sostanza in un contesto self managed si è tutti operativi e il coordinamento viene sostanzialmente spersonalizzato affidandosi ad opportuni strumenti e processi innestati su un contesto di trasparenza informativa. Questa diviene immediatamente praticabile poichè il possesso delle informazioni non è più leva per scalare la piramide a scapito dei colleghi cercando di ambire a quei pochi posti disponibili “meritocraticamente”.

Quando questo si realizza il coordinamento non necessita più di dover essere presidiato da figure che passano la maggior parte del loro tempo a coordinare (i capi) e che finiscono poi per coordinare altri coordinatori man mano che l’organizzazione si fa più complessa. La quantità d’intelligenza sprecata dai capi in attività di pura relazione, coordinamento e allineamento in contesti gerarchici è infatti enorme, ed è tutta sottratta al core business e al tempo che dovrebbero passare a prendere decisioni realmente importanti e al servizio del purpose aziendale. Nel terzo millennio abbiamo tutti gli strumenti e i processi necessari a ridurre quell’overhead, non ha senso tenere in vita pletore di ruoli dedicati ad attività obsolete. Non si tratta di eliminare il capo come individuo, ma come figura, e di restituire all’organizzazione l’intelligenza della persona che ricopriva quel ruolo permettendole di esprimere i propri talenti in modo molto più variegato ed efficace rispetto al semplice: “fare il capo”.

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Se sei interessato ad approfondire questi argomenti, in Leapfrog ci occupiamo proprio di questo: “Catalizziamo la trasformazione delle organizzazioni in luoghi di senso e partecipazione in cui le persone possano riscrivere il futuro, lo facciamo creando abitudine al cambiamento continuo e partecipativo, attraverso attività sfidanti e coinvolgenti di training, facilitazione e retrospettiva”

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