Raffaello e la fisica quantistica. La trasformazione ai tempi dell’imprevedibilità

Valentina De Matteo
Leapfrog team
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3 min readFeb 14, 2020

“Ero andato a vedere quel quadro per spassarmela. Ma ecco che mi trovo davanti alla pittura più libera, più salda, più meravigliosamente viva che sia dato immaginare”. A quanto pare fu questa la reazione di Renoir dopo aver visto a Firenze la “Madonna della Seggiola” di Raffaello.

Il 2020 è l’anno di Raffaello. Artista rinascimentale più giovane di Leonardo e Michelangelo, nei suoi dipinti è possibile rintracciare la fusione tra la naturalità del primo e la maestosità del secondo per dare vita a uno stile eterno, destinato a influenzare molta parte dell’arte moderna e contemporanea.

A cinquecento anni dalla sua morte, l’incanto delle sue “Sibille” al Chiostro del Bramante sembra coinvolgerci in un dialogo oltre il tempo. Quello della “sibilla” è un soggetto artisticamente interessante, figura essenziale di collegamento tra mondo cristiano e mondo pagano capace di dominare il futuro conoscendolo in anticipo.

Dominare il futuro conoscendolo in anticipo. Il sogno- o la pretesa — di molte “sibille contemporanee” che tentano di normalizzare il presente per inquadrarlo in un sistema di riferimento che ne preveda l’evoluzione.

Dalla nascita della fisica quantistica il tema della “prevedibilità” è diventata faccenda complessa. Se per la fisica classica i sistemi, anche quelli dinamici, sono mossi da regole deterministiche, in quella quantistica la prevedibilità è messa in discussione dal caos deterministico, quel fenomeno che si presenta quando “il presente approssimato non determina approssimativamente il futuro”.

Di effetti farfalla e cigni neri il nuovo Millennio può dire di averne visti già parecchi e si trova continuamente a sperimentarne gli effetti. Virus, terrorismi, clima, mercati ricordano che nel passaggio da sistemi lineari a sistemi complessi la tenuta di una strategia, per quanto lungimirante e capace di intercettare i segnali deboli, è messa a dura prova dall’imprevedibilità.

È così in politica, in società. In azienda.

La cultura (organizzativa) mangia la strategia a colazione. Concetto talmente vero, quello di Drucker, che retrospettivamente ci riporta al mondo delle Sibille.

Le Sibille erano speciali interpreti della parola divina, esclusivamente di sesso femminile, non soggette al passare del tempo, isolate dal mondo e poco inclini a mostrarsi. Un mondo bidimensionale, il loro, che aveva la funzione di orientare le decisioni dei più o meno potenti dell’epoca e che era per sua stessa natura soggetto a continua interpretazione. Uno degli oracoli più famosi è quello diretto a un soldato prima di partire per un combattimento: ibis redibis non morieris in bello. È forse proprio da questo che nasce la definizione dell’aggettivo “sibillino”. La frase infatti si presta a due interpretazioni, l’una opposta all’altra, in base alla sola posizione della virgola. “Andrai, tornerai, non morirai in guerra”, oppure “andrai, non tornerai, morirai in guerra”. Se avesse conosciuto Drucker, il soldato avrebbe potuto scegliere due approcci. Il primo focalizzato sulla scelta tra le due opzioni (strategia), il secondo sulla presa di coscienza degli scenari per dotarsi di tutti gli accorgimenti e strumenti necessari per muoversi nell’ambiguità (cultura organizzativa).

A distanza di più di qualche secolo non abbiamo evidenza di quale sia stata la scelta di quel soldato. La pratica sui clienti che abbiamo nel tempo accompagnato in progetti di trasformazione riesce però a darci chiara evidenza del fatto che liberare il potenziale trasformativo delle organizzazioni significhi anzitutto lavorare sulla sua cultura organizzativa per consentirle di muoversi nei campi turbolenti. La nostra consapevolezza sistemica ci fa però comprendere che la cultura è un fattore troppo complesso ed intangibile per essere indirizzato direttamente, e per perturbarla dobbiamo lavorare sul suo perimetro, lavorando sui principi che le danno corpo e sugli strumenti che li rendono tangibili tali principi.

Le nostre “6r”: Ragioni per credere, Ruoli, Regole, Ritmo, Repositori e Restrospettive, costituiscono quindi un framework sperimentato con approccio iterativo e strumenti concreti e pronti all’uso per preparare insieme all’azienda il terreno della trasformazione della cultura verso una modalità “self-managed” d’intendere il lavoro collettivo e partecipato. Non un’interpretazione ma una lente interpretativa per il cambiamento. È così che concepiamo il framework, così come tutti i progetti di trasformazione organizzativa. Perché futuro è contrario di prevedibilità. Con buona pace delle eterne Sibille.

Valentina De Matteo

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Valentina De Matteo
Leapfrog team

Curiosa per indole, multipotenziale per vocazione. Mi occupo di innovazione, change management e trasformazione organizzativa