I task che nessuno vorrebbe svolgere…

Andrea Faré
Leapfrog team

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“Ma se nessuno può più dare ordini, chi svolgerà i task che nessuno vuole mai accollarsi?”

Leapfrog si sente rivolgere spesso questa domanda, da parte di prospect e clienti che sono all’inizio del proprio percorso trasformativo.

In sostanza una delle obiezioni che ci sentiamo muovere più spesso quando “predichiamo” i benefici del self management organizzativo (ossia dell’insieme di paradigmi organizzativi che non si fondano sulla dipendenza diretta tra persone, o meglio sulla tradizionale relazione capo/sottoposto), è la seguente:

…Il self management non può funzionare perchè in assenza di relazioni di stretta dipendenza tra persone, viene meno la possibilità di costringere i sottoposti a farsi carico dei task che nessuno vorrebbe comunque svolgere!…

Evidenze sperimentali ci dicono che in realtà, nel momento stesso in cui il concetto di dipendenza tra persone viene rotto, tutta una serie di domande rispetto alla natura di questi task acquisisce improvvisamente un propria liceità, e lo fa aprendo nuovi orizzonti per il bene dell’organizzazione stessa.

Innanzitutto: quanti dei task sgraditi sono task realmente necessari? Quanti di essi sopravviverebbero ad una discussione sulla rispettiva importanza rispetto agli obiettivi che l’azienda persegue? Quanti di essi esistono solo perchè si è organizzati così e non in un altro modo? O ancora peggio, solo perchè qualcuno in posizione d’autorità vuole dare una particolare immagine del modo in cui la propria funzione si muove ed opera, anche al prezzo di impiegare effort senza creare reale valore?

E’ normale che la nostra percezione dell’utilità di un task sia influenzata dall’insieme dei bias cui siamo umanamente sottoposti, ad esempio: se una persona che non stimiamo per motivi personali, usa la propria autorità per imporci un task è molto probabile che il nostro atteggiamento psicologico immediato rispetto a quel task sia di iniziale diffidenza.

Ma se il senso che il task stesso ha per l’organizzazione fosse invece sottoposto ad un processo decisionale inclusivo che va oltre la mera discussione, o addirittura imposizione, limitata a capo e sottoposto?

Non si tratta di democratizzare l’attribuzione di ogni task, questo significherebbe ingessare l’efficacia decisionale della nostra organizzazione, si tratta invece di identificare collettivamente, e periodicamente, classi di task che hanno senso e rendere le persone quanto più possibile autonome nello svolgerli. E’ quel processo d’identificazione iniziale che deve essere necessariamente inclusivo, perchè anche il più brillante dei capi non può superare in intelligenza, la sommatoria tra la propria intelligenza e quella di tutti gli altri membri del team.

Quanto si modificherebbe la vostra propensione a svolgere task “scomodi “se invece di essere obbligati ciecamente da qualcuno poteste pesarne collegialmente la reale necessità, la priorità rispetto ad altri task, e decidere la modalità in cui svolgerli e come eventualmente ripartirli o turnarli tra più persone?

Siete sicuri che, anche in un contesto di massima disponibilità da parte vostra, quei task continuerebbero a toccare a voi se le loro allocazione fosse razionalizzata sulla base di una corretta riprioritizzazione dei task che avete in carico e più in generale del contributo intellettuale che apportate all’azienda?

La conclusione non può che essere questa: i task inutili non esistono per definizione, nessuna organizzazione con chiari obiettivi vorrebbe mai spendere tempo in task inutili. Esistono task che piacciono più ad alcune persone che ad altre, esistono task che sono più adatti al livello di professionalità di alcune persone rispetto ad altre, ma quando un task è percepito come assolutamente inutile in genere almeno una delle seguenti condizioni è vera:

1) L’ utilità del task non è stata correttamente declinata e condivisa con gli assegnatari

2) Il task è in realtà utile all’organizzazione ma viene mal allocato (in genere assegnato a persone la cui intelligenza potrebbe essere impegnata in modo molto più redditizio in un intervallo di tempo equivalente a svolgerlo)

3) Il task è effettivamente inutile all’azienda ma funzionale ad obiettivi personali di chi lo ha imposto, o è semplicemente un side effect, un male necessario da digerire in conseguenza di una condizione d’inefficienza organizzativa a cui ci si rifiuta continuamente di mettere mano.

Una cosa è certa:

– Nessuno svolgerà mai un task a cui è costretto, con la stessa efficacia, prontezza ed accuratezza con cui svolgerebbe un task che sarebbe stato libero di rifiutare, ma che ha accettato anche solo per puro senso di responsabilità organizzativa.

E’ quindi dovere di ogni organizzazione contribuire al massimo livello di chiarezza sul perchè una cosa sia o meno necessaria e su quale possa essere la via migliore per ottenerla, aprendosi a proposte alternative, quando sono chiari gli obiettivi.

E quale modello organizzativo non permette di porre i task inutili al vaglio dell’intelligenza collettiva? Quale modello non permette di motivare un auto-allocazione efficiente dei task, nè tantomeno di fare massima leva sul senso di responsabilità dei singoli? Purtroppo la risposta è sotto gli occhi di tutti.

La piramide gerarchica col suo assegnare status, autorità di potere assoluto, livelli assoluti di valore, ingessa il naturale processo di valutazione dell’opportunità dei task, li sottrae al vaglio dell’intelligenza collettiva, e alla necessità di misurarli rispetto a quanto sono funzionalo alla realizzazione del proposito organizzativo. Tutte queste valutazioni vengono concentrate in un’unica figura, quella del capo, dalle cui capacità, livello d’aziendalismo, altruismo e sacrificio, l’intera organizzazione dipende di volta in volta.

Riteniamo che a 100 anni dalla nascita del taylorismo, con nuovi paradigmi di comunicazione e organizzazione a nostra disposizione si possa fare molto meglio, e di questo parliamo con i nostri interlocutori.

A presto.

Andrea Faré.

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