Uno dei tipici momenti di pacata integrazione tra prospettive divergenti nel nostro Parlamento

Qualche idea (folle) per introdurre cambiamento sistemico in politica

Andrea Faré
Leapfrog team

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Non sono un esperto di politica, lo ammetto, ma l’attuale situazione del nostro Paese mi ha spinto a questa riflessione, che spero sia di stimolo a chi mi legge. Ho la presunzione di intendermi, invece, di organizzazione aziendale e sono quindi abituato a distogliere lo sguardo dalle responsabilità personali per tentare di posarlo sugli aspetti sistemici, ossia sul modo in cui fattori e regole di contesto, agendo sulla limitata prospettiva che il singolo ha del sistema stesso, producano comportamenti che poi interpretiamo come «intenzionali» e «strategici» anche quando non lo sono affatto. Sono quelle intenzioni percepite a farci personalizzare ogni problema e a farci credere che in politica come nell’organizzazione aziendale, il problema sia sempre e solo di «qualità delle persone», questo degrada ogni discussione polarizzandola inutilmente…

Nei recenti giorni in cui abbiamo assistito all’avvicinarsi dell’ennesima crisi di governo, ho notato che anche i più “Gandhiani» tra i miei contatti, quelli che ci pensano 10 volte prima di trattare di politica sui social e quando lo fanno pesano a lungo le parole (mi riferisco soprattutto a Facebook), si sono infervorati con post di ogni tipo: ingiurie, sfoghi , accuse ed offese a personaggi delle istituzioni, i più brillanti e visibili accennano addirittura ad una propria «discesa in campo». Questi sono i momenti di tensione in cui il groupthinking miete vittime anche tra i migliori, del resto è comprensibile: ognuno di noi è spossato da una politica incapace di rispondere alle esigenze dei cittadini, incapace di ascoltare un mondo in continuo cambiamento, ma soprattutto sempre più autoreferenziale.

Ciò che mi colpisce è come, in politica , un po’ come in azienda del resto, i problemi vengano immediatamente diagnosticati come di natura personale o di squadra (leggi partito), mentre ogni analisi più profonda è accuratamente evitata, raramente si va oltre riflessioni banali sull’indole perfida ed egoistica dell’uomo, e spesso si sconfina nel rimpianto per questa o quella ideologia o partito del passato.

La maggior parte delle critiche segue ad ogni modo due pattern:

«Tutto funzionerebbe se il ruolo di <nome ruolo qui> fosse ricoperto da una persona competente»

«Il partito <nome di partito a caso qui> sostiene principi e valori sbagliati ed è popolato e seguito solo da inetti»

Ora io mi chiedo se renda veramente onore al nostro senso critico l’ipotesi che i partiti dividano la popolazione in persone intelligenti, i cosiddetti «fan del partito giusto», e stupide, ossia i «fan del partito sbagliato», alla stregua di come le tifoserie si giudicano tra loro. Guarda caso poi, da un lato, il partito giusto è sempre quello per cui simpatizziamo anche noi, dall’altro il politico xyz non sembrava mai cosi stupido prima di votarlo, è chiaro che abbiamo sbagliato e ne serve uno migliore… Di riflesso il tema delle alleanze, mattone imprescindibile del sistema proporzionale, viene trattato con lo stesso «rigore logico»: chiunque abbia governato in precedenza ha per definizione « rovinato l’Italia» e quindi non ci si può più alleare con lui, se lo si fà l’alleanza verrà comunque intesa come qualcosa di profondo e filosofico, l’alleanza nella testa dei fan della politica «è per sempre», come un matrimonio, non può essere allineamento temporaneo su un set di idee comuni. D’altro canto chi non ha mai governato è troppo inesperto e non gli si può mettere in mano il Paese, non si capisce quindi chi possa mai allearsi con chi in modo appropriato. Ognuno sceglie nel discorso politico l’argomento contraddittorio che più gli fa comodo in quel momento, tutti ci atteggiamo a fini oratori ma la logica pare abbandonare il discorso dopo le prime tre frasi, anche quando a parlare sono menti altrimenti brillanti nei loro domini di competenza.

Ecco io credo sia ora di portare lo sguardo a 10000 metri d’altitudine ed elevare la nostra prospettiva ad aspetti sistemici. Se un sistema produce regolarmente soluzioni inefficienti non possiamo escludere che siano le sue regole a dover essere riviste, continuare invece a focalizzarci esclusivamente sulla qualità delle persone o dei partiti che lo animano rischia di limitare la nostra visuale. E’ infatti perfettamente possibile che quel sistema:

a) Filtri per sua stessa natura le persone di qualità (lasciandole all’esterno)

b) Elevi solo persone che presentano i tratti psichiatrici della personalità necessari a sopravvivervi e trionfarvi (gli ultimi 20 anni di politica ci forniscono diversi esempi a supporto di questa tesi)

c) Degradi nel tempo la qualità delle persone che vi accedono annacquandone gli ideali in favore di negoziazione, mediazione, conservazione della poltrona, spirito di squadra etc etc.

Pensare continuamente di dover rincorrere l’ennesimo salvatore, rischia di farci prendere scorciatoie pericolose soprattutto perchè lato offerta di leadership il marketing personale ,tutto fondato sulla velocità e il decisionismo, diventa poi la risposta più naturale a quel tipo di sensazione.

La politica purtroppo è un sistema curioso, tanto pieno di sè, quanto di falle : ad esempio è sprovvista di momenti istituzionali regolari di autoriflessione atti a guidare la propria stessa evoluzione. In sostanza la politica, per dirla in gergo Agile, non fa retrospective sulla qualità del proprio funzionamento ma agisce in continuo regime d’emergenza secondo regole praticamente inviolabili e consolidate nei decenni all’insegna di uno strano mix tra rappresentanza, equilibrio ed immobilità. In assenza di tali meccanismi codificati ogni idea di reale cambiamento per attecchire richiede una tale massa critica da rendere necessaria la sua personalizzazione. A quel punto un’idea non è più buona o cattiva in quanto tale ma lo diviene in quanto idea di Salvini, di Renzi, di Berlusconi, di Di Maio etc etc, la sua bontà si lega indissolubilmente al livello di affezione/disaffezione che proviamo per il suo portatore, al punto che si arriva ad utilizzare, come successo nel caso del referendum promosso da Renzi, l’avversione manifesta ad un’idea come meccanismo di feedback verso la persona, anche quando quell’idea la si riterrebbe buona o almeno praticabile.

I principali tratti disfunzionali del nostro processo democratico

Nel corso degli ultimi 40 anni i media hanno subito una trasformazione radicale mentre gli strumenti della democrazia rappresentativa sono rimasti inalterati. Questo ha originato nuove forme di accesso ed sfruttamento (direi quasi Hijacking – dirottamento) della democrazia che non erano nemmeno ipotizzabili in precedenza: le televisioni prima e i social poi sono diventati veicoli di continua canalizzazione del consenso e manipolazione informativa a ritmi infinitamente superiori rispetto a quelli del tradizionale dialogo politico fatto di riunioni serali nelle sezioni e assemblee di partito. Parallelamente le leggi sono diventate sempre più complicate nel vano tentativo di gestire la complessità di un mondo in continua accelerazione, il corpus legislativo si è lentamente trasformato in un accrocchio eternamente rammendato contenente tutto e il contrario di tutto dove leggi di poche ore fa convivono con decreti regi. Le cose stanno così perchè i parlamentari sono in conflitto d’interessi nel produrre leggi di qualità, e non hanno incentivi alla semplificazione (nè immagino tempo per perseguirla). Questo stato di confusione finisce poi per creare livelli di fruizione del diritto che sono legati alle fasce di reddito. Se puoi permetterti dei buoni avvocati e/o se puoi trattare il rischio di sanzione come un investimento, allora gli illeciti diventano veri e propri asset strategici invece che paletti comportamentali, a quel punto, evadere conviene, inquinare conviene etc etc… Tutto questo aumenta il senso d’insoddisfazione ed impotenza di chi è invece onesto, trasforma molti onesti in disonesti e peggiora gradualmente la società.

Questo stato di cose ha messo in evidenza alcuni limiti intrinseci della democrazia rappresentativa a suffragio universale, limiti che sono insiti nel sistema stesso ma vengono naturalmente amplificati dal progresso tecnologico che fornisce strumenti di comunicazione e feedback sempre nuovi.

Personalmente ritengo che ci siano tre aree da indirizzare per curare la democrazia moderna e sono le seguenti:

Le piattaforme stabili di aggregazione di idee sono residui ancestrali e sono diventante un impedimento al processo democratico invece che un veicolo: i partiti (nell’accezione più generica di tutto ciò che ha una bandiera politica/ideologica uno statuto ed può presentare liste) nati in epoche in cui la realtà sembrava interpretabile e indirizzabile attraverso ideologie contrapposte sono ridotti all’ombra di sé stessi, e da soli non sono in grado di produrre ricette valide, anzi vivono per garantire la propria stessa sopravvivenza e sono continuamente costretti a denigrare ed osteggiare buone idee provenienti da altri partiti al fine di veicolare costantemente il proprio posizionamento di marketing ed affermare la propria identità. Il tutto in barba agli interessi della collettività. La funzione interpretativa e semplificativa del partito è defunta (in quanto: le idee sono accessibili a tutti e velocemente inoltre non è più possibile dominare la realtà con un unico set di idee preconcette ) e la sua esistenza incrementa inutilmente la complessità decisionale invece che semplificare la realtà. Ogni partito contiene una frazione di persone in gamba, e tuttavia queste persone sono costrette per motivi di marketing a mostrare di non essere mai d’accordo con persone equivalenti in altri partiti, il prezzo sarebbe quello di annacquare la propria identità ideologica, e il proprio posizionamento di gruppo. Livello di utilità di questi meccanismi per la collettività? Zero.

Meccanismi e oggetto del voto popolare: i cittadini sono coinvolti poco e male, non vi sono meccanismi di feedback, una volta esercitato il voto il cittadino diviene spettatore inerme. Ci limitiamo ad esprimere direttamente preferenze per persone che nemmeno conosciamo delegando a loro ogni forma di competenza di dominio. Ricordiamocelo: noi attualmente, attraverso il voto, non premiamo competenza sommata a voglia di fare il bene comune, premiamo un mix imbastardito di competenza, voglia di fare, capacità e voglia di rendersi visibili, capacità di affascinare le masse, capacità di sopravvivere all’iter di preselezione che i partiti operano sui propri candidati e ahimè molto spesso, capacità di dissimulare e mentire. Le ultime 4 dimensioni sono assolutamente inutili al bene della popolazione e filtrano o quantomeno scoraggiano un sacco di persone in gamba che potrebbero contribuire al bene comune.

Campagne elettorali e rielezione: per essere votate le persone che decidono di mettere il proprio tempo a disposizione della collettività sono costrette a farsi conoscere, ma dovendo la conoscenza produrre un voto, essendo ogni voto equipollente, ed essendo molto più facile conquistare il voto di chi ha meno mezzi di ragionamento, e/o tempo da dedicare all’approfondimento, la strategia di corteggiamento delle masse si rivela vincente e trasforma i candidati in vettori di messaggi semplicistici e polarizzanti, puramente umorali e spesso privi di contenuto. Inoltre il politico è in continuo conflitto d’interessi tra prendere/appoggiare decisioni utili alla collettività e prendere decisioni che gli permettano di continuare a coltivare la sua passione per la politica facendosi ri-eleggere. In virtù del ragionamento precedente il livello di sovrapposizione tra decisioni giuste e decisioni di stampo elettorale non può che essere basso.

Quali principi seguire per curare le disfunzioni?

A mio avviso un modello democratico di transizione che si proponesse di superare i limiti di quello attuale (posto che chi mi legge condivida l’analisi su quei limiti) dovrebbe scardinare il concetto rappresentanza tradizionalmente inteso, quello di partito e quello di carriera politica spersonalizzando e de-idelogizzando l’intero sistema. Sono ovviamente temi enormi ma voglio lanciare il cuore oltre la siepe ed azzardare, a puro scopo di discussione, dei Minimum Viable Product, ossia dei cambiamenti «minimi» ma testabili, che ci permetterebbero di fare dei passi in una direzione nuova. Un nuovo sistema politico dovrebbe quindi :

1) Disfarsi di inutili aggregazioni ideologiche e brandizzate di idee: il futuro non si può prevedere ma deve essere affrontato con logica sperimentale, accompagnata da opportuni momenti di riflessione e correzione dell’azione, ogni sovrastruttura ideologica che pre-confeziona valori e ricette è superflua, limitante e in conflitto d’interessi col cammino critico dell’innovazione. Da un lato il genere umano già condivide dei valori di fondo in funzione dei quali si è evoluto e ha convissuto, questi possiamo anche esplicitarli, ma è assurdo legittimare che essi vengano brandizzati da specifici gruppi o che siano considerati come antitetici tra loro. Le buone ricette non necessitano di un supporto ideologico per avere origine o essere messe in atto, necessitano invece di una scintilla creativa e di un processo di riflessione e processi decisionali che siano più inclusivi e meno polarizzanti, il totale fallimento dell’approccio ideologico/programmatico alla politica sembra supportare questa tesi ( questo è un ostacolo difficile da superare, ogni volta che accenno questo tema ad appassionati di politica, ricevo sguardi terrorizzati di chi ha paura di perdere la squadra del cuore, il partito per cui si è tifato fino a quel momento…. ). Il fatto che i parlamentari indossino casacche non permette di focalizzarsi sui contenuti ed incoraggia dis-economie di scambio del tipo «noi vi approviamo questa se poi voi approvate quella che piace a noi», «noi» e «voi» non devono avere più senso, deve esistere solo il -noi-.Minimum viable product : i posti a sedere in parlamento vengono estratti quotidianamente a sorte favorendo la conoscenza reciproca e lo scambio di idee anche più che l’irrigidimento ideologico e il tifo di squadra, il concetto di partito politico cessa di esistere all’interno delle istituzioni.

2) Rompere il meccanismo del consenso diretto per le persone espresso tramite votazione: la quasi totalità di noi vota persone che non conosce in quanto aderenti ad un qualche raggruppamento di idee che ha saputo meglio solleticare le nostre corde, e già questo dovrebbe farci riflettere, perchè nessun partito potrebbe mai esprimersi ex-ante su ogni questione, prova ne è che presa la questione binaria n-esima (rispetto alla quale si può essere favorevole/contrario), ci sarà sempre un partito che non è il nostro e del quale condividiamo la posizione… Chi non ha mai sperimentato questa situazione alzi la mano. A questo dobbiamo aggiungere che il voto “ ragionato» che ognuno di noi produce per questo o quell’esponente di partito (magari dopo mesi di letture e fruizione critica delle news) rischia di venir immediatamente cancellato, il giorno delle elezioni, dal voto di segno opposto di chi, pur nel pieno esercizio dei propri diritti, di approfondire se ne è bellamente disinteressato, e si è invece formato un’idea politica ascoltando il telegiornale la sera prima del voto… Ancora peggio quando ci esprimiamo su tematiche referendarie dove il voto è veramente «uguale e contrario» . Certo questa è democrazia, ma quanto è efficace la rappresentanza di chi nemmeno si interessa mai alle questioni comuni, o di chi non ha mai aperto nemmeno un libro? Il voto viene infine tradizionalmente ottenuto in virtù di programmi sbandierati ai quattro venti che vengono costantemente disattesi o più spesso ri-elaborati, in modo sostanzialmente equivalente a come si sarebbe operato se non fossero mai stati presentati ex-ante ma semplicemente prodotti a valle delle elezioni.MVP: i cittadini che lo desiderano partecipano ad un progetto open source di definizione dei criteri di ammissibilità in parlamento (skill? esperienza? etc etc) un algoritmo classifica/estrae i potenziali parlamentari originando una short list di persone che li soddisfano e sono disposte ad offire il proprio tempo per il bene del Paese.

3) Impedire l’incancrenimento del sistema garantendo ricambio continuo dei rappresentanti: fondamentale per evitare che la politica trasformi i politici in portatori di interessi personali invece che interessi della collettività. Quale organizzazione tra quelle che conoscete (sia essa azienda o non-profit) si disferebbe mai di tutti i suoi membri in una volta sola per poi riassumerne di nuovi nel tentativo di risolvere i propri problemi? Il meccanismo è altamente inefficiente. Inoltre è assurdo pensare che «la fuori» non vi siano persone abbastanza intelligenti e capaci da poter rimpiazzare l’esperienza dei politici in carica, soprattutto quando per esperienza s’intende la capacità di sopravvivere ai processi della politica stessa, la qual cosa non ha nessuna utilità collettiva, ma solo utilità per la carriera del politico stesso.MVP: invece che rinnovare tutto il parlamento in una volta lo si rinnova gradualmente .. Ogni tot un parlamentare esce e ne entra uno nuovo (in funzione diretta della durata del mandato e del numero dei parlamentari, variabili stabilite ex-ante)

4) Poter essere adottato in modo graduale: si sa che le rivoluzioni in genere hanno luogo solo quando ormai la società è alla fame, sono una forma di reset molto scarna che non da nessuna garanzia sulla qualità delle proprie conseguenze e spesso produce assetti peggiori dei precedenti.MVP: Si inizia garantendo l’applicazione del nuovo meccanismo a pochi seggi che andrebbero a confluire nel gruppo misto, nel tempo con le successive elezioni il numero di seggi coinvolti nell’esperimento potrebbe aumentare fino a coprirli tutti.

Conclusioni

Queste sono solo alcune idee ma si potrebbe fare molto di più, e agendo molto più a fondo sui processi decisionali stessi della politica nel day by day. Il problema rimane uno: la politica è in conflitto d’interessi nel rinnovare sè stessa e questo purtroppo è di per sè un problema non indirizzabile dall’interno del sistema stesso. Ciònonostante è necessario restare attivi e non rinunciare a porsi queste questioni.

Dobbiamo smettere di trattare la politica come qualcosa di sacro ed immutabile (esattamente come abbiamo fatto per 100 anni con l’organizzazione aziendale). Se non iniziamo a «giocarci in modo serio» testando cambiamenti ed iterando finirà per soccombere ad altre forme di governance collettiva che si stanno affacciando e che sono molto meno inclusive . Queste nuove forme demandano la responsabilità decisionale su alcuni temi collettivi all’imprenditoria illuminata dei grandi colossi, non è che una ulteriore forma di meritocrazia personalizzata che sta emergendo lentamente a compensazione delle inefficienze della politica, ma siamo sicuri che sia la strada giusta? Finchè si parla di andare su Marte forse si… Ma quando dovremo parlare di Ambiente, Difesa, Infrastrutture?

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